De André e la trap sono figli della stessa Genova

Il docufilm "La nuova scuola genovese" mette a confronto pilastri del cantautorato di ieri con i rapper di oggi, tutto immerso nei caruggi della città che li ha fatti nascere. Da Gino Paoli che dialoga con Tedua a Izi ospite di Dori Ghezzi, ecco cos'hanno in comune questi due mondi

Tedua con Gino Paoli - foto di Matteo Bosonetto
Tedua con Gino Paoli - foto di Matteo Bosonetto

Forse la vicinanza con la Francia degli chansonnier, o il porto dove approdavano i dischi dall’America, o forse le tante storie da raccontare di una città che assisteva alla prima ondata migratoria dal Nord Africa. Certo è che Genova fin dagli albori della musica popolare è diventata la culla dei cantautori italiani, grazie a nomi come Fabrizio De André, Gino Paoli, Luigi Tenco, Umberto Bindi e Bruno Lauzi, segnando per sempre la storia della nostra cultura. Una vera e propria scuola, il cui unico credo era la libertà, unita alla voglia di esprimersi con un linguaggio eversivo e personale, in controtendenza rispetto ai testi dallo stucchevole romanticismo che proponeva la musica leggera.

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Una scuola che ha fatto proseliti, tanto da resistere ai cambiamenti sociali, mantenendo sempre viva l’esigenza di un linguaggio crudo e vicino alle condizioni della gente comune: è la nuova scuola dei rapper genovesi, come Izi, Tedua, Vaz Tè, Bresh e Demo. A raccontare e analizzare il fil rouge che lega cantautori e rapper è un docufilm, La nuova scuola genovese, in programma nei cinema il 2, 3 e 4 Maggio. Scritto e ideato dal giornalista Claudio Cabona con la regia di Yuri Dellacasa e Paolo Fossati e impreziosito dalle musiche originali dei pluripremiati Pivio e Aldo De Scalzi, il docu-film ci fa immergere tra i vicoli del capoluogo ligure con una palpabile verità, tanto da sentire l’odore della frittûa de pigneu e del giancu de Purtufin citati da De André nel suo capolavoro dedicato alla sua terra, Crêuza de mä.

Ciò che ci spinge a scrivere è la voglia di cambiare il mondo, essere partiti dal nulla, aver conosciuto gente sgreuzza (ruvida come le mani di un marinaio)", spiega Izi, che durante il film si trova anche a dialogare con Dori Ghezzi. Per poi aggiungere: "Tutti noi condividiamo la stessa missione, cioè capire e sentire cos’è la vita”.

Izi e Dori Ghezzi - foto di Matteo Bosonetto
Izi e Dori Ghezzi - foto di Matteo Bosonetto

Seppure con una passione politica certamente ridimensionata nel tempo, la penna dei maestri dell’hip hop genovese conserva lo stesso ruggito, la stessa fame di verità dei vecchi padri, imparando da loro a caricare il linguaggio di responsabilità nei confronti degli ultimi e di molte delicate tematiche sociali. Assumere delle posizioni nette attraverso le canzoni, oggi cosa sempre più rara nel panorama nazionale, è la costante che accomuna le due scene apparentemente diverse tra loro, rivelando un continuum destinato a proseguire anche nelle prossime generazioni di artisti.

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“La canzone d’autore è stata rivoluzionaria come oggi lo è il rap, condividendo un linguaggio anarchico e antiborghese, entro una scena comunitaria a cui interessa la realtà delle periferie”. Così Gino Paoli commenta la similitudine tra i due generi, ricordando, in una chiacchierata nella sua casa di Nervi con Tedua, come lui e i suoi colleghi concittadini usassero un linguaggio che oggi potremmo definire ‘di strada’, opponendosi alla poetica e alla funzione ipnotica della musica. “Per noi la musica era uno strumento di lotta contro l’ipocrisia. Volevamo essere dei dannati come nel celebre film di James Dean”.

Ognuno dei grandi cantautori, così significativi da meritarsi una raffigurazione in stile Monte Rushmore come i presidenti americani (magari scolpiti tra le suggestive Prealpi Liguri), è rimasto nel cuore e nella poetica degli artisti della nuova scena: come Andrea Brasi, in arte Bresh, che confessa a Cristiano De André che, quando da ragazzino scappava per rifugiarsi tra le strade della città, pensava che Faber si riferisse a lui quando cantava Andrea.

Cristiano De André e Bresh - foto di Matteo Bosonetto
Cristiano De André e Bresh - foto di Matteo Bosonetto

Sul finire del docu-film è Ivano Fossati a dichiarare il suo apprezzamento per i rapper genovesi. Li definisce ancora più liberi, collaborativi e spontanei dei classici cantautori, rappresentano senza dubbio la forma evolutiva più degna di quel cantautorato coraggioso e impegnato, privo di pregiudizi o imposizioni censorie. Danno voce a una generazione piena di interrogativi e mantenendo accesa la linfa vitale che scorre tra le crêuze de mä di quella Genova mia tradita descritta in maniera commovente dal poeta – genovese d'adozione – Giorgio Caproni e i cui versi vengono letti dai vari protagonisti del docufilm.

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L'articolo De André e la trap sono figli della stessa Genova di Beniamino Strani è apparso su Rockit.it il 2022-05-04 09:30:00

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