Una discesa negli inferi musicali con Asian Fake

Il nostro racconto dello showcase organizzato in Triennale dalla label, partito con le voci più calde e finito con bpm tonanti. In mezzo – da Alda a Darrn e poi Plastica o Bawrut – alcune delle voci e i beat che più ascolteremo domani

Il dj set dei Coma Cose - foto di Silvia Violante Rouge
Il dj set dei Coma Cose - foto di Silvia Violante Rouge

Anche quando il sole cala sulla Triennale di Milano, i 37 gradi della domenica milanese non lasciano tregua a nessuno. Siamo nei Giardini di questa istituzione della cultura cittadina, e non solo, e stiamo aspettando che venga dato il via alle danze dell’Asian Fake Showcase. La line-up dell'evento è singolare: vuole essere il modo giusto per delineare il manifesto sonoro della label, si esibiranno anche nomi che non ne fanno parte.

Alda - foto di Silvia Violante Rouge
Alda - foto di Silvia Violante Rouge

L’ordine degli artisti sembra suggerire una graduale discesa verso sonorità sempre più cupe e dense: la passerella, vista di profilo, ha una pendenza mica da ridere. Ma non resta che essere fiduciosi e seguire il percorso. La prima ora di spettacolo se la dividono le due voci della serata, Alda e Darrn. La prima, accompagnata dal fedelissimo Michele Nannini, e fresca della pubblicazione di Tana Libera Tutti, conferma quanto visto sul palco del MI AMI. Nonostante i suoi 23 anni l’attenzione sul palco se la prende con decisione, nel suo vestire totalmente di nero, e per quel suo commovente concentrarsi sulle sue barre, scandite fissando un punto. Rimbalzano dappertutto facendo rumore. Darrn e la sua band si muovono sulla stessa linea emotiva, ma si esprimono con la forza melodica di un urban pop impacchettato con metodo. La voce di Dario riempie tutto il riempibile, dimostrando la sua grande forza dal vivo.

Darrn - foto di Silvia Violante Rouge
Darrn - foto di Silvia Violante Rouge

Quando viene il turno di Plastica i giardini si stanno riempiendo. Matilde Ferrari – questo il suo vero nome – suona tutto UV, il suo primo ep da poco pubblicato, e gli ospiti iniziano a fioccare. Marta Tenaglia apre la sfilata con la sua strofa in F.O.M.O. – mentre intorno risuona registrata la voce di Splendore −, poi è il turno di tutti gli altri. Elasi e la sua innata eleganza, Ethan e Marianne Mirage che cantano faccia a faccia come le migliori coppie del pop, infine Missey e Laila Al Habash, complementari nell’approccio. In tutto questo la producer veronese gongola dietro i suoi occhiali da sole rossi, canticchia le strofe di queste piccole perle di cui sembra andare fiera. Fa molto bene.

Da sinistra a destra: Elasi, Marta Tenaglia, Plastica, Missey, Laila Al Habash - foto di Silvia Violante Rouge
Da sinistra a destra: Elasi, Marta Tenaglia, Plastica, Missey, Laila Al Habash - foto di Silvia Violante Rouge

L’ora dei dj set è venuta. Goedi apre col suo remix di Giornate Vuote, e in mezzo al prato Frenetik se la gode, inscenando qualche pacato passo di danza. Il set del producer milanese procede pulito, tra personali versioni di brani di Frah Quintale e Joan Thiele e pezzi da 90 della techno d’oltreoceano. Ormai è quasi buio, le zanzare non si vedono più ma si sentono, a grappoli su braccia e gambe. I Coma Cose fanno alzare di scatto chi si era seduto in attesa. Il loro non è proprio un dj set. Iniziano con un bigino indie e punk, Ramones, The Cure e Amyl and the Sniffers, per poi sparare in serie tutti i loro successi. Il pubblico canta felice, loro ballano senza scomporsi, e senza dover dimostrare di aver un gusto particolarmente ricercato. Apprezzabile.

Coma Cose - foto di Silvia Violante Rouge
Coma Cose - foto di Silvia Violante Rouge

Quando California e Fausto scendono dal palco la serata può entrare nella sua parte più viscerale ed oscura. Protopapa mette in scena il primo atto dello show di Fluidostudio con un set che chiede ad alta voce di iniziare a ballare sul serio, e la richiesta è subito esaudita. Il pubblico alla Triennale è tanto ma non troppo, c’è libertà di muoversi, e si respira l’aria di uno spazio sicuro per tutti. Bawrut comincia con un remix del Canto della Libertà e inizia a trascinarci negli inferi, alla ricerca di radici culturali dimenticate. I piedi di tutti ormai pestano la terra e alzano polveroni che si mischiano al fumo sparato dalle macchine accanto alla console.

La Triennale è definitivamente avvolta dalle tenebre di un sound che se Asian Fake dovesse abbracciare nel breve-medio termine sarebbe un gran bene per tutti. E quando una versione impastatissima di  JE ‘O TTENG E T’O DDONG’ finisce di ossessionare il parterre un ragazzo magro col cappellino prende il posto di Bawrut e inizia a smanettare sul pc.

Il pubblico della Triennale - foto di Silvia Violante Rouge
Il pubblico della Triennale - foto di Silvia Violante Rouge

Il set di Turbosud è all’insegna della “technopizzica”. Mentre sullo schermo scorrono visual psichedelici di tamburelli che si incrociano tra loro e vengono sezionati, scomposti e distrutti, la musica tradizionale pugliese viene asciugata, dilatata, maltrattata in ogni modo, ma sempre con devozione. E quando durante un intermezzo quasi ambient qualcuno dal pubblico urla “Facci ballare bro!”, i sample di percussione tornano a imperversare su chi è rimasto a ballare, incurante dei piedi neri e del male alle ginocchia di domani.

La chiusura è affidata a Il Romantico, che mette un punto a quello che qualche ora prima Protopapa aveva cominciato. Il reggaeton che offre per concludere la serata è viscerale e panciuto, perfetto per conciliare un viaggio di ritorno, per uno stordimento finale. La musica è finita, il domani è oggi

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L'articolo Una discesa negli inferi musicali con Asian Fake di Gabriele Vollaro è apparso su Rockit.it il 2022-07-04 14:13:00

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