Perché le canzoni non finiscono più con la dissolvenza?

Sono almeno 20 anni che non si usa più nelle canzoni in classifica. Ma perché?

Dissolvenza
Dissolvenza
20/11/2014 - 09:11 Scritto da Nur Al Habash

Oltre che ad aver rivoluzionato la fruizione musicale, le nuove tecnologie hanno anche influenzato l'evolversi della musica stessa con l'introduzione di nuove tecniche e il declino di altre. È il caso della dissolvenza, la tecnica che fa concludere il brano con una lenta diminuzione del volume durante gli ultimi secondi, molto in voga fino a 20 anni fa ma ora completamente abbandonata: praticamente tutte le canzoni nella top 10 del 1985 terminavano così, ma a partire dagli anni '90 si è iniziato a preferire finali più netti e concisi.
Nella classifica delle migliori 10 fra il 2011 e il 2013 l'unica canzone che termina in dissolvenza è "Blurred Lines" di Robin Thicke, che musicalmente ha uno stile piuttosto retrò.

La storia della dissolvenza inizia nel 1820, con il compositore Gustav Host che piazza un coro femminile in una stanza la cui porta si inizia a chiudere in maniera quasi impercettibile, fino a che il suono arriva agli spettatori lontano ed ovattato, come venisse da un pianeta lontanissimo (non a caso, il movimento si chiamava "Neptune"). Più avanti si è cercato di ricreare questo effetto in molti modi, non ultimo l'allontanare progressivamente il fonografo dalla sua fonte. Esempi di questi primi esperimenti si possono ascoltare in "Beyond the Blue Horizon", una canzone di George Olsen del 1930 che termina con il passaggio di un treno, oppure in "Spirit of '76" una registrazione del 1894 della Berliner Gramophone in cui si sente una banda di fiati e percussioni avvicinarsi e allontanarsi. 

Con l'avvento della registrazione elettronica negli anni '20 e quella su nastro magnetico tra i '40 e i '50, gli ingegneri del suono cominciarono ad utilizzare la dissolvenza per fini pratici; la tecnica permetteva infatti di accorciare le canzoni per farle stare in un lato solo del vinile o per venire incontro alle esigenze delle radio, che volevano suonare più canzoni possibili. La registrazione non era più soltanto un modo di documentare le performance dal vivo, ma anche una sorta di forma d'arte che la canzone pop fu svelta ad utilizzare. 

Tra i primi a sperimentare ci furono ovviamente i Beatles, che cominciarono a sostituire chiusure nette con finali più creativi, registrando alcune fra le dissolvenze meglio riuscite di tutti i tempi. "Helter Skelter" e "Hey Jude" sono due begli esempi. 

 

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Un altro esempio emblematico è la dissolvenza di “Life During Wartime” dei Talking Heads, che non termina con un giro strumentale o con la ripetizione di un ritornello ma con la voce di David Byrne che canta un’intera nuova strofa, lasciando che l'ascoltatore si domandi quante strofe ci siano ancora nella canzone. 

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Per capire meglio l'impatto di questo effetto sonoro sugli ascoltatori stati condotti anche degli studi empirici nel laboratorio musicale dell’Università della Musica di Hannover, in Germania, sottoponendo alcuni studenti ad un test: dovevano semplicemente tenere il tempo della canzone con la mano. Quelli che stavano ascoltando una canzone che terminava con una dissolvenza hanno continuato a battere con la mano per circa 1.4 secondi in più rispetto a quanti avevano ascoltato una canzone con un finale troncato. In qualche modo, quindi, la dissolvenza permette ad una canzone di continuare oltre il suo limite fisico. 

Ma perché allora è sparita progressivamente dalla nostra musica?

Probabilmente, a decretare la fine della dissolvenza sono state, ancora una volta, le nuove tecnologie. A partire dall'introduzione dell'iPod nel 2001 fino ad arrivare al presente con le playlist di Spotify e affini, il gesto più associato all'ascolto musicale è lo skip, il passare velocemente ad un'altra canzone nella lista. È notizia di qualche mese fa la statistica secondo cui la maggior parte degli utenti su Spotify salta le tracce senza ascoltarle per intero, una tendenza inversamente proporzionale all'età dell'ascoltatore.
Dovremo quindi dire addio definitivamente alla cara vecchia dissolvenza? Non è detto. Come tutte le mode, potrebbe tornare in voga da un momento all'altro.

(Via)

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L'articolo Perché le canzoni non finiscono più con la dissolvenza? di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2014-11-20 09:11:00

COMMENTI (9)

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  • brandimassi 4 anni fa Rispondi

    stupendi i pezzi dissolventi in entrata e in uscita dell album Black Celebration dei Depeche Mode-

  • ivan.b.zamellisar 10 anni fa Rispondi

    Secondo me dipende dalla registrazione dallo spazio esclusivamente "sul vinile" e poi anche dal pezzo...se è romantico o lento es.classica,pop ecc è bello sentirlo sfumato ma se è un pezzo metal o tekno per es. youtube.com/watch?v=6BOHpjI… o youtube.com/watch?v=2hGjoXR… non se pò fa!!!Finisco nel dire che non è mai stato di moda ma è un sistema di dissolvenza per canzoni,è elettronico,ora con spotify,soundcloud e soci si è dimenticato perchè non serve!!!Le mode non esistono sono solo dentro le nostre teste per apparire e basta!!!La sostanza non l'apparenzaaa ecco forse perchè non si fanno poi più tante canzoni che ti fanno viaggiare con la mente o con il cuore magari in compagnia....la musica non è tecnologia okkiooo!!! ;)

  • pabloeilmare 10 anni fa Rispondi

    Interessante...
    Ricordo che su "The Queen is dead" degli Smiths c'era un fade-in in ingresso, assurdo, non voluto, penso. Precisamente su "Some girls are bigger than others". Magari era il mio disco, che era difettoso.
    Invece in questi nostri anni '10 va di moda il finale brutale. Sei lì che stai ascoltando e d'un tratto... il pezzo finisce.
    In Italia lo fa la produzione dei Baustelle.
    Non ho ancora capito se mi piace o no, ma dammi il tempo di capirlo e non andrà più di moda.

    E torneremo al finale di Careless Whispers...
    Romanticismo e limoni.
    Mica male...

  • qlone 10 anni fa Rispondi

    Bello l'articolo, ma non mi è chiaro come si collegano l'abitudine allo skip e la dissolvenza delle canzoni. Qualcuno me lo spiega?

  • paolo.gresta 10 anni fa Rispondi

    Splendido pezzo. Peccato che i vostri articoli non siano firmati. Non so con chi complimentarmi! :)

  • marcello.parenti.1 10 anni fa Rispondi

    Una delle dissolvenze che avri voluto non ci fosse, ovvero avrei voluto che il brano andasse avanti ancora per parecchi minuti: Sultans Of swing dei Dire Straits...
    li forse era una questione di spazio sul vinile...però che peccato tagliare gli assoli del fantastico Mark...

  • rockitadmin 10 anni fa Rispondi

    @AlbertoLorenzoCipolla grazie, correggiamo

  • AlbertoLorenzoCipolla 10 anni fa Rispondi

    Figo. Occhio solo al refuso: "The Planets" di Holst è del 1916 (anzi, 1920 se consideriamo la prima esecuzione), non del 1818

  • valiumpost 10 anni fa Rispondi

    Io ho sempre pensato la questione fosse lo spazio limitato del vinile, quindi invece di fa continuare la canzone la si dissolve (non è che dissolvendo fai andare oltre la canzone, la fai finire prima di quando finirebbe), con l'arrivo del cd questo problema non c'era più. Francamente io preferisco i finali "veri", secchi, con la dissolvenza rischi di perderti certe finezze (ricordo quando da ragazzo comprai il cd di Machine Head dei Deep Purple, doppio cd, con versione originale e versione remixata, tipo. Beh, lì si sente bene la differenza tra le versioni originali, che sfumano e le versioni remixate che, per fortuna, finiscono al punto giusto. E io mi chiedevo, ma ero ragazzo eh, perché diavolo nella versione originale sfumassero, non trovando un senso alla cosa).