Ema profeta in patria: il racconto della maratona napoletana di Geolier

2 live, 3 ore di concerto, più di 40 brani in scaletta. Il rapper napoletano mette in piedi un doppio show dalle dimensioni "springsteeniane" nell'Ippodromo di Napoli, qualcosa che era difficile anche solo sognare. In mezzo alla folla di fan c'eravamo anche noi: ecco com'è andata

Geolier - Tutte le foto sono di Vittorio Cioffi
Geolier - Tutte le foto sono di Vittorio Cioffi

Quello napoletano è un ecosistema musicale che in certe fasi è stato, e tutt'ora in parte è, parzialmente autonomo. Il suo giro di artisti, di pubblico, i suoi idoli spesso diversi da quelli del resto d'Italia. Per chi è riuscito a sfondare il muro invisibile che separa dalla musica del resto d'Italia, ciclicamente si è sempre posto il problema del "ritorno", del concerto in cui si gioca in casa e, per forza di cose, si misura in parte anche il successo ottenuto fuori. Soprattutto, si misura la salute del rapporto con la città, che in un modo nell'altro sembra essere sempre la fonte d'energia degli artisti napoletani, quello che se viene reciso fa sparire ogni potere. Anche adesso, in un momento di sfacciata attenzione per tutto quello che viene prodotto dalla (e sulla) città, la questione mantiene un suo senso.

Geolier, nei sette anni passati del successo imprevedibile diP Secondigliano, è passato attraverso varie consacrazioni, prima come astro nascente della scena rap e poi come parte del mainstream musicale più nazionalpopolare, magari un po’ defilata, e ogni volta non sono mancate le prove del ritorno. Un'epica, quella del nostos, che Emanuele è riuscito a maneggiare con cazzimma ed accortezza, come ha fatto con quasi tutti i passi artistici e mediatici della sua carriera. Su queste pagine abbiamo parlato del cinematografico live al Red Bull 64 Bars di Scampia come un momento di incoronazione, a cui poi sono seguiti, appena reduce del successo a Sanremo, i tre mastodontici sold out allo stadio Maradona e la presenza fisse ai festeggiamenti per lo scudetti del Napoli. Del resto, Geolier ha una personalità artistica magnetica ed appartiene ad un’epoca carburata dalla logica dei maxi eventi. 

Geolier all'Ippodromo di Napoli
Geolier all'Ippodromo di Napoli

In questo senso, la doppia data all’ippodromo di Agnano suona come una conferma ulteriore e una prova di forza, magari all’apparenza meno simbolica come la data allo stadio, ma pur sempre una mossa dal peso specifico non indifferente. L'enorme area di Agnano è quella che viene indicato spesso come possibile futuro per i concerti a Napoli, anche per alleggerire stadio e Piazza del Plebiscito ormai ingolfati. Un futuro ancora da disegnare, soprattutto sul piano logistico e della mobilità, ma che già due anni fa ha mosso i primi passi con le 50.000 presenze del Marrageddon e che non può che continuare  con Geolier, da qualche tempo cittadino flegreo per scelta. Viene però da chiedersi, in questa carriera individuale e in questo panorama affetto da gigantismo, cosa possa offrire di nuovo e di unico un appuntamento così.

Innanzitutto, mettere ancora una volta in scena quella che forse si potrebbe rivelare la vera arma segreta del giovane rapper, una voglia sincera di fare sempre meglio. Emanuele ha 25 anni e ancora tanta fame, fame di sperimentare cose nuove, di crescere e presentare qualcosa di nuovo e migliore al suo pubblico. A sentire le sue parole nell’incontro pre concerto, non è (solo) un discorso di numeri, ma di ricambiare in qualche modo quella città che, per qualche motivo, ha scelto lui per rappresentarlo. Lui che in fondo è un ragazzo qualunque che si è messo davanti ad un microfono e non ha niente di diverso rispetto a un qualsiasi altro ragazzo napoletano. Viene da crederci quando te lo dice con le ciavatte bianche di spugna al piede, lo sguardo ancora un po’ timido davanti a qualche domanda inaspettata. Un po’ più difficile ricordarselo quando qualche ora dopo compare in cima ai 18 metri di altezza della torre centrale della struttura di sette pilastri (più due nel parterre) dotati di ledwall verticali che costituisce il palco.

Un freestyle segna l’inizio di una maratona di tre ore per sviscerare una smitragliata di 43 brani, una discografia non lunga ma ormai importante. Dove forse l’apice in termini di storytelling per ora è rappresentato dal secondo Il coraggio dei bambini ma che con Dio lo sa  ha davvero cementato una capacità di scrittura chirurgica e devastante, in grado di autoalimentare il proprio mito con intelligenza e il giusto livello di tronfiaggine, di trovare il singolone senza mai cercarlo troppo fuori dai territori di partenza.

Volo sul pubblico
Volo sul pubblico

Così Ricchezza e Napo*****o sono le narrazioni corali sulla periferia che risuonano fortissimo nel cratere flegreo in cui ci troviamo, quelle con cui, ci diceva in pomeriggio, “sale sul palco la Napoli ribelle e un po’ romantica, quella rionale che ce la vuole fare”. Le storie che richiamano anche un breve accenno alla violenza fratricida che ancora insanguina le strade della città e colpisce soprattutto i suoi figli più giovani, poche frasi significative in cui, neanche troppo velatamente, il cantante racconta un superamento (ma non un’abiura) dell’immaginario gangsta dei primi testi. 

Quando So Fly, una Per sempre quasi metal o Emirates mettono in scena un’autocelebrazione trionfale e orgogliosa, più che di qualche numero su Spotify si parla di un percorso che in pochi anni ha visto Emanuele Palumbo vivere un’epopea difficile da immaginare. In cui alle gioie e alle difficoltà di fare successo in un contesto dove non è previsto che ce la si faccia, si sono affiancate diffidenze. Attacchi. Le trappole mediatiche, che, appena ha iniziato ad avvicinarsi alle luci della ribalta, gli hanno scaricato addosso decenni di pregiudizi ed a momenti quasi gli hanno chiesto di rendere pubblicamente conto per la città di Napoli.

Accanto a questo racconto, c’è ormai un ricco bottino di vere e proprie canzoni: Na catena, Si stat tu, Mai per sempre, Episodio d’amore sono dei momenti singalong, in astuto equilibrio, tra hit parade italiana e neomelodica da finestrino abbassato che fanno esplodere la marea di voci. Quelle di chi sta affollando il vecchio circuito ippico dalla mattina, qualcuno anche dalla sera prima, sotto al sole impietoso di questo infuocato venerdì di fine luglio napoletano. Un pubblico di 60.000 persone tra comitive di ragazzi e ragazze di ogni età, adulti sparsi, un sacco di famiglie con scugnizzielli al seguito.

L'ippodromo dall'alto
L'ippodromo dall'alto

L’Ippodromo è enorme e per nulla raccolto, da dietro la visibilità è bassa e chi prima arriva e più sborsa per Red Zone o pit meglio vede; a questa logica oggi non si scappa, ma il padrone di casa ci ha assicurato che è stato proprio il desiderio di includere il più possibile tutto il pubblico a dare spinta ai due momenti speciali del concerto, in cui lo spazio della venue viene sfruttato in maniera non convenzionale. Il primo è un drone show di 500 unità, realizzato da Artech e Dronisos, posizionato sul fondo della platea. Le prove dei giorni scorsi le avevano avvistate un po’ tutti in zona est a Napoli (con relativi spoiler Tik Tok), ma a onor del vero una trovata del genere è un’assoluta prima volta per un musicista italiano: nel cielo del cratere prende corpo una gallery di animazioni iconiche che procede dai loghi Geolier alla silhouette di Diego, per terminare con la skyline del golfo, la scritta Napoli e un annuncio: Stadio D. A. Maradona 26 giugno 2026, a conclusione del tour già annunciato che lo porterà al San Siro, all’Olimpico e al Franco Scoglio di Messina, campione in italia.

Proprio il Red Bull 64 Bars che prende il titolo da uno dei motti degli ultimi scudetti del Napoli è il protagonista del secondo stunt di questo live. Di artisti che si spostano volando su un cavo capita di vederne, ma c’è un tocco cinematografico particolare a vedere Emanuele volteggiare a testa in giù, roteare e rimbalzare tra il pubblico di metà parterre cantando tutta Campioni in italia, una discreta mina di flow che affaticherebbe i più anche in condizioni normali, e la hit da cui tutto è partito, P Secondigliano.

Forse Emanuele è rimasto ancora piantato con i piedi per terra (no pun intended), attento  a crescere in ampiezza più che in altezza (Per sempre), ma è cambiato veramente tutto rispetto a quei due ragazzi in stanzetta con un typo beat rippato da YouTube. Adesso Emanuele è un giovane professionista che pensa sempre al passo successivo, che reduce da Sanremo (un’esperienza dopo cui, dice, ormai è pronto a tutto) è volato in West Coast ad imparare i suoni dai produttori americani per il prossimo album, che sul palco non urla più sulle basi con la voce in spia ma si circonda di una fortissima band di 4 elementi, affiancato sulle ali da due sezioni di un’orchestra di 23 elementi.

Geolier con l'imbracatura
Geolier con l'imbracatura

Nulla togliere alla sezione beat e voci condotto da Poison Beatz, una carrellata di brani che ci trasporta di nuovo agli albori dell’allora nuova scena napoletana con Mv Killa, Slf e Lele Blade e brani come  Amo ma chi t sap, Heets, CLS; però è un piacere è un piacere, alla sacrosanta faccia dei fiumi di parole sugli strumenti veri, sulla morte dei live eccetera, vedere Geolier reinventare alcuni dei suoi maggiori successi e destreggiarsi tra i groove esagerati di Vicky Landolfi (uomo-partita della squadra) e i soli di chitarra. Crescere dal naturale spontaneismo dei primi tempi fino ad arrivare alla gestione di uno show mastodontico per spazi, tempi ed effetti speciali, dove tutto è calcolato al minuto ma c’è ancora spazio per il divertimento e l’emozione, di chi suona come di chi guarda.

Il momento intervista in pomeriggio si è aperto proprio così: “Sono emozionato, ma mo’ sono solo concentrato, aggià cantà buono”. Più avanti ci dirà che suonare in gruppo, anche se il pubblico guarderà sempre il ragazzo col microfono, è un modo di fare squadra, un’ennesimo sfida personale e collettiva che mette tutti insieme l’uno nelle mani dell’altro, ognuno responsabile di fronte al pubblico e di fronte agli altri del sudore versato insieme in sala. Forse siamo ancora intontiti dai fuochi e dagli effetti speciali, ma non ci sembra strano pensare che, ora come ora, Emanuele Palumbo è arrivato in cima al pantheon dei performer italiani, e compete nel suo campo compete probabilmente solo con Marracash.

Dove può andare più in alto di così l’ambizione di uno scugnizzo così? La nuova campagna negli stadi 2026, certo, con un nuovo album passato per gli studi americani e qualche nuova trovata scenografica. Ma la direzione più interessante è quella che immagina lui stesso prima del live, ed è quella che va oltre il gigantismo e i numeri, verso il ritorno ad un contatto diretto con quella enorme famiglia che adesso si raduna in platee sterminate, o si ritroverà in spazi digitali come quelli della G-Fam, la community/fan club (gratuito) che sarà lanciata a settembre Un tour in spazi più raccolti e significativi, magari negli Stati Uniti a portare nel mondo la sua visione di Napoli, magari in un teatro San Carlo dove vestirsi bene e omaggiare i maestri della canzone napoletana. Ci piace Geolier, perché sogna in grande ma ha ancora uno sguardo curioso e attento, puntato sul futuro e su quello che lo circonda.

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L'articolo Ema profeta in patria: il racconto della maratona napoletana di Geolier di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2025-07-28 15:33:00

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