Erriquez, la voce di quando tutto era più bello

La morte di Enrico Greppi, cantante della Bandabardò, è stata una scioccante presa di consapevolezza. La fine di un'era finita da un pezzo, che per motivi anagrafici è stata la migliore di tutta la nostra vita. Grazie anche a una colonna sonora profonda e meravigliosamente fricchettona

Il primo disco della Bandabardò l’ho comprato quasi per caso. Erano i primi giorni del 2002, con un gruppo di amici si tornava da una trasferta per il Capodanno e ci si fermò da qualche parte, con un obiettivo molto preciso: comprare qualcosa per farsi dare come resto i primi Euro, appena entrati in circolazione. Il mio acquisto fu Se mi rilasso… collasso, album dal vivo pubblicato pochi mesi prima dalla band. Non avevo mai ascoltato nessun loro pezzo, se non di sfuggita, ma nei mesi successivi non ascoltai altro. Andai a recuperare gli album e nei 2-3 anni a venire mi feci un bel po’ di concerti. Quando ieri mattina è apparsa la notifica della morte di Enrico Erriquez Greppi, il frontman della Bandabardò, probabilmente non ascoltavo un loro pezzo da dieci anni abbondanti. 

Scorrendo i social e andando a leggere i commenti sotto la - bellissima - lettera d’addio di Erriquez, insieme alle dimostrazioni di affetto, si può trovare un elemento in comune. La quasi totalità dei commentatori parla della Bandabardò identificandola con un periodo della propria vita, che a spanne si colloca tra gli ultimi anni delle superiori e i primi anni di università/mondo del lavoro. Un periodo molto preciso, caratterizzato da cambiamenti radicali e da nuovi equilibri da trovare. In quella situazione, le canzoni di Erriquez e della Bandabardò avevano una funzione di fuga, lontanissime da quello che si viveva. Un po’ come i musical e la loro tipica funzione escapista, i pezzi cantano di eterni fricchettoni o ubriachi innamorati, celebrano (senza alcuna vena maledetta, anzi) l’alcool delle venti bottiglie di vino o del mojito, fino a quelli che sognano un mondo pacifico e pacificato, con l’incrollabile certezza che - prima o poi - succederà.

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Al netto di tutto, la capacità di Erriquez è stata quella di scrivere pezzi che hanno portato la leggerezza in un mondo musicale che di leggero non aveva nulla, perché la Bandabardò nasce e vive in quel sottoinsieme di musica orgogliosamente di sinistra che aveva sullo sfondo le posse e i centri sociali, ma che declinava tematiche e messaggi con un linguaggio differente. È il combat folk dei Modena City Ramblers, non a caso la band più spesso avvicinata alla Bandabardò, più per il tipo di pubblico che per la proposta musicale e, passatemi il termine, ideologica. Da sempre, i Ramblers hanno scelto  la strada più dritta per cantare le proprie idee, dando alle proprie canzoni indirizzo e mittente ben precisi, al di là che il contenuto fosse la politica italiana, la situazione internazionale o figure simbolo. 

Se andate a cercare nella discografia della Bandabardò, non troverete pezzi di questo tipo: troverete in compenso la costruzione di un’antiepica, che diventa universo di riferimento. La forza di Erriquez e dei suoi è stata di aver creato un mondo abitato da personaggi e situazioni sempre coerenti, in cui dischi e canzoni sono le fondamenta e i live l’elemento detonante. Perché la vera dimensione della band è sempre stata quella del live, che esaltava l’anima punk anche delle canzoni più placide, per concerti che erano cantati e pogati in egual misura. Erriquez è stato il gran cerimoniere di tutto questo, primo fricchettone tra i fricchettoni, a sua volta perfettamente calato in quel mondo che aveva contribuito a creare e popolare: altissimo, incurvato su chitarra e microfono, il pizzo lungo e arrotolato, gli outfit fuori da ogni logica di immagine, una voce profonda, ma vicina e soprattutto la sensazione epidermica di una grande umanità. 

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Se avevi vent’anni all’inizio dei 2000 e ti sentivi di sinistra (senza dover fare troppi distinguo, ai tempi), era impossibile non entrare in contatto con la Bandabardò o finire a un loro concerto, per il semplice motivo che il mondo in cui vivevi tu e quello creato da Erriquez erano osmotici. Non andavi a cercarli, in qualche modo ti arrivavano addosso. E, se li apprezzavi, ci finivi dentro. Come erano arrivati, però, se ne andavano: perché il tuo mondo nel frattempo era cambiato, perché quella vicinanza finiva o perché quella stessa coerenza di immaginario, elogiata poche righe fa, alla lunga diventava un orizzonte troppo conosciuto e la repubblica dei fricchettoni faceva la stessa fine della leggenda di Babbo Natale: archiviata senza troppi fronzoli. 

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Nel frattempo, loro andavano avanti, continuando a scrivere canzoni, pubblicare dischi e suonare dal vivo, arrivando ad assistere ad almeno tre ricambi generazionali del proprio pubblico. Mentre intorno tutto cambiava, le distinzioni erano sempre più complesse e il partito risultava non pervenuto (semi-cit). Un’altra frase citata da tanti sui social recita che “si è chiusa la mia adolescenza”. Un po’ troppo melodrammatica e retorica, forse, ma di fatto la scomparsa di Erriquez segna la fine di qualcosa, perché la Bandabardò è stato un caso unico nella musica italiana degli ultimi 25 anni: una band diversa da tutti e imitata da nessuno.

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L'articolo Erriquez, la voce di quando tutto era più bello di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2021-02-15 14:05:00

Tag: addio

COMMENTI (6)

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  • marcocorsini 3 anni fa Rispondi

    Tutto esatto un artista vero , conosciuto il 31 dicembre 2019 di persona insieme ai #KIDSBAND2018 KIDS . Ciao Errique RIP

  • fabbro00 3 anni fa Rispondi

    Tutto giusto. Grazie per averlo scritto

  • inpoggio 3 anni fa Rispondi

    La prima volta che ho amato davvero la Bandabardò era il novembre del 2002. Avevo festeggiato i miei 35 anni a Firenze durante lo European Social Forum, dove mi occupavo di ufficio stampa estera, trovando scantinati segreti per riunioni impossibili, come quella tra Attali, Bové e Hollande.
    Raggiunsi Bologna da solo per prendere il treno charter della pace, che ci portava tutti (fricchettoni dici tu, antagonisti e disobbedienti si diceva noi) a Cosenza.
    Dalla stazione di Cosenza attraversammo tutta la città in migliaia, arrivati da tutta Italia. Io feci tutto il percorso accanto a un camion Iveco bianco sul cui cassone era stato montato un impianto megawattico con casse gigantesche che sfondavano i timpani. Ogni tre pezzi il dj rimetteva il nostro inno, Beppeanna, conosciuta meglio come Attenzione Concentrazione Ritmo e Vitalità. Chiesi a una ragazza che era con me "ma chi sono questi? Fortissimi, li amo!" e lei "Bandabardò!". Prima di vederlo poi scritto, per diversi giorni avevo memorizzato quel nome come Bande à Bardot

  • jappa62 3 anni fa Rispondi

    Commento vuoto, consideralo un mi piace!

  • cordialmente 3 anni fa Rispondi

    Sottoscrivo tutto

  • pons 3 anni fa Rispondi

    Che belle e giuste parole, é andata proprio così.