L'eterna adolescenza inquieta di Gian Maria Accusani

I Prozac+ e i Sick Tamburo, l’indipendenza e l’impegno, la scomparsa di Elisabetta. Siamo andati a vedere “Da grande faccio il musicista”, spettacolo del musicista pordenonese. Per cantare ed emozionarci con lui

Gian Maria Accusani sul palco dell'Arci Bellezza
Gian Maria Accusani sul palco dell'Arci Bellezza

Gian Maria Accusani – autore, chitarrista, batterista, cantante e leggenda del punk italiano, prima con i Prozac+ e poi con i Sick Tamburo – arriva all’Arci Bellezza di Milano alla vigilia di Sant’Ambrogio, il santo patrono che sembra per ora immune alla cancel culture. Porta il suo ultimo show live in una città pressoché deserta (i ponti continuano a svuotarla ben più del Covid) senza nemmeno la compagnia del suo socio tecnico, rimasto a casa bloccato dalla febbre. “Mi fa schifo viaggiare da solo”, confessa, mentre aspettiamo di vederlo salire sul palco. Con lui però c’è, come sempre, l’amata bassotta Brunilde. Lo aspetta in macchina, avvolta in una coperta a combattere senza troppo stress i 2 gradi centigradi scarsi di questa rara notte di vero inverno: “È la mia fidanzata, ho fatto tutto per lei”.

 
 
 
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Indossa il trucker hat, il cappello da camionista. È l’omaggio a un certo immaginario americano punk rock che lo ha sempre affascinato. Lo indossa calato sugli occhi fino a nasconderli, esplicitando un messaggio che sarebbe sbagliato interpretare come legittima difesa: figuriamoci se un uomo così può temere il giudizio di qualcuno. Qui si parla di tutelare il proprio sé, di delineare un comportamento sociale, poter vedere senza farsi vedere troppo. Eppure di qui a poco Gian Maria salirà sul palco per il suo più nudo e scoperto spettacolo di sempre, una sorta di esperimento di teatro canzone-punk. Il racconto della propria vita accompagnato dalle sue canzoni. Storytelling di verità estrema capace di illuminare l’anima e spezzare il cuore. Titolo: Da grande faccio il musicista.

Eccolo dunque. Incorniciato dalla tende rosse del palco della sala da ballo del Bellezza, in imperfetta solitudine, sale sul palco con la sua diavoletto Gibson nera pluggata ad un amplificatore Orange: senza nessun orpello e nessun alibi. Una breve introduzione, perché presentarsi serve anche a scaldarsi, a creare il giusto contesto per storie che vanno a illuminare anche le zone più buie. Racconta la sua giovinezza nella Pordenone degli anni del Great Complotto, il collettivo punk situazionista vanto internazionale della città. Di sé dice di essere un adolescente sintonizzato sulle frequenze dell’inquietudine, che trova risposte nella musica. Capisce che la sua vita può avere senso solo se agìta.

Sceglie: “A quell’epoca dovevi essere forte fisicamente oppure un delinquente vero, a me piacevano i diversi”. Trova il suo nirvana nella batteria, il suo strumento prediletto. Ma è con la chitarra suonata come un diario percussivo, invece, che impara a raccontare il suo mondo fatto di ultimi. Primo pezzo suonato: Betty Tossica, la storia di una eroinomane (“la più bella che c’è”) che non conosceva personalmente ma che lo aveva affascinato.

Accusani è un simbolo del punk rock e del mondo cosiddetto alternativo italiano, in lui ci sono tanti elementi della storia di tutti noi. L’esperienza a Londra (“a 18 anni ho mollato tutto, scuola e famiglia: sentivo di dover vivere lì”), la mecca delle sottoculture. Batterista nella seconda metà degli anni Ottanta nei Futuritmi (prima di Gigolò Look) di Davide Toffolo, che poi avrebbe fondato i Tre allegri ragazzi morti; un disco realizzato con Nick Griffiths, il produttore dello spettacolo di The Wall di Roger Waters. Il richiamo forte, fortissimo, a un’indipendenza che non può non dipendere dall’impegno. Il periodo come tour manager (per i Beastie Boys tra gli altri), che gli insegna l’approccio americano professionale alla musica: “Se vogliamo fare crescere questo sistema, dobbiamo dare il massimo supporto e usare rigore sistematico e smettere di essere amatoriali”, scandisce dal palco mentre ricorda quei giorni (con un bel vaffanculo implicito a quelli che invece pensano solo a giochicchiare).

 
 
 
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La parte centrale dello spettacolo è dedicata ai Prozac+ fondati insieme alla fidanzata di allora, Eva Poles, assieme ad una bassista che aveva risposto ad un annuncio, Elisabetta Imelio. Il concerto al Beach Bum Festival di Jesolo a cui seguono le offerte dalle maggiori case discografiche. Il successo enorme di Acida, che diventa l’inno di una generazione che ha le tasche piene di droga e disagio ma in qualche maniera cerca di esorcizzare i propri fantasmi facendo festa. Una carriera importante lunga dieci anni, con picchi di goduria che a ritroso fanno vertigine. La fine di quell’esperienza, di un rapporto, ma la consapevolezza profonda di aver trovato un’anima gemella in Elisabetta. Un nuovo gruppo che con lei, da una sua volontà, nasce di lì a poco: Sick Tamburo.

Elisabetta, già. La parte più spaccacuore di Da grande faccio il musicista è quella dedicata a lei. La delicatezza e la tenerezza con cui Gian Maria affronta la sua malattia conducono spediti alle lacrime. Qui il racconto incrocia esperienza personale, ricordi, dolore e amore, dialogo fra scienza e spiritualità. Le canzoni sono quelle dei Sick Tamburo di Un giorno nuovo, il loro capolavoro. Ne suona qualcuna, con questa diavoletto che gratta usata come fosse diversamente acustica. Prima di La fine della chemio, la traccia che chiude quell’album, c’è spazio per raccontare quanto questa canzone avesse saputo cambiare l’umore di Elisabetta durante le cure, darle forza e prospettiva, permetterle di vincere la paura di morire. Purtroppo conosciamo l’epilogo.

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È tutto serrato, non c’è pausa. Il ritmo è sovrano su quel palco, Accusani lo sa. Le canzoni così suonate sono essenziali, come d’altronde tutto è in Da grande faccio il musicista. C’è spazio solo per la verità, che esalta per contrasto la filigrana di un artista definente, irripetibile e generoso. Un uomo che ha passato la vita a cercare di salvare le persone a cui ha voluto bene, la propria cagnolina sfortunata, il figlio lontano; empatizzando e schierandosi con quelli nati male, gli sbagliati, gli irrisolti.

Un songwriter dal timbro unico e inimitabile, dalle parole crude e vivide, che attraverso la sua sensibilità e il suo fuoco ha saputo non solo raccontare una generazione (quello avremmo potuto dirlo negli anni '90 relativamente ai Prozac+) ma un vero e proprio fenotipo occidentale. Incarnando con sincerità l’ideale di una musica nata dagli ultimi per gli ultimi, il punk, ha parallelamente spiegato che è proprio quando si toccano gli estremi più annodati e problematici della società che si riesce a parlare anche ai primi. A quel mondo di fuori che forse in un certo puzzo di immondizia sente inconsciamente di riconoscere anche se stesso.

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L'articolo L'eterna adolescenza inquieta di Gian Maria Accusani di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2021-12-13 16:51:00

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