Il 10 Ottobre è la Giornata Mondiale della Salute Mentale, un tema particolarmente vivo e sensibile, che negli ultimi anni ha acquisito una sempre maggiore consapevolezza nell'opinione pubblica. Non è da meno il mondo della musica, che anzi è tra i settori lavorativi che soffre più di disturbi psicologici. Di questo si occupa tutto l'anno Restart – A Safe Space for Music Minds, il primo sportello in Italia di supporto psicologico per musicisti e addetti ai lavori.
Martedì 11 ottobre alle 18:30, a Base Milano (all'interno della rassegna Future Sounds Better) si terrà un meeting informale con Restart per parlare di come iniziare a creare un'industria musicale psicologicamente sostenibile e sana (qui il link all'evento). Ne abbiamo parlato con Azzurra Funari, Michela Galluccio e Flavia Guarino, le tre fondatrici di Restart.

Intanto: chi sei, cosa fai nella vita?
Michela: Sono una psicologa, una consulente aziendale e una grande amante dell’arte. Lavoro con la musica, con i videogiochi, con la fotografia... Insomma, cerco sempre dei nuovi modi per declinare la psicologia in tante forme d’arte differenti!
Azzurra: Bella domanda... Nella vita mi occupo di musica e nello specifico di new business.. In pratica cerco strategie ed economie che diano linfa e spinta ai progetti artistici, collaborando con brand e istituzioni.
Flavia: Sono Flavia Guarino, lavoro nel music business da quando avevo 18 anni lavorando per azione quali Barley Arts, OTR Live e attualmente DICE. Ho una formazione principalmente incentrata sul management e sul supporto e la crescita a 360 gradi di progetti musicali, dal 2019 sono co-founder e presidente di Restart.
Perché è importante il World Mental Health Day anche per l'industria musicale?
Azzurra/Michela: Il settore musicale e il mercato a cui fa riferimento, proprio per la sua complessità e precarietà, porta i professionisti e gli artisti con più facilità ad soffrire di problematiche di tipo psicologico. Lo stress a cui siamo soggetti, i ritmi sempre frenetici e incalzanti non sono sempre semplici da gestire e questo può comportare l’insorgenza di disagi e sofferenza che dobbiamo imparare a riconoscere e soprattutto a prevenire.
Flavia: È importante perché viviamo in un momento storico dove, al netto della grandissima divulgazione sul tema avvenuta negli ultimi anni, anche e soprattutto a causa della coda lunga degli strascichi della pandemia, continua ad esserci un grosso problema in termini pratici: musicist* e addett* continuano ad avere una certa ritrosia nel cercare e richiedere (e spesso anche ricevere da parte delle aziende stesse per cui lavorano) il supporto di cui hanno bisogno. C’è una stigmatizzazione ancora fortissima sul tema salute mentale che, anche se scalfita, ancora non è stata totalmente abbattuta. Un giorno come il World Mental Health Day è importante per portare avanti toto corde queste istanze e veicolare dei messaggi positivi ma soprattutto pro-attivi. La salute mentale è ancora posta al secondo piano e questo non perché non ci rendiamo conto della sua importanza ma perché siamo cresciuti con lo stilema cardine per cui la salute mentale è un privilegio, che esistono “problemi più seri”, ma in un mondo e in un momento storico in cui siamo tutt* atomizzat* e sol*, non vedere i problemi di salute mentale che ci affliggono è una grossa miopia sociale.

Quali problematiche vivono gli artisti?
Flavia: Quello che ho notato, tra l* artist* è un grandissimo scollamento tra quella che è la propria figura pubblica e il proprio io personale, in una sorta di dissociazione fortissima e dolorosa, profondamente condizionata da una music industry che offre degli esempi di successo “tutto e subito” che sono l’eccezione e non la regola. È un problema serissimo che è sotto i nostri occhi e dovrebbe farci riflettere tanto rispetto a dove stiamo portando umanamente il mercato e in cosa lo stiamo trasformando. Altro tema è l’approccio all’iper lavoro sempre connesso al discorso di cui sopra. Vedo tantissim* artist* millantare una routine riposo zero che non collima con gli obiettivi raggiunti e la loro entità. Questo tipo di ragionamento instaura dei modelli tossici che non ispirano altro che disagio sulla lunga distanza e a risentirne sono soprattutto l* giovanissim*. Ultimo disagio che ho riscontrato, questo forse su artist* più not*, attraverso anche le letture di interviste e dichiarazioni, è una totale apatia verso il resto del proprio percorso, soprattutto in chi è vittima di quel “tutto e subito” di cui sopra, come se a poco più di vent’anni avessero già avuto tutto quello che potevano mai desiderare e diventano irrimediabilmente vittime di un horror vacui devastante.
Michela: Direi sicuramente problematiche relative alla pandemia e quindi al lockdown che ha impedito loro di lavorare e di interfacciarsi col pubblico. A parte la pandemia, le problematiche comuni tra gli artisti riguardano spesso l’identità di persona e di personaggio e i confini tra la vita personale e quella professionale.
Azzurra: Molti artisti hanno dovuto lottare con un lockdown che li ha visti in particolare sofferenza: il non poter suonare in giro, avere il contatto fisico con il pubblico, li ha fortemente destabilizzati, oltre ad averli privati del loro sostegno economico. Questo li ha portati a soffrire stati di profondo disagio emotivo, nei casi più gravi sfociato in depressione.
E gli addetti ai lavori?
Michela: Sicuramente un’incidenza importante della sindrome dell’impostore. Depressione e stati d’ansia sono state le difficoltà maggiormente riscontrate, soprattutto perché generate da un lavoro fatto di scadenze tanto brevi quanto alte sono le aspettative.
Azzurra: Ho notato sicuramente una minore tolleranza agli stati d’ansia e una maggiore incidenza di attacchi di panico tra i colleghi. In media il 60% dei colleghi con una certa stabilità lavorativa, ha in corso un percorso terapeutico o di sostegno psicologico. Molti vorrebbero intraprenderlo ma non sono nelle condizioni economiche per poter accedere ad un percorso costante.
Flavia: Lato addett* ai lavori quello che noto di più è un’enorme sindrome dell’impostore, per tutt*, soprattutto quell* appartenenti all’ultima ondata di professionist* che non fanno altro che sentirsi profondamente in competizione tra l’idea che hanno di loro stessi e quell che effettivamente sono, condizionati incredibilmente dai pollici in sù dei loro colleghi sui social. Anche qui l’iper-lavoro la fa da padrone, soprattutto nelle aziende, dove, soprattutto in mancanza di strumenti di supporto psicologico adeguati, si fa fatica a far capire ai propri dipendenti la priorità di mettere davanti a tutto la propria salute mentale anche per consentire non solo un work-flow più sano ma anche e soprattutto più positivo e costruttivo, in Italia sono ancora pochissime le aziende creative che offrono questo tip di supporto ai propri dipendenti e dobbiamo renderci conto che è diventata ormai una necessità, come mai prima d’ora.

Cosa dicono i dati?
Azzurra/Michela: Gran parte della recente ricerca su come i musicisti hanno affrontato emotivamente il Covid-19 è stata effettuata nel Regno Unito. Il sondaggio della Musicians Union, ad esempio, ha rivelato che il 34% dei musicisti stava valutando la possibilità di abbandonare la propria carriera e organizzazioni come Music Support e Help Musicians UK hanno entrambe segnalato che l'87% degli artisti musicali cita un calo della propria salute mentale dopo la pandemia, con un conseguente aumento delle richieste di supporto per ansia e depressione (Waite, 2020). Inoltre, in Inghilterra come in Italia è stato riscontrato un aumento delle richieste di prese in carico psicologiche soprattutto per gli artisti, cosa che denota sì un disagio forte, ma anche un’aumentata consapevolezza.
Un mondo psicologicamente sostenibile per il settore: come lo immagini?
Azzurra/Michela: Immagino un mondo che tuteli chi lavora nella musica, sia dal punto di vista burocratico, legato alla regolamentazione dei lavoratori del mondo dello spettacolo. Un mondo in cui possa esserci l’indennità di disoccupazione per questa categoria. Inoltre vorrei un mondo più sensibile ed empatico, in cui non si debba convivere con alcuno stigma o giudizio di nessun tipo. Un mondo in cui c’è una consapevolezza tale dei propri bisogni e della propria persona, che la vergogna e la paura non possono più inficiare la salute mentale. Un mondo in cui tutti i lavoratori del settore musicale possano sentirsi riconosciuti e accolti dallo Stato, dai colleghi, dalla famiglia e da sé stessi come professionisti, ma soprattutto come persone.
Flavia: Un mondo psicologicamente sostenibile per me è un mondo che mette al primo posto il benessere a 360° di chi ne fa parte. Ed è quello che, ad esempio, da individuo singolo, vivo io in questo momento. Mi rendo conto però di essere una privilegiata sotto questo punto di vista e che, in tantissimi altri contesti del music business siamo ancora molto lontani da questa sostenibilità. Restart esiste proprio per questo, questa è la sua battaglia e tramite attivazioni sempre costanti e rispondenti ai problemi del QUI ed ORA della music industry (che ad esempio il nostro servizio Restart 4 Business, dedicato alle aziende) cerca di rendere questo privilegio accessibile a tutt*.
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L'articolo Fare musica, non farsi del male di Redazione è apparso su Rockit.it il 2022-10-10 16:00:00
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