La geografia del rumore di Mai Mai Mai

Noise, industrial e dark ambient con una maschera etnica. Questo è "Rimorso", l'album di Toni Cutrone a nome Mai Mai Mai in bilico tra eleganze ancestrali e pulsanti serenate techno, per fare sul serio con la sperimentazione

Mai Mai Mai, foto di Niccolò Berretta
Mai Mai Mai, foto di Niccolò Berretta

Provare, saggiare, testare, verificare. Sono queste alcune delle definizioni che il vocabolario ci da in mano per comprendere appieno il significato del termine sperimentare. Una di quelle parole usate, e molto spesso a sproposito, con estrema leggerezza all'interno di decine forse centinaia di recensioni. Specie ultimamente, sperimentano tutti. Sperimenta Chiello, tanto quanto Vinicio Capossela. Siamo avanguardia e non ce ne siamo accorti. Difficile.

Ma se le parole hanno ancora una loro importanza all'interno dell'analisi critica o, almeno, della riflessione da pub, allora forse a quelli come me passa anche un po' la voglia, stupida, di buttarsi nella mischia del trend imperante retto dalla “parolina” di turno. Specie se la mischia possiede una voce dominante tanto arrogante quanto menzognera, un po' troppo in buona fede per non fare un giro a 360° e perderla.

 

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In caso contrario, bisognerebbe quanto meno inventarsi un termine nuovo o trovarne di diversi per parlare con giusta coerenza e dignità di Rimorso (2022, Maple Death), ottavo disco di Toni Cutrone a nome Mai Mai Mai che sperimenta sul serio, e non solo a chiacchiere. Perché prova, saggia, testa, verifica e alla fine contamina (ma si potrebbe dire “infetta” o “contagia”, visto che stiamo ricercando il vocabolo esatto) quello che era il suo percorso elettronico-isolazionista fatto di noise, industrial e dark-ambient con una maschera etnica.

Come era accaduto per Φ/Phi (2016, Boring Machine) o per Δ /Delta (2014, Yerevan Tapes) ma con un respiro molto più strutturato, più ampio, più consapevole oserei dire. “La verità è che sono uno di quelli che non ha mai fatto parte del giro giusto - mi disse anni fa a margine di una disturbante performance al Handmade Festival - soprattutto se parliamo in termini commerciali, ma se è per questo non pensavo neanche di riuscire a incidere dischi ma solo  colmare l'enorme distanza, in primis di vita, tra me e i miei miti e tra i miei miti e la mia versione di fare musica”.

Poi la vita deve essergli andata incontro e Antonio di modi per esprimere sé stesso e il suo modo di intendere l'arte e il suo stato ne ha avuti tanti: Dada Swing, Hiroshima Rocks Around, Metro Crowd e i miei amati Trouble Vs Glue sono solo alcuni dei suoi vari progetti e collaborazioni (per non parlare del lavoro fatto dalla sua etichetta, la NO=FI Recordings), ma è come Mai Mai Mai che da oramai quasi dieci anni sembra avere trovato una sua dimensione (se non altro) individuale.  

“Confermo – mi dice Toni sereno - E direi dimensione più che stabilità: una dimensione in continuo cambiamento, stabile per quanto mutevole. Mi è sempre venuto naturale sperimentare modi sempre diversi per esprimere quello che ho da dire. Ho cercato di tenere una cifra stilistica riconoscibile, un suono che sia mio e riconoscibile, pur evolvendosi in questi oramai quasi 10 anni di Mai Mai Mai”.

Foto di Niccolò Berretta
Foto di Niccolò Berretta

Senza nulla togliere allo spessore degli accompagnatori (Maria Violenza, Nziria, Mike Cooper, Lino Capra Vaccina, Youmna Saba, ecc.), le vere protagoniste del lavoro sono le dieci canzoni (suddivise in quattro rimorsi): tra riferimenti colti (i canti di protesta delle lavoratrici del tabacco nel Salento in Fimmene Fimmene, l'ascetismo arabeggiante di Nostalgia, le polifonie vocali pugliesi a cappella di Sind) e velati amori personali (meno velati in Mediterrean Gothic, dove l'esotico tropicale della lap steel guitar di Mike Cooper precipita nell'abisso di nenie di streghe che sanno dei cari vecchi sabba a cui siamo abituati dall'esordio Theta, non a caso missato da Mr. Xiu Xiu Jamie Stewart).

Tra parole d'altrove tutt'altro che fuori contesto e brani estremamente intriganti nelle loro architetture assurde, nelle loro soluzioni bizzarre, nelle loro atmosfere surreali, in bilico tra eleganze ancestrali e pulsanti serenate techno, nel loro caleidoscopio comunicativo e nella loro vocalità camaleontica, i 54 minuti di Rimorso scorrono ritualmente in uno straordinario tripudio di citazioni, invenzioni ed evocazioni, dove i fantasmi danzano cerimonialmente, in punta di piedi intorno al cuore, spesso estremizzando - ma senza danni per la godibilità dell'insieme - il gusto per l'estrema ricerca sonora già sviluppata nei precedenti lavori. Cinque anni fa si sarebbe parlato di “Italian Occult Psychedelia”, dieci invece di “Psichedelia Esoterica”, ma oggi viene da chiedersi quanto queste etichette abbiano ancora un senso per parlare della musica di Mai Mai Mai.

 

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“Se devo essere onesto - mi confessa Toni - Italian Occult Psychedelia è un'etichetta che ho sempre trovato affascinante: ma più che alla musica in sé, per me è sempre stato il nome di una scena, di una rete di musicist* che si sono trovati a percorrere insieme una strada comune, per quanto a volte diversissima in senso estetico. Quella “scena” tuttora rimane presente e attiva e me ne sento parte, per quanto molto di quello che faccia fugga da questo nome”.

Rimorso è quindi il nuovo viaggio in quelle che il diretto interessato definì un tempo le sue “geografie del rumore”, e se vi state domandano che c'azzecca la geografia con l'ancestrale richiamo al rumore, ne capirete il senso ascoltandolo, intuendo nella volontà di straniamento tra presente e passato, collage culturali che sanno tanto di antropologia quanto di psicanalisi. E il futuro? Come sempre è incerto e più che mai per Mai Mai Mai è ancora tutto da scrivere ma oramai siamo quasi certi che la mano di Toni sia santa e dovunque pescherà, pescherà bene. Per ora, buon viaggio.
 

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L'articolo La geografia del rumore di Mai Mai Mai di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-06-01 09:53:00

Tag: album

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