Il 20 maggio del 1996 il cantautore Gianluca Grignani, reduce dal successo europeo dei disco Destinazione Paradiso dell'anno precedente, pubblica La fabbrica di plastica e stordisce fan, detrattori, giornalisti e semplici passanti con un urlo di dolore e di rabbia dai suoni acidi, taglienti, inadatti alla figura di bel ragazzo che canta canzoni dolci al Festivalbar che si era creato in precedenza. Niente pop, nessuna concessione alle teenager che hanno il suo poster appeso in cameretta, anzi, un j'accuse al sistema come pochi se ne son visti prima e se ne vedranno poi, fatto da un ragazzo che a poco più di 20 anni si prende un rischio enorme, suonando e mixando un album talmente poco commerciale da fare impallidire la scena alternativa del tempo.
Noise, suoni alla Radiohead di The Bends, code lunghe, rock tutto impastato, effetti estranianti, echi dei Beatles lisergici e testi senza compromessi. Non c'era neanche la copertina: la plastica del CD sembrava aver preso fuoco, niente foto o smorfiette, tutta realtà. Il bello è che il disco veniva fuori da una major nel momento in cui la discografia funzionava e di album se ne vendevano milioni. Un'anomalia nel sistema che con gli anni ha acquistato sempre più un valore di disco di culto, importante e unico nel suo genere, fino alla prossima consacrazione del 2022, a 25 anni dalla sua uscita, con un concertone dedicato al Forum di Assago a Milano, in cui Grignani lo suonerà per intero insieme ai suoi più grandi successi. Intercetto il suo autore mentre è in studio a registrare musica nuova, in pieno flusso creativo.
La fabbrica di plastica torna 25 anni dopo come Twin Peaks. L'album più alternativo mai uscito dal mainstream. Dall'altro capo del telefono ho un musicista che ha fame di cose da dire e che va a ruota libera, parla veloce, snocciola concetti e devo mettere il cervello in turbo per stargli dietro: "Purtroppo o per fortuna quel disco ha fatto la rivoluzione, annunciata e non avvenuta, e adesso ti dimostra quanto fosse forte", mi dice Gianluca. "La rivoluzione non avviene in 10 minuti e il pubblico ha decretato il successo dei disco, ma quando è uscito io credevo addirittura di non riuscire più a fare questo lavoro. Eppure non ho potuto fare altrimenti. Non avevo la libertà di poterlo fare, pur venendo da un disco vendutissimo come Destinazione Paradiso che non c'entra una mazza con Fabbrica, e questo limite mi ha messo nella condizione di farlo da solo. Avevo chiesto il produttore dei Radiohead ma non me l'hanno mandato anche se avevo venduto due milioni di copie, perché l'etichetta voleva facessi un altro disco, più pop possibile, già Destinazione Paradiso per loro era troppo. A me non me ne fregava niente, ma questa condizione ha tirato fuori le mie capacità come produttore, musicista e fonico".
Un disco che già in studio e specie in fase di mixaggio ad Abbey Road con Chris Blair, sembrava per gli addetti ai lavori più adatto a un pubblico inglese o americano che italiano, ma che è cresciuto esponenzialmente fino a diventare simbolo di una generazione che aveva l'urgenza di tirare fuori la propria rabbia e il proprio dolore: "Per la casa discografica, ciò che facevo era una cosa folle. Chris mandò via il produttore che mi avevano messo appresso e che non era quello che avrei voluto, dicendogli 'Vai via bastardo, il ragazzo sa bene ciò che fa, questo disco in UK sarebbe una hit'. Siamo diventati amici e mi ha aiutato a riparare gli errori della produzione precedente, che addirittura aveva registrato in controfase. Grazie a Fabbrica oggi sto per fare un triplo album che sicuramente sarà un concept. Non so perché lo sarà, come non lo sapevo ai tempi di Fabbrica, è l'istinto che me lo dice. Ho necessità di urlare di nuovo".
Torniamo a Fabbrica, un unicum nella carriera di Grignani: "Non sai perché un libro ti piace più di un altro: io tra Poe e Dostoewskij preferisco il primo, per le immagini e i dettagli al posto giusto. È così anche per i dischi. Quello, aveva tutto dove doveva avere e non c'era in Italia. La gente forse l'ha capito più di me. Dario Vergassola mi disse 'Se funziona è una rivoluzione culturale'. All'inizio non lo è stata ma ha venduto nel tempo, l'ha deciso la gente e per me è il disco più alternativo di tutti, mainstream o meno".
Ecco, parliamo dell'alternative del tempo, che funzionava molto bene: i C.S.I. si facevano i palasport, era un mercato che vendeva e influenzava un sacco di band. Non Grignani, che guardava più all'estero che all'Italia: "Non m'interessava l'alternative italiano perché era politicizzato. Paradossalmente ascolto oggi più i C.S.I. di allora, ma non mi interessava la dimensione politica e al tempo, se non facevi politica coi dischi non eri alternativo. Io ho fatto il disco da solo, persino i musicisti non sapevano cosa stessero facendo e mi remavano contro. Oggi parlano di capolavoro nelle interviste ma al tempo se ne badavano bene, era diverso da tutto quello che c'era, che fosse pop, rock o alternative. Oggi lo ascolto come se non fosse mio, perché appartiene a me quanto alla gente che lo ha sostenuto al tempo e nel corso degli anni. Non sarebbe arrivato a essere celebrato dopo 25 anni se non fosse stato importante".
Vederla così sembra una storia di formazione da romanzo americano: un ragazzino fuori da ogni circuito off che, dopo aver fatto un album pieno di singoli e comparsate in tv, amato da folle urlanti di ragazzine perché è pure bello, mette in gioco se stesso e la propria credibilità artistica andando contro la macchina che di cui fa intrinsecamente parte e contro tutte le persone che lavorano con e per lui, per seguire l'esigenza di urlare la propria diversità da quello che hanno deciso per lui. Se ci pensate, non esistono molte popstar che possano vantare di aver fatto come gli pareva al secondo album, quando per la casa discografica devi solo fare singoletti da vendere e video ammiccanti.
Ho provato ad essere come tu mi vuoi
Tanto che sai in fondo cambierei
Ma son fatto troppo, troppo a modo mio
Prova ad esser tu quel che non sei!
Io vengo dalla fabbrica di plastica
Dove mi hanno ben confezionato
Ma non sono esattamente uscito
Un prodotto ben plastificato.
"Quel ragazzino ha fatto un successo importantissimo in Italia e poteva seguire quella strada", mi dice Gianluca. "Avrebbe potuto fare rock anche continuando con quel percorso, ma sarebbe stato rock furbetto. Ha preferito fare a modo suo, gridare contro il mercato, contro la religione, contro il successo. La fabbrica di plastica era avanti, addirittura nelle note dentro il libretto c'era un racconto in cui parlo della gente con gli occhi incollati ai megaschermi. È uscito in un momento in cui ho avuto una sensibilità forte a proposito di quello che stava succedendo e sarebbe successo. Dopo non ho continuato a fare lo stesso disco: Campi di popcorn del 1998 è già diverso, perché avevo già gridato. Fabbrica è l'urlo di un bambino che non sa ancora parlare e deve alzare la voce per farsi capire. Ho preso quello che c'era di buono da Londra o dall'Oceano Atlantico e l'ho modellato facendo quello che gli altri pensavano non si potesse fare. Il mio talento è stato trasformare queste influenze in canzoni. Ho inventato anche il personaggio del video di Fabbrica, ma è ancora un'altra cosa. L'importante è il disco, che sta andando avanti mentre cambiano le generazioni, perché tutte le generazioni vorrebbero cambiare le cose. Sono 25 anni che continua ad affascinare, oggi posso dire che un talento ce l'ho avuto e ce l'ho. Non ho più gridato così perché non ho più avuto bisogno di farlo, fino a oggi. Gli album che ho fatto dopo sono belli, mi piacciono, figurati che il mio pezzo preferito è Sogni infranti, uno degli ultimi, ma quando grido sono diverso. Non puoi essere figlio del marketing, devi essere figlio di te stesso".
Mentre parliamo, mi spiega che non è mai stato in grado di paragonarsi ai grandi perché non ha mai avuto la capacità di sentirsi furbo, di fingere: "Ero talmente puro che ero scemo, però ci sono riuscito! Un sondaggio su Rolling Stone di pochi anni fa ha messo al primo posto fra le canzoni più influenti del rock italiano proprio Fabbrica. Chi si merita veramente questo successo sono quelli che hanno creduto nel disco allora, perché non c'ho creduto neanch'io come loro".
Ma com'è che sono passati 25 anni e oggi gli artisti, mediamente, rischiano meno a livello testuale, specie nel tempo pandemico? "La società sta cambiando, tutti gli equilibri che conoscevamo da sempre si stanno sgretolando e non so neanche se riuscirò a vedere questo cambiamento. Quando ho voluto parlare del dolore di un ragazzo che nemmeno lui stesso capiva, ho scritto Destinazione Paradiso. Per parlare di tutto quello che è successo, pandemia, lockdown, diritti sociali eccetera, devi sentire veramente quello che sta succedendo intorno a te. Le domande che mi fai mi fanno aprire il cervello e sto capendo sul momento perché ho scritto Castelli di fumo (un pezzo nuovo), che non ho ancora finito, sono in studio al momento. Mentre ti parlo capisco il disco, a me capita così, devo essere davvero toccato da una cosa e sento il dovere di dire agli altri cosa sta per succedere. Me lo disse anche Lucio Dalla, tendo ad avere questi momenti di grande lucidità che non so neanche io da dove arrivano. Il figlio di Salvatore Quasimodo, che è un attore, ha recitato il testo della Fabbrica di plastica sul palco durante un evento in cui ho vinto un premio letterario importante, quello a cui sono più legato. Fino a oggi ho avuto dei meriti che non m'interessava troppo sbandierare, attendevo che gli altri se ne accorgessero e sta avvenendo. Ogni mese ci sono più di due milioni di persone che ascoltano i miei brani su Spotify. Ho atteso il momento giusto per tornare a urlare, la mia stessa vita privata è stata messa in gioco, certe cose le ho perse, ma probabilmente era il momento giusto".
Dopo i testi parliamo anche di musica, perché La fabbrica di plastica ha avuto quell'impatto anche per i suoni del tutto inusuali, ricercati, fuori contesto di cui era vestito: "Nel disco ho montato e smontato suoni, chitarre, per creare cose uniche, che non esistevano. Questo lo dicono anche quelli che hanno lavorato con me. Non ho più voluto riaffrontare quei processi sonori fino a oggi, perché per gridare mi serve un certo tipo di suono, che non c'entrerà niente con quello che è già stato. In futuro ci sarà quel tipo di sensazione sonora. Quello che è successo con Fabbrica è grosso e lo sto vivendo con questo album nuovo che sto facendo, in maniera diversa. Ho poche cose che mi tengono legato alla giovinezza, ma una di queste è la musica. Non è un caso che Fabbrica stia tornando in questo momento così difficile: perché la gente ha bisogno di qualcosa di vero. Il concerto sarà un evento, non l'ho ancora provato ma so il disco a memoria quindi ho già mandato le parti a tutti i musicisti. Ci saranno i personaggi come quello di Arancia Meccanica del video o il Joker che sarà il preludio a Campi di Popcorn l'anno prossimo, quando ristamperemo il vinile. Io sono stato tanto a guardare, ma Fabbrica è come un figlio che mi prende per mano e mi chiede di essere di nuovo suonato, di prendersi quello che è sempre stato suo. Quella rivoluzione non è mai finita, sta andando avanti".
Parliamo anche di rock, che di questi tempi vive una seconda, terza o quarta giovinezza: "A volte mi dicono 'Altro che Måneskin (che per me sono bravissimi), l'ultima cosa veramente rock in Italia è stato Grignani con Fabbrica'. Me lo dicono gli altri, perché al tempo ho pensato che quel disco lì mi avrebbe ucciso. Sono capace di esser bravo e tranquillo quando serve, ma adesso devo gridare di nuovo. So che gridando nessuno mi romperà più i coglioni, perché voglio solo fare musica. Credo di avere avuto tanto dalla vita e di aver dato uno schiaffo, da quel punto lì, e di non aver ancora finito, quello è poco ma sicuro. È stato il pubblico a cambiare le regole de gioco. Ricordo quando avevo fatto un album della madonna dal titolo Uguali e diversi e tutti parlarono del singolo L'aiuola, perché era un pezzo rock divertente, ai tempi andava La vasca di Britti. Oggi non c'è più quel condizionamento per spingere il singolo e la scelta l'ha fatta il pubblico, lo dico con grande cognizione di causa. Me ne tiro fuori, non me ne lavo le mani, vi lascio il merito".
E ancora: "Non ho mai trovato suoni perfetti per il mio urlo come quelli di Fabbrica, infatti sono tornato a prendermeli. Ho sperimentato tantissimo: ho la casa grande con lo studio, piena di angoli strani e metto la batteria o gli amplificatori nelle stanze, cambiando postazioni per dare suoni diversi. Ho studiato gli effetti e i plugin al computer, mi sono dedicato talmente tanto alla ricerca che quando mi sono risvegliato ho divorziato, giusto per dire. Sono momenti. Uno strumento su tutti, un Korg A3, di cui adesso non si trovano neanche più le patch: lo sto passando in digitale e analogico e non sono ancora contento. Sto cercando di mettere insieme quattro chitarre che fanno delle parti ritmiche diverse con la voce e ci sto riuscendo. Un po' come con Fabbrica, ai tempi ascoltavo l'album bianco dei Beatles e switchavo da una canzone all'altra, 5 secondi di Helter Skelter, poi un'altra, una follia. Chi veniva in macchina con me impazziva, per un anno ho ascoltato suolo quello. Stessa cosa con le parole, a volte sto lì a fare rime senza senso, a volte sono sporche le mie rime (ride), mentre lavoro sono un pazzo, invento anche dei personaggi, mi serve per rimanere in allenamento".
Sembra quasi che parli di se stesso come di un veicolo, come se le idee non fossero neanche sue... "Ma questo perché non voglio che la gente mi dica che sono bravo, è un modo machiavellico di esporre la cosa. Son fatto così, o tutto o niente, la dimostrazione l'ho avuta nel tempo. Forse voi avete creato un mostro, forse lo sono sempre stato, forse voi siete il mostro, positivo in questo caso perché per voi intendo quelli che sostengono il mio lavoro. Ora so che il popolo urban sta aspettando il mio disco nuovo, perché vuoi non vuoi siamo collegati da qualcosa, dal dire le cose che vogliamo senza compromessi. Dicono che ci sono delle cose dei miei dischi che possono sfruttare. Bene, sfruttatemi. Se voglio posso essere furbo anch'io, solo che te lo dico. Mi interessa il risveglio della coscienza, non solo della mia. Se non lo facessi, dopo 25 anni sarei solo un ipocrita del cazzo. Il merito del ritrovato successo della Fabbrica non è mio, è della gente ed è giusto renderglielo. Io ho sofferto abbastanza ma forse era giusto così. L'unica cosa: non voglio che la nuova musica la capiscano tra 25 anni!".
Gianluca freme per tornare in studio, il tempo di un'ultima domanda, di quelle alla Black Mirror, che indagano i mondi paralleli: se Grignani fosse apparso oggi in mezzo ad altri 300 cantautori, con Spotify al posto del negozio di dischi, avrebbe avuto lo stesso successo? "Sì, perché ho la faccia giusta e so scrivere canzoni. Me la faccio spesso questa domanda, forse avrei fatto un po' di rap, ma ce l'avrei fatta lo stesso. Certo, con Destinazione Paradiso ho avuto di tutto e di più, oggi sarebbe più difficile, ma sarei stato lo stesso credibile".
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L'articolo La fabbrica di plastica #25: Gianluca Grignani Against the Machine di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-06-15 09:02:00
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