Siamo andati a vedere il concerto di Gigi D'Alessio a Mosca

Spaghetti, mozzarella e lenzuola stese ad asciugare: D'Alessio restituisce ai russi l'immagine stereotipata dell'Italia che richiedono a gran voce

Gigi D'Alessio live a Mosca
Gigi D'Alessio live a Mosca

Mosca, temperatura -3 gradi. Il Teatro Estrada si trova in una posizione centralissima, affacciato sul fiume Moscova proprio davanti alla Cattedrale di Cristo Salvatore. Manca ancora un po' all’apertura delle porte, ma già si è raccolto un crescente manipolo di persone in attesa dell’unico nome italiano in cartellone questo mese, Gigi D’Alessio.

(La vista sulla Cattedrale di Cristo Salvatore dall'ingresso del Teatro Estrada di Mosca)

Proprio qualche giorno fa discutevamo del successo della musica italiana in Russia e il concerto di questa sera è un’occasione interessante per cercare di capire che cosa cerchi il pubblico russo in uno spettacolo di questo genere. Per D'Alessio questa è la prima esibizione nella vita a Mosca e, sebbene l’apprezzamento russo nei confronti della musica italiana (quantomeno da parte di ascoltatori di una certa fascia di età) sia noto, la reazione e l’accoglienza al cantante napoletano sono indubbiamente oggetto di interesse e curiosità.

(L'attesa del pubblico prima dell'accesso in sala)

Già dal primo accesso in sala emerge che l’Estrada è un teatro sovietico, che dalla sua nascita nel '54 non ha subito grandi modifiche: sopra al palcoscenico campeggiano ancora falce e martello e la platea sembra soffocare tra tendaggi e poltroncine rosso porpora, per un totale di oltre 1300 posti tra galleria e platea.

(L'interno del Teatro Estrada di Mosca. Copyright http://www.teatr-estrada.ru/)

A pochi minuti dall’inizio, in sala ci sono ancora diversi posti vuoti, ma quando lo spettacolo inizia, una ventina di minuti dopo l'orario annunciato, il teatro è gremito. Tra una maggioranza russa, nella quale spicca anche una buona percentuale di pubblico giovane, anche diversi quanto entusiasti italiani. Quello in cui D’Alessio è impegnato ora è il tour mondiale di “Malaterra”, album di reinterpretazione dei grandi classici della canzone napoletana riarrangiati insieme ad Adriano Pennino. Ed eccola, la terra di cui lo spettacolo vuole cantare, introdotta con un video attraverso i suoi piatti tipici in un tripudio di oltre cinque minuti di mozzarelle, pomodorini, pasta fresca e ulivi sullo sfondo dei faraglioni del mare di Capri. Se fin qui l'impostazione segue un copione abbastanza prevedibile, l'improvvisa comparsa del Colosseo e di un baracchino di mascherine veneziane cambia il sapore dell'introduzione da quello dello stereotipo a quello dell'accozzaglia e quali siano le coordinate di questa Mala Terra comincia a risultare più confuso. “Di questa Terra si nutre la cultura di tutto il mondo, di questa Terra mi nutro io”. Lo slogan non fa in tempo a sparire che sulle note di “Notti di lune storteD’Alessio raggiunge il palcoscenico, accolto con un applauso fragoroso e un entusiasmo palpabile, mentre l'immagine sul megaschermo viene sostituita da una cartolina della capitale russa coperta da un enorme Ciao, Mosca!.

La prima parte del concerto propone i pezzi di “Malaterra”, nei quali D’Alessio duetta con la proiezione sul megaschermo alle sue spalle dei musicisti coinvolti nel disco, tutti annunciati come "grandi sorprese" (e in buona parte accolti in realtà con cortese perplessità, perché qui i Dear Jack non li conosce nessuno e anche su alcuni degli altri artisti presentati il pubblico sembra nutrire qualche dubbio): il primo è l'immancabile Renato Carosone, omaggiato con "Io, mammeta e tu", in un gioco di sguardi e rimandi tra filmati di Carosone e la ripresa live di D'Alessio contornata dai membri di un'orchestra che si sente suonare virtuosamente (ma di cui sul palco non c'è traccia); una languidissima Anna Tatangelo virtuale appare per "O' core e na femmena", il rapper Briga (sì, lui) per “Guaglione”, mentre qualche pezzo dopo sarà un Gianni Morandi virtuale a ricevere applausi scroscianti con “Na Sera ‘E Maggio”. Seguono “O surdato 'nnammurato”, che D’Alessio esegue mentre la canta e ne scrive a mano il testo ripreso in diretta e ingrandito sul megaschermo, e “Malaterra”, accompagnata da un tour virtuale nella Napoli dell’idillio, tra piatti tradizionali e lenzuola stese ad asciugare. È certamente una celebrazione ufficiale della città amata, per quanto sia innegabile che buona parte dei suoi aspetti negativi, di cui pure la musica parla, vadano persi in proiezioni molto vicine a calibrati spot pubblicitari. Che, non a caso, restituiscono tutti gli stereotipi legati all'immaginario mediterraneo, da silhouette di donne formose che ammiccano dietro a muri di fiamme a tavole imbandite.

Forse la sorpresa maggiore per un pubblico comunque sempre più coinvolto è l’entrata in scena di Anna Tatangelo – la stessa del video di poco prima che è ora però reale, in carne e ossa. È il punto di svolta che condurrà alla seconda parte dello spettacolo, aperta da un duetto dei due e dall’esecuzione della Tatangelo di “Tu Si ‘Na Cosa Grande”, subito seguite da una cascata di pezzi famosissimi –soprattutto “Como Suena El Corazon” e “Mon Amour”, micce che prima scatenano un battimani generale e poi trasformano la platea in una pista da ballo. Se fino a poco fa l'atmosfera era calda ma composta, ora non sembra nemmeno di essere nella stessa sala di poco prima, diventata qualcosa in bilico tra un villaggio vacanze e una discoteca di inizio anni 2000. La richiesta di registrare un video di auguri di buon anno da proiettare al concerto di Capodanno a Bari è accolta con euforia ancora maggiore e per due volte di fila il pubblico si unirà in un impressionante boato d'augurio sotto la guida del cantante che, dopo aver annunciato di aver già rotto il ghiaccio con i fondamentali ("Ciao", "Grazie" e "Sì") assicura solennemente progressi nella lingua russa entro il prossimo ritorno qui. Alla fine del concerto, D'Alessio è raggiunto da un pubblico in visibilio che gli lancia mazzi di rose e cuori di carta ritagliati, allungandogli dischi da firmare e blocchetti degli autografi.

(L'euforico assalto a Gigi D'Alessio alla fine del concerto)

D’Alessio fa il suo, ma a giocare un ruolo fondamentale nell'entusiasmo in sala è soprattutto l’esibizione di una mitologia tutta italiana oggetto di profondo interesse da parte del pubblico russo. Fuori fa freddo e si gela, dentro c’è un pezzetto d’Italia che vuole essere portavoce della tradizione mediterranea, sostenuta da video sullo sfondo che grondano il più barocco e stereotipato dei meridioni possibili. Poco importa se per buona parte del concerto i bassi tendono a sovrastare tutti gli altri suoni e se la maggior parte dei presenti non capisce una parola di italiano (e ancor meno di napoletano): D’Alessio è accolto come un grande della canzone italiana perché il suo spettacolo risponde in toto alle aspettative del pubblico, saziando un profondo desiderio di leggerezza le cui radici sono ben più lontane nel tempo e nella storia di quanto un singolo concerto possa far intendere.

Al netto dello spettacolo di Gigi D'Alessio, un oggettivo e grottesco successo (ma si potrebbe dire lo stesso per quelli di Bocelli o Il Volo), resta da chiedersi davvero se sia solo questa l'unica immagine che possiamo diffondere con successo oltre i nostri confini nazionali, uno scintillante quanto pacchiano stereotipo che non trova grossa corrispondenza con la realtà italiana, né quotidiana né musicale. L'augurio (per il bene nostro e quello degli ascoltatori stranieri) è che in un giorno non troppo lontano sarà possibile esportare con pari riscontro anche musica differente, senza più bisogno di portarci dietro anche il piatto di spaghetti.

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L'articolo Siamo andati a vedere il concerto di Gigi D'Alessio a Mosca di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2015-11-06 00:00:00

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