His Electro Blue Voice: piccoli culti crescono

Il progetto del comasco Francesco Mariani continua a raccogliere proseliti con la sua metamusica, un folle esercizio anti-pop per fuggire da quei generi "troppo orgogliosi di sé stessi". Ora è tornato in musicassetta(!), per mostrare come si può essere vicini tanto agli Swans quanto alla drill

Francesco Mariani, aka His Electro Blue Voice
Francesco Mariani, aka His Electro Blue Voice

Tre cose ho imparato inserendomi nella dark community nata con la reunion dei Bauhaus del 1999: a) l'ascoltatore ama la continuità, quando la coglie precisamente proseguirà ad ascoltare; b) l'ascoltatore ama le citazioni, quando le coglie precisamente si sente gratificato e proseguirà ad ascoltare; c) il punto A e il punto B non fanno per me. Ho talmente introiettato questa mia repulsione verso la perpetuità tendente alla petulanza dell'ascoltatore medio di dark-wave che a volte mi basta un niente per detestare o apprezzare qualcuno.

Il mese scorso, teorizzando lo sweden discomfort, ho definito i De Arma “gangband of december souls”, dando per scontato che chi mi ascoltava sapesse del debutto dei Katatonia, Dance of December Souls, ma a differenza di ex-colleghi di ex-gothic-night tendo ad avere un giudizio più tondo e completo. Secondo me, a chi li ha recensiti solo come dei "Fields Of The Nephilim in salsa The Mission" è sfuggito il senso globale del disco dei De Arma, perché non a conoscenza della liason dangereuse con i Katatonia.

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Mi stupisco altresì che al sempre attento Bertoni continui a sfuggire il senso stretto di His Electro Blue Voice da Como: attraverso il passaparola sotterraneo questo nome (ora progetto solista di Francesco Mariani), con soli due dischi e una decina tra split e singoli, è assurto allo stato di culto, fino a meritarsi un'uscita “overground” per Sub Pop, grazie proprio all'eclettico citazionismo e all'hot topic che ne scaturisce (restare fedeli alla linea anche quando la linea non c'è oppure evolvere continuamente?). Già, perché HEBV è un progetto realmente generazionale che supplisce la crisi di valori delle odierne scene trascendendo l'idea stessa di genere (il contrario di ciò che fanno un po' tutti i recensori: etichettare) con sicurezza dei propri fini.

Francesco Mariani compie un'operazione di metamusica usando la tematica trita della polemica sull'impossibilità e sull'inutilità di rifare della “musica che non c'è più” per dire altro, anzi, per suonare altro, e farlo nel modo più costruttivo e reale nongià dei Subsonica (troppo semplice), ma di mezza scena oscura che non azzecca mezzo disco dal 2005 e continua a sfornare nomi di cui non sentivamo affatto la necessità. Inequivocabili in tale senso le parole di Francesco in un'intervista di qualche anno fa: “Non veniamo da nessuna scena, tranne che quella del writing. Il primo nucleo era formato da tre writers, dipingevamo muri e treni”.

Allora cosa è andato storto? Probabilmente tutto è nato nel lontano 2008, sulle pagine delle riviste, quando Duuug (7”, Sacred Bones) fu recensito con termini come “un pizzico di genialità di Mark E. Smith” e “vessillo wave dark” e “chiave modernista del respiro affannoso dei Joy Division”. E olè, il danno è servito. Come per Spiritual Front, Havah, Soviet Soviet, Be Forest, eccetera (ultimamente e inspiegabilmente pure Iosonouncane), orde di nostalgici di nero vestiti hanno iniziato a presenziare e a battere cassa della propria paternità sulla creatura.

 

Ovvio a dirsi, non un problema in sé ma se non altro un grossolano limite per tutti. Il che è anche piuttosto strano, perché HEBV è sul serio una entità irregolare nel panorama italiano. Non solo perché fa parte di una limitatissima cerchia di nomi che ha riscontrato l'interesse della mitica Sub Pop (al debutto Ruthless Sperm, 2013) ma perché si tratta di un nucleo dall'appeal da sempre sfacciatamente scorbutico e asociale. Per i primi dieci anni si sapeva solo che erano più o meno due o tre, e che erano di base al nord. Non facevano concerti e non apparivano in foto.

L'unica relazione col mondo erano ep, split e 45 giri dalle grafiche indecifrabili e minimali, contenenti sì un'idea musicale Manchester grigio fumo, ma ampliata da sprazzi di kosmische musik tedesca, atmosfere scozzesi di Jesus And Mary Chain, americane di Suicide, e ancora toni allucinati di Swans, garage-rock d'avanguardia dei Pere Ubu e dalle distorsioni dissimili ora di Melvins, ora di Sonic Youth, ora di Pixies – a saper cogliere le sfumature. Condensando il tutto nei venti minuti di Tartlas, contenuta nello split con gli Havah (2015, Maple Death) e tornando a mischiare le carte nel secondo full lenght Mental Hoop (2017, Maple Death e Iron Lung).

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Del ritorno di His Electro Blue Voice se ne parla già da qualche mese grazie ai due nuovi brani (Body Crash e Sempre Delusione) pubblicati su musicassetta e apparsi su Bandcamp a marzo per battezzare la prima uscita della serie Body Crash, nata proprio per sedare la propria bulimia musicale e stimolare ulteriormente il proprio pubblico. “In un periodo dove i tempi di stampa per un vinile sono raddoppiati la musicassetta è il supporto più pratico da realizzare, perfetta per uscite indipendenti", spiega Francesco. "Discorsi sul fatto che sia obsoleta, hipster etc... lasciano il tempo che trovano. Come da tradizione HEBV voglio lasciare un oggetto che rimarca il credo per quello che produco”. Poi è arrivato del nuovo materiale. Energie e Energia sono stati a inizio estate i primi estratti dal nuovo ep, in uscita proprio oggi, con masterizzazione della prima affidata a Mikey Young (Total Control, Parquet Courts) come già accaduto con tutto il primo ep.

A ribadire il concetto è Francesco che afferma: “Oggi ci allontaniamo sempre più dalle classiche comfort zone di quei generi che sono troppo orgogliosi di sé stessi, che han perso l’audacia e la voglia di sporcarsi le mani, come nella loro essenza originaria. Le influenze e i suoni che sono stati aggiunti qui o provengono da un vecchio amore per l’hip hop, nelle sue diverse forme, o hanno uno stato d’animo rave, senza la tipica esperienza di condivisione di grandi folle, ma con feste private e personali”. Anche se liquidarlo come un lavoro concepito per i completisti potrebbe essere una facile tentazione, in realtà Energie (Body Crash. 2021) mostra una cura negli intenti e una maturità compositiva valida, specie rispetto alla mission intrapresa. Ok, non c'è la freschezza di Fog (S-S Records, 2007), né la dirompenza di Animal Verses (Bat Shit Records, 2010) ma sono pure passati più di dieci anni e altrettante mode, scene, sempre più difficili da vivere, cogliere e reinterpretare.

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Per questo Energie non è di maniera, opera di mestiere; più che altro, ha voglia di uscire ancora di più dagli schemi e decide di giocare col fuoco. Senza strafare, ma con lucidità e stile. E allora ecco echi ’90, sin dal titolo, in Loreal 94, una bellissima cavalcata lunga undici minuti che non sfigurerebbe come ghost-track della colonna sonora di Trainspotting o in un film a caso di Gaspar Noé, da sola un piccolo miracolo; e poi la scura Chrom XL, con il suo incedere a singhiozzo, un “glitch” malatissimo che non sfigurerebbe tanto nei compianti Salem ma allo stesso tempo in un disco trap (mio nipote di sedici anni mi corregge “drill”). Insomma, ci siamo capiti: il viaggio di His Electro Blue Voice prosegue ancora senza soluzione di continuità e stringe i più diversi stili e linguaggi il cui comune denominatore rimane la straordinaria capacità di mischiare e fare (letteralmente) vibrare quel razionale esercizio di follia anti-pop che salva dal pallido grigiore delle esistenze. Con tutto il rispetto per la scena dark, si capisce. 

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L'articolo His Electro Blue Voice: piccoli culti crescono di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2021-09-24 11:08:00

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