L'hyperpop sta mettendo su famiglia

L'unitissima scena nata sul web, ora che può proliferare nel mondo fisico, segue il suo naturale e giusto processo di crescita: dalla "capitale" del genere Napoli, dove si è tenuto il festival Ecosistemi, a Livorno, Roma e Milano, ecco come Aaron Rumore e i suoi fratelli stanno diventando grandi

foreverboymush a Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara
foreverboymush a Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara

È curioso pensare che la nuova ondata di pc e post-internet music, cresciuta esponenzialmente online durante la pandemia, stia trovando una casa fisica in un posto sperduto nel verde, lontano da palchi e pure da campeggi, nel parco nazionale del Vesuvio. Una regione in cui manifestazioni del genere spesso non arrivano manco alla prima edizione, figurarsi alla seconda. È qui che si è svolto Ecosistemi Fest, il primo festival italiano dedicato al mondo hyperpop, nato nel nel settembre 2021, un evento in bilico tra real life e cultura digitale, tra contenitore di performance e raduno, nato quasi come showcase di un movimento non fisico, e che adesso ne sta mettendo in discussione i confini già labili. Ci eravamo andati l'anno scorso, per capire come si declinasse offline ciò che sembrava nato per stare solo sul web, ci siamo tornati ora per vedere in che direzione si sta muovendo questo mondo.

Natimernero, Rageless e Fenoaltea - foto di Zoe Ferrara
Natimernero, Rageless e Fenoaltea - foto di Zoe Ferrara

A fare da organizzatore del festival, assieme a Paolo Dopo, c'è Aaron Rumore, musicista mutaforma, una sorta di padrino dell'hyperpop. "Stiamo cercando di diventare un punto fermo rispetto alle sonorità elettroniche alternative, senza genere, a questo punto azzarderei a dire anche transnazionali”, ha dichiarato rispetto all'evoluzione del festival, che cerca di replicare in maniera più attenta possibile le ramificazioni della scena. Ed è anche per questo se non si respira quell’aria di eccezionalità della prima edizione: manca lo stupore per essere tornati a ballare, per gli incontri che per la prima volta si facevano senza uno schermo in mezzo, per le prime esperienze sul palco dopo un apprendistato in cameretta. E per fortuna.

Nell’anno passato, nonostante tutte le difficoltà, una grossa parte dei progetti musicali legati all’area post-internet/hyperpop, dopo essere sbarcato nella dimensione fisica e sui palchi, ci è rimasta e ha iniziato a girare l’Italia, anche all’interno di una serie di eventi che ha consolidato l’immaginario e i rapporti nati all’interno di questa sorta di movimento musicale informe. In parte grazie proprio alla miccia di Ecosistemi e a partire da Napoli, che contro ogni aspettativa si è configurata come uno degli epicentri di questa nuova ondata: il ciclo di serate organizzate da Aaron al Mamamù e poi allo stesso Vesuvio Eco Camping, le Thrucofeste settimanali dei Thru Collected al Magma, il loro concertone collettivo allo Scugnizzo Liberato con Deriansky e Arssalendo, che allo stesso Scugnizzo Liberato era già tornato a dicembre dello stesso anno con Aaron Rumore. E ancora la serata Prime Danzə, che ha portato dal vivo al Largo Venue di Roma la compilation-riferimento curata da Le Major e che avrà un secondo appuntamento con Aridanzə, poi Balli Plastici organizzata da Pseudospettri a Livorno, Ringhia al Lume Occupato di Milano, solo per fare qualche nome.

Aaron Rumore con i Thru Collected a Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara
Aaron Rumore con i Thru Collected a Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara

Al di fuori di un circuito di serate identificabili come “serate hyperpop” o addirittura brandizzate così, c’è chi è riuscito a farsi strada nelle line up dei festival estivi al di fuori della bolla, come Hello Mimmi e la banda Thru Collected, dal vivo nella formazione completa e con i suoi “spin off”. Il collettivo napoletano è stato una delle grandi sorprese del 2021, outsider del cosmo hyperpop che proprio giocando con le etichette in fondo rappresenta abbastanza fedelmente lo spirito di questa temperie musicale. Gli stessi progetti solisti di Altea e Sano sperimentano nuovi modi per portare sul palco i loro incredibili EP, spaziando tra musica suonata, live elettronici, effetti e nastri. Provando a portare un po’ più su l’asticella di una resa live che spesso è ancora il punto debole di un certo approccio contemporaneo alla musica.

A oggi la maggior parte degli artisti di cui parliamo è ancora autoprodotta, legata ad etichette indipendenti come Grazie 1000 o è espressione di forme di autorganizzazione come la scuderia Thru Collected; Hello Mimmi invece è nel roster di Bomba Dischi (già dietro la compilation Danzə), sicuramente una possibile rampa di lancio, di cui però la portata non è ancora chiara verso una dimensione pop più main/midstream. Qualche nome inizia a farsi sentire anche grazie a collaborazioni tipo quella di Boyrebecca con Myss Keta e dei Thru Collected con Meg, ed è probabile che qualche altro contatto con le major, di cui non è scontato pronosticare l’esito, ci sia già stato o ci sarà a breve.

Un po' di pubblico di Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara
Un po' di pubblico di Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara

Quest’area musicale non è più relegata alla dimensione digitale, anzi, nella sfera reale si è piazzata su posizioni underground, spesso con consapevolezza e un’etica DIY in parte inedita. Ciò ha permesso che quel senso di fisicità represso che anima la scena si è potuto liberare, andando anche in direzione dei linguaggi che meglio rappresentano la dimensione corporea della musica e soddisfano un bisogno di libertà e aggregazione che non trova facilmente sfogo altrove, come quelli legati alla scena rave e dei free party elettronici. E a guardare Ecosistemi le coordinate sembrano spostarsi più decisamente verso l’elettronica e una dimensione post-club, lasciando anche da parte una percentuale di immaginario colorato e coinvolgendo anche un pubblico leggermente più adulto.

Un “ritorno al corpo”, come lo definisce Aaron, che è presente in maniera esplicita o meno in molta della musica sentita a Ecosistemi 2, dall’inglese Babymorocco fino al casertano Talpah, dal nuovo disco dello stesso Aaron Rumore fino alla recente uscita di Nxfeit, una sorta di concept dall’eloquente nome CASSA DRITTA :o.

La distanza digitale che permeava molti dei primi lavori di questo tipo, nati nelle camerette e condivisi esclusivamente su Internet, in parte ha ceduto il passo a tipi di presenza ed emotività diversa, dove naturalmente si annidano tipi di solitudine distanze nuovi, anche nel bel mezzo della folla, come nella discoteca emo cantata da Arssalendo in Tutti ammassati senza affetto.

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Anche questa nuova vocazione ha messo in luce che negli ultimi mesi si sono create “delle micro-nicchie nella nicchia”, e che all’interno di quell’amalgama di musica che circolava indistintamente sulla rete sotto il termine ombrello hyperpop, adesso, si sono delineati più chiaramente filoni, sensibilità e affinità diverse. C’è chi si è assestato su contenuti bubblegum e chi si è mosso verso un’estetica più algida e fluida, ci sono elettronica destrutturata o da ballare e musicalità più vicine al pop o alla trap, introspezioni cantautorali e sonorità sperimentali. A dimostrazione che la sfera interiore e le esigenze comunicative di una generazione non si possono mai appiattire su una narrazione dominante e facile da stigmatizzare da parte del discorso pubblico, come quella della trap, è naturale che in questa nuova parentesi di musica italiana possano convivere modalità che giocano con l’infantilismo e con il meme, insieme a rivendicazioni più trasgressive ed edoniste sul divertimento, all’introspezione psicologica e alla decostruzione sonora.

Viene da chiedersi allora se rimane un minimo comun denominatore che ci permetta di individuare una traccia di continuità senza lavorare troppo di fantasia. C’è in effetti ancora una parentela stretta di contenuti, non necessariamente linguistici ma di “canoni di riferimento estetico, sonoro, timbrico”, insomma una radiazione di fondo che avvolge e unisce, con le dovute differenze, le modalità di approccio alle voci e gli strumenti, alla produzione, alla dimensione performativa, agli aspetti visuali, al mercato, ai social. 

Sotto casa a Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara
Sotto casa a Ecosistemi - foto di Zoe Ferrara

“Internet” e “nuove tecnologie” sono le paroline magiche e scontate che dicono tutto senza spiegare niente, ma è impossibile dimenticare di avere a che fare con un cosmo musicale cresciuto completamente online, per ragioni storiche sociali di natura varia che non serve ricordare. Anche se adesso quello digitale non è più l’unico spazio di esistenza, rimane fondamentale e condiviso il riferimento alla cultura e all’estetica post-Internet, così come la rete rimane il principale punto di contatto e comunicazione: vale per i rapporti all’interno della scena, perché una realtà ancora piccola come quella italiana è fatta di una rete di connessioni umane tra persone sparse in tutta Italia, all’interno della quale crescono contatti, collaborazioni, progetti portati avanti a distanza e che poi si fanno carne ed ossa in occasioni come quelle offerta da festival e concerti.

Ma senza le possibilità di contatto diretto offerto da Instagram sarebbe difficile immaginare anche di coinvolgere artisti internazionali rapidamente e secondo una logica off booking compatibile con le possibilità autofinanziate di Ecosistemi. Dal festival vesuviano ci raccontano che l’obiettivo è proprio quello di estendere le connessioni al di fuori della rete locale, mettendo in contatto artisti e artiste italiani con un circuito estero che si muove in un “margine di professionalità DIY” da cui è possibile imparare tanto, e che può essere la base per un futuro di collaborazioni internazionali, interscambio di live act.

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Ancora una volta ci siamo confrontati con il compito appassionante e un po’ ingrato di fare la radiografia a una scena che attraverso la sua musica e i suoi momenti autorappresentativi ci dice chiaramente di non essere una scena. Uno pseudo movimento liquido, forse, certamente un modo di intendere la musica oggi che riguarda tanto i contenuti quanto le modalità dello stare insieme e che è palpabile, al di là delle ricostruzioni giornalistiche e del branding, in ambienti come quello creato da Ecosistemi o dalle tante serate di genere fioccate durante l’anno passato. 

Anzi, proprio quando si adagia sul canone che lo ha rappresentato verso l’interno e verso l’esterno, l’area hyperpop rischia di inciampare nell’autoreferenzialità, di rimanere troppo fedele a sé stesso e perdere di gusto. Dall’altro lato, invece, rimane la possibilità e la speranza che, lasciandosi dietro la solita zavorra di provincialità che in Italia conosciamo benissimo, questo branco di micro-nicchie destinate ad essere il futuro dell’underground nostrano, o quantomeno il presente, riesca a trovare nuove direzioni e nuova linfa in confronti e scambi salutari.

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L'articolo L'hyperpop sta mettendo su famiglia di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2022-09-19 10:01:00

Tag: hyperpop

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