Ora anche mio padre sa chi è Blanco, quello sempre in mutande

Dall’autotune e le notti in bianco a "Brividi", dall'eresia distruttrice a Sanremo al duetto con Mina: abbiamo ascoltato "Innamorato", il nuovo disco di Blanco, per capire chi è oggi, e dove sta andando, l'ex golden boy bruciatappe della musica italiana

Blanco, foto stampa di 'Innamorato'
Blanco, foto stampa di 'Innamorato'

Mio padre sa chi è Blanco. A voi questa cosa non dirà niente, ma per me ha dell’incredibile. Perché se anche un 63enne distratto nei confronti della musica mainstream, figuriamoci quella degli ultimi anni "che-una-volta-suonavano-veramente-signora-mia", lo riconosce in una frazione di secondo dalla comparsa sullo schermo della tv, qualcosa è successo. Soprattutto se nel nuovo album Innamorato raggiunge un traguardo proibito al 90% degli artisti di questo Paese, come un duetto con Nostra Signora della Canzone, the one and only Mina.

Nei pochissimi anni trascorsi dalla sua comparsa sulle scene, ha cambiato vesti, ruoli, maschere, dimostrandosi inafferrabile e scappando via proprio nel momento in cui credevi di averlo inquadrato, lasciando sempre una traccia dietro di sè. Agli esordi, apparente fenomeno più vicino alla trap autotunata che al cantautorato. Ero molto più che dubbioso, lo ammetto. Ai tempi di Notti In Bianco, prima smash hit di Riccardo, ricordo di aver incontrato Niccolò Agliardi, paroliere e autore per Laura Pausini e mille altri, notoriamente amante della canzone d’autore e studioso di De Gregori, che mi disse: “Attenzione all’urgenza pop di Blanco, dice le cose in un modo quasi rabbioso da quanta voglia ha di dirle”.

Ed effettivamente prima di lui una frase come “ti piaceva scopare”, come letterale bisogno fisico, una urgenza fisiologica, era invisa a un successo mainstream, ad esempio. Mentre cerchiamo il punto debole di quelle che poteva apparire una truffa teen, compare prima a Da Grande di Alessandro Cattelan sdoganando quel verso malandrino su Rai1 e poi nei vari festival televisivi estivi all’Arena Di Verona in cui premiano chiunque passi sul palco: spaccando sempre tutto, con performance imbattibili anche per potenza sonora, più vicine al punk che all’half playback tipico di occasioni simili, e intanto con La Canzone Nostra, insieme a Mace e Salmo entra nelle playlist anche degli insospettabili. Compreso il sottoscritto.

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E mentre lo intravedi scavezzacollo rumoroso, a un altro di quegli emuli del Festivalbar, un paio di ore prima dell’uscita del primo album Blu Celeste, si presenta non con la hit dell’estate, bensì proprio con quella delicatissima, eterea, ripetitiva perché ninnanannesca title track, apparendo come un alieno e spiazzando, di nuovo, per far volare la curiosità di tutti i telespettatori esattamente come il palloncino lasciato andare verso il cielo a fine performance. Quel primo album potente quanto intenso, tra mistero e riferimenti alla morte, tra cazzoneria e paure evidenti, tra pezzi perfetti per il pubblico teen che però portino alla lacrima anche i più grandi, ha mostrato quanto Blanco sia in realtà più vicino a un nuovo tipo di cantautorato istintivo – "l’urgenza pop" di cui parlava Agliardi – che a quella che ai distratti sembrava trap. Suoni curatissimi che prendono dall’urban con chitarre e batterie e costruzione organica da band, merito dell’ottimo Michelangelo, sodale eterno, nella vera bromance del pop italiano.

Il punto di non ritorno è, chiaramente, il festival di Sanremo 2022 vinto con Brividi insieme a Mahmood, per manifesta superiorità della canzone, con un effetto sorpresa: la voce di Blanco mai così naturale e spogliata dei filtri, una voce da cantante "vero" – detto tra tutte le virgolette possibili – supportata da quella da fuoriclasse di Mahmood. E così diventa il nipotino preferito delle zie che guardava Sanremo, che tifano per il duo allo Eurovision torinese, sul palco di un PalaOlimpico in cui giocava in casa. L’ennesima maschera pubblica, di cui far parlare le persone mentre il lavoro vero è altrove: in studio, a preparare le mosse successive con Michelangelo, e dal vivo, con una spettacolare tournée sold out praticamente dappertutto.

E poi il fattaccio, uno di quei “casi” capaci di metterti sulla bocca di tutti come un Morgan qualunque: l’esibizione di L’Isola Delle Rose – al netto di tutto, un grandissimo pezzo – al ritorno da vincitore sul palco dell'Ariston, funestata dalle in-ear rotte e dalla devastazione delle rose, imperdonabile per il pubblico nazionalpopolare. Dopo la bestemmia in chiesa, la puzzetta al matrimonio, il sacrilegio nel mezzo della messa cantata, il pubblico nazionalpopolare ha iniziato a guardare con sospetto questo ragazzetto viziato che non ha rispetto affatto per i fiori - già recisi – di Sanremo.

Intanto, mentre gli autori dei talk show lavorano pochissimo per un paio di due settimane, nel Paese gli stadi sono già belli pieni e decine di aspiranti nuovi blanchitibebi tentava in qualche modo di emularlo o imitarlo, mentre addirittura mio padre disquisice del rispetto del palco e del posto in cui sei stato invitato e blahblahblah.

Gli improbabili opinionisti di quei talk show si saranno trovati spiazzati nel leggere una di quelle notizie rare per l’intera musica italiana. Un duetto di Mina, ma non con il solito Celentano o con un mostro sacro come Fossati, nè con il contemporaneo Fausto Leali – per una versione cringissima di A chi mi dice dei Blue che vi raccomando –, ma proprio con il nipotino dispettoso, il folletto distruggiaiuole, il maleducato che spacca tutto e poi chiede scusa con una romanticissima poesia scritta su un foglietto e dedicata al teatro profanato. Cosa ha portato Blanco a duettare con Mina?

Innanzitutto una rinnovata ricerca della Tigre di Cremona verso la contemporaneità, che parte da un rinnovamento della propria etichetta discografica verso prodotti più contemporanei, ristampe di classici in vinile di alta qualità e addirittura una divisione dedicata agli NFT. La verità è che Blanco, maschera dopo maschera, ha sfondato il muro dell’artista giovane o giovanile o che-piace-ai-giovani, diventando una realtà solida del nostro spettacolo, attirando a sè la sacrosanta curiosità anche dei capisaldi della nostra cultura popolare, proprio come Mina, attentissima al nuovo: dagli artisti da talent agli autori alternativi.

Innamorato, dal canto suo, non è un disco in cui Un briciolo di allegria suona come un corpo estraneo, perché è un album leggermente più melodico nei cantati, con strutture di forma canzone più convenzionali, sia nelle ballate sia nelle uptempo che guadagnano una vibe anni ’90. La bravura di Michelangelo e Riccardo è scrivere una canzone in cui Mina non faccia la figura della vecchia bacucca messa là per caso o che suoni di altri tempi – come Mille, ad esempio – ma che sembri senza tempo, ed è cosa ben diversa. La composizione ricorda più alcune killer hit dell'album Mina Celentano del 1998 scritte dagli Audio 2. Non viene messa Mina al centro come santino intoccabile e venerato, nè è un campione lontano, come in Importante di Marracash o nell’album Nella Bocca Della Tigre di Mondo Marcio, ma è un duetto in cui passato e presente – o meglio, presente eternato e futuro futuribile – sono sullo stesso piano, al centro della scena, mescolandosi perfettamente, come nella splendida copertina della versione del singolo pubblicata dalla PDU di Mina.

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Riuscirà la benedizione della nostra regina della voce a far perdonare Blanchito dai bacchettoni? Chissà, ma se volevate un antieroe nazionalpopolare eccolo, nella nuova incarnazione di giovane elegante in giacca e cravatta che canta “ti piaceva scopareeee” alla presentazione dell’album o che gira l’Italia nelle mete perfette per gli innamorati cantando per strada accompagnato solo dalla chitarra di Michelangelo, alla faccia della necessità dell’autotune. Un antieroe sì, ma antieroe romantico. Che fa un disco che parla d’amore, si, il sentimento più semplice, sputtanato, nazionalpopolare, addirittura dando il nome della ex storica al titolo di una canzone. Ma in cui non perde un briciolo di identità, e che nonostante ogni volta cambi e si metta la maschera di un personaggio, di un cattivo dei fumetti, di un villain da film superomistico, poi, in studio e nei dischi è sempre lo stesso, quello che ha "un diavolo sulla spalla destra che mi parla e un angelo su quella sinistra che mi salva". E si, forse il pezzo con Mina potrebbe piacere anche a mio padre.

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L'articolo Ora anche mio padre sa chi è Blanco, quello sempre in mutande di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2023-04-14 01:22:00

Tag: pop album

COMMENTI (1)

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  • waltermuto 12 mesi fa Rispondi

    Interessantissimo articolo, che fa capire molte dinamiche! Complimenti all'autore, e detto da un quasi 58enne non è poco :-) Walter