Il jazz rimane la musica più attuale che ci sia

Da una decina di anni – più o meno da quando ha iniziato a fondersi con hip-hop ed elettronica – il genere vive una seconda giovinezza. Anche in Italia, dove la tradizione è un punto di partenza per continuare a rinnovarsi

Alessandro D'Anna Trio live al Quadraro in Jazz - Foto Eliana Casale
Alessandro D'Anna Trio live al Quadraro in Jazz - Foto Eliana Casale
20/12/2019 - 17:34 Scritto da Giulio Pecci

In un’interessante puntata di All Songs Considered, podcast della Radio Pubblica Nazionale americana (NPR), il conduttore Robin Hilton discute con due suoi colleghi della parabola artistica del pianista Robert Glasper. I tre giornalisti analizzano il percorso di Glasper, individuandone la svolta nell’album Black Radio del 2012, in cui il musicista americano riunisce per la prima volta in modo organico ed equilibrato la sua anima e formazione di stampo jazz classico (l’album esce infatti per la storica Blue Note) con il groove, il flow, le parole dell’hip-hop.

In realtà Glasper è un pretesto: i tre vogliono dimostrare come il jazz sia tornato ad essere centrale a partire dai primi anni 10 del duemila, anche e soprattutto grazie alla sua capacità di inserirsi nei nuovi generi popolari, arricchendoli e stratificandoli e allo stesso tempo lasciandosene influenzare. È questa una prima risposta alla domanda “perchè il jazz è così importante oggi”: perchè il jazz è tornato ad essere ovunque.

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Lo troviamo nei migliori dischi hip-hop, nell’elettronica più raffinata, perfino nel pop. I musicisti jazz sono un valore aggiunto ovunque vengano inseriti, grazie ad un approccio musicale unico, difficile da spiegare a parole ma “facile” da rintracciare con le nostre orecchie quando lo ascoltiamo. L’importanza del jazz contemporaneo non vive solo di luce riflessa dai generi più in voga del momento. Il jazz come genere non ha mai smesso di cambiare ed evolversi fin dalla sua nascita; oggi nelle sue forme più innovative e contemporanee sembra essere lontano anni luce dai padri fondatori del genere.

Basta in realtà un piccolo sforzo nel procedere a ritroso per scoprire un lungo e meraviglioso filo rosso che parte dai primi del novecento e arriva fino ad oggi, all’alba degli anni 20 del ventunesimo secolo. La sua bellezza è anche questa: il jazz è un linguaggio atemporale, che si sposta fluidamente da decennio a decennio, perdendo elementi e acquisendone di nuovi, ma rimanendo nel suo cuore fedele a se stesso. Questa elasticità temporale è il motivo della sua longevità e anche del suo essere sempre all’avanguardia dei cambiamenti musicali, provocandoli direttamente o essendone strumento. Pensate al post-punk e a quanto si sia direttamente ed indirettamente ispirato al free jazz.

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In Italia, come al solito, siamo arrivati un po’ dopo. Tra guerre mondiali e fascismo, il jazz ci ha messo non poco per arrivare qui da noi, ma non se ne è più andato. Oggi la situazione non è ancora rosea ma di sicuro si percepisce un’attenzione nuova verso il genere, ancora molto esterofila ma che si sta aprendo anche alle novità giovani della scena di jazz italiano.

Escludendo rassegne, locali e club storici (come Blue Note, Umbria Jazz o Alexander Platz), sono manifestazioni come Jazz:Re:Found e Jazz Is Dead a Torino e il Roma Jazz Festival, Gaeta Jazz Festival, Quadraro in Jazz a Roma, c'è AGUS Collective, oltre che locali quali L’Alcazar e il Monk Club, rispettivamente nel capoluogo torinese e nella capitale, a testimoniare il primato delle due città nella “nuova" proposta di questo tipo di musica. Il resto della penisola non sta comunque a guardare, con programmazioni interessanti che coinvolgono anche Milano, Pisa, Catania e una menzione speciale per la Puglia, sede di festival estivi dediti alla black music ormai internazionali - come il Locus Festival.

L’Italia è stata da sempre fucina di talenti jazz cristallini, musicisti apprezzati globalmente e dalle carriere luminose seppur poco celebrate nei nostri confini. Questo momento storico è molto particolare: sembra che i giovani e giovanissimi musicisti jazz italiani in questi anni si siano cominciati definitamente a scollare di dosso il rispetto quasi paranoico del passato, in un’operazione simile a quella compiuta agli inizi degli anni dieci negli Stati Uniti e negli ultimi anni in Inghilterra.

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La sensazione è che ancora non ci sia una direzione precisa, e che questo processo sia effettivamente agli albori. Trovare un filo rosso che in qualche modo unisca queste nuove proposte sarà forse fondamentale per avere finalmente una “scena” organica, coesa nelle sue differenze, un suono che si possa effettivamente definire come quello del jazz italiano - al netto dei tentativi (anche riusciti) del passato: un nuovo suono, qualcosa che da parte nostra contribuisca in modo attivo ed originale a questo rinascimento globale del genere.

Negli Stati Uniti il leitmotiv è stato proprio il definitivo incontro con l’altra grande arte afro-americana, l’hip-hop; in Inghilterra invece il discorso sembra essere tenuto insieme dalla valorizzazione della diaspora caraibica e soprattutto africana, nella ri-scoperta dell’afrobeat come il seme di tutti i contemporanei ed innovativi generi musicali inglesi. 

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Il jazz italiano merita molta più attenzione, perchè è composto da una storia relativamente  recente ma ricchissima e per la succitata sensazione di nuovo fermento. Ci sono tanti artisti giovani che non hanno alcuna risonanza mediatica al di fuori di ristretti canali dedicati e che invece hanno molto da dire a tutti, non solo ed esclusivamente a pochi eletti che seguono pedissequamente il jazz e conoscono a memoria la sua storia. Ci dovrebbe forse essere un po’ più di leggerezza generale, per permettere definitivamente al genere e ai suoi giovani interpreti italiani di fare un grande passo in avanti. La parola leggerezza non viene mai associata al jazz, non qui da noi, ma è una componente fondamentale per riuscire ad amarlo.

Non la si accosta mai al genere perchè è vero che spesso per apprezzare il jazz bisogna prendersi del tempo, e si giudica la cosa in modo negativo, superfluo: quel tempo, però, non è perso. È tempo per noi stessi, per imparare cose su di noi e sugli altri, sui rapporti umani e musicali; vuol dire fermarsi un attimo a riflettere, diventare persone migliori. Significa sentire di più, sia la felicità che la tristezza, vuol dire aprirsi. È questa la meraviglia del jazz e paradossalmente è anche da questo che deriva poi la leggerezza, a volte assimilabile a quella che si prova dopo un pianto o una risata intensa, a volte semplicemente “facile”, come quella provata stando ad un concerto - seguendo il ritmo della band davanti a noi con i fianchi. 

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Anche per questo il jazz è importante oggi più che mai. In un Paese (mondo) completamente desensibilizzato, incattivito sempre di più e molto spaventoso, il jazz può insegnarci tanto. Ad esempio in termini di resistenza attiva all’odio, vista la sua ricca storia musicale ed umana in quel senso. Può essere anche una rieducazione alla lentezza, alla bellezza, al senso di comunità - in netta controtendenza con quello che succede al momento: un atto di vera e propria resistenza, forse un po’ naïf e probabilmente non molto utile, ma che vale la pena di sperimentare. 

In ultimo il jazz è semplicemente musica meravigliosa, che al momento sta vivendo un nuovo periodo di grande forma, in diverse parti del mondo. L’Italia ed i suoi artisti hanno il potenziale umano ed artistico per far parte di tutto ciò

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L'articolo Il jazz rimane la musica più attuale che ci sia di Giulio Pecci è apparso su Rockit.it il 2019-12-20 17:34:00

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