Marlene Kuntz - Larciano - Pistoia



Larciano: paesino tranquillo, piccola festa paesana dedicata alla birra, addetti vestiti di giallo.

Larciano: dove i panini te li danno col numerino come alla tombola, la birra piccola sembra una media ed il menù ti accoglie con un piatto dal nome emblematico: "coltellata al fegato".

Quando arriviamo, due tendine nere si aprono e ci svelano il soundcheck. Ce lo godiamo lì, sotto sotto un palco misurato. Loro SEI là sopra. SEI, sì, non ho le traveggole. Ultimamente i MK si moltiplicano in una sorta di miracolo Cristiano (mi si passi) e questo, devo dire, ha i suoi pregi. Luca Bergia è là dietro, al solito, accanto al suo nuovo compagno ritmico Marok. Gianni, col basso... basso, come lo tiene lui, quasi ciondolante alla fine delle braccia, dove più giù non si potrebbe e con quel sorriso beffardo che segue ed osserva tutto. Godano in solida postura-frontman, Riccardo Tesio che (citando) mi stupisce quasi fosse nuovo, dato che è in versione semi-beach con tanto d’occhiale nero avvolgente. E poi Rob Ellis, collaboratore storico di PJ Harvey e Nick Cave, e qui presente in cori, spirito ed arrangiamenti di archi e tastiere. E siamo a cinque, i cinque cui ci hanno abituato i MK nel Bianco Sporco Tour. Ma c’è anche lui. Lì per lì non comprendo. Non è un backliner. Non sta provando la chitarra per accordarla. La suona proprio. Cappellino nero, occhiali neri, gambe magre e nere. Un fumetto? No. Di più. L’entità che porta a tre il muro sonoro di chitarre kuntziche, colui che durante il concerto sarà presente in “Cenere”, “Sonica” e “L’inganno”. Quello che, poco dopo, apprenderemo essere "Josh da Los Angeles" (Josh Klinghoffer, leader dei losangelini Bycicle Thief, citato in Wikipendia come producer appena venticinquenne che ha lavorato con Golden Shoulders, Ataxia, Thelonius Monster e tra l’altro chitarra con John Frusciante nel suo lavoro solista 2004/05. Mi si dirà dopo il concerto che suona pure con lei, PJ). Ma ora, sul palco del soundcheck, è solo un ragazzo dalla faccia simpatica e dalla mobilità di gambe da far invidia ad un contorsionista.

Tra il soundcheck ed il concerto, la “cena”.

Trix ed io in conversazione serrata sulle grandi tematiche del mondo e della vita ("Come lo prendi il panino?", “Come I panini? Quanti ne prendi, scusa?”; "Ah, ma tu non bevi la birra?", "Attento, quel cane ti fissa, ti vuole rubare l'ultimo boccone", “Guarda, Bergia ha fatto pipì nello stesso bagno dove sono andato io”, “Ci credo, è l’unico bagno da uomini.”). Poi giunge l’ora ed entriamo. Clima tranquillo, inizialmente non c'è molta gente, nessuno corre per accaparrarsi le transenne. Tant'è che Trix ed io finiamo proprio là davanti, appoggiati, accanto al Security Man vestito da Harleysta. In un contesto come quello, in cui il pogo è assente ed impera un entusiasmo misurato (quasi cuneese, direi), alle transenne si sta proprio bene.

Si abbassano le luci (anche grazie al Service che ha provveduto ad insacchettare di nero i lampioncini attorno al palco), s’intonano le voci e s’inizia. Sul palco sono disseminate gocce di luce sottoforma di lampade. Entriamo nel vivo di tre sipari intensi, graditi, di quelli che vi fanno tornare a casa alle 3,30 di mattina nutriti e, soprattutto, un po’ rappacificati col mondo che intanto lotta ed esplode, che ti grida addosso un vomito di rabbia ed assurdità...

Rob Ellis. Intro di tastiere, arpeggio di chitarre, il basso che all’inizio offusca un po’ il tutto ed eccola qua, la bellezza di "Bellezza". Mi accorgo che la voce di Cristiano Godano esce pulita, giusta, solida. E’ cambiato qualcosa (forse al mixer?) e questo renderà tutto il concerto molto piacevole. Un concerto che rivela come il noise si sia evoluto senza perdersi troppo, in un equilibrio di scaletta che ti spara addosso past and present senza soluzioni di continuità, senza scarti o sbalzi fastidiosi. Segue "Canzone di domani", un po’ più rallentata di sempre, ma corposa, sincopata, la voce canta recitando e coinvolge. E’ il turno poi di "Primo maggio", in una versione riarrangiata che mi piace, con un basso a tratti quasi reggae che porta dritti dritti a "1°2°3°".

Colpisce come, anche nei brani che non lo hanno visto direttamente coinvolto nella fase compositiva, Rob Eliis s’inserisca integrando e riproducendo suoni con la tastiera, suonando spesso le maracas in controtempo, intonando i cori o partecipando comunque col labiale. Secondo alcuni, la sua presenza nella totale durata dei concerti sembra inutile, appunto perché non si capisce quale sia il suo apporto nei brani pre-Bianco Sporco (ma anche pre-Senza Peso). Ascoltando la Marlene live, devo dire che invece Rob “si sente”, in modo non ingombrante e forse per questo più incisivo. E’ una cadenza di fondo che pare non influenzi la resa, ma se ascolti e riascolti te ne accorgi. C’è. Come una spire di fumo di cui avverti l’odore più che il chiarore in dissolvenza. Anche quando non è previsto alcun suo intervento sonoro, non sta fermo: partecipa con gli occhi, fa le foto al gruppo ed al pubblico, sorride placido. Nella successiva “Festa mesta” infatti lui è lì, canta, mentre Cristiano “bacchetta” al suo solito la chitarra, dolorando l’aria.

“Amen" arriva lieve dopo lo schianto di prima, su un pubblico che è come avvinto: canta, applaude, ondeggia, ma non si leva mai furente o gocciolante. Non si suda, a Larciano, venerdì. Si accoglie e basta. In “Amen” la voce di Cristiano ce la fa in tutto e per tutto, in un brano non semplice per quel suo cantato alto e sofferto. Riccardo Tesio è esplosivo, quando l’atmosfera sale sul finale e diventa solenne. "Il solitario" vede Ellis tornare imperioso in scena col controcanto, ed “A fior di pelle” è più bella di come la ricordavo. Poi il coro si alza. "Nuotando nell'aria" non sbava una virgola, non cade nell’inganno rallentato che a tratti sto notando in certi brani. Live quando può, ruvida quando deve. Ok. "Ineluttabile" rimane un pilastro della carriera marlenica ed è proprio questo uno dei brani dove può apprezzarsi il “perché Rob Ellis”, quando nel finale s’inserisce col piano per condurre il gioco al suo sfumarsi.

Se io fossi una regista, direi che l’hanno fatto apposta. Perché mentre la luna davvero sosta graffiata nel cielo, curiosa assonanza tra palco e natura, inizia lei, "E poi il buio" che non ascoltavo da tempo live e che termina solida e urlante, con Godano che canta l’ultima strofa ad una tonalità impensabile, mentre Bergia e Marok si rincorrono a legnate ritmiche.

Di un uomo sul palco, la teatralità è solo l’estensione estrema del comunicare filtrando la realtà, mascherando con l’esagerazione del gesto il narrato. E’ la scena nella scena, il velo che permette di dire senza prendere per mano il pubblico. Godano è così. Osserva senza guardare, tocca senza sfiorare. Usa i capelli come un sipario a senso unico, dalle cui sbarre può spiare senza essere visto. Non è casuale, questa sua tensione teatrale. Ed a mio avviso non sarà lontano il giorno in cui, rielaborato tutto questo, lo vedremo su un palco diverso, perso tra il narrare e il cantato, tra il testo sonoro e quello recitato. Perché? Perché, anche se ancora è nel gesto studiato del rocker, si percepisce un moto diverso, il lavoro di instaurare una distanza che non è mai travalicata, pur cercando il “duende”, il contatto che annienta il distacco tra artista e spettatore ed inchioda la gente in una dimensione diversa da quella reale. E ci sono volte in cui a Godano questo riesce di più. E’ il caso di "Schiele, lei, me", in questa versione senza percussioni che non esplode mai. Chitarra di Tesio, synth di Ellis e voce, solo voce di un Godano a mani libere. Intenso. Coinvolto. Oltre il se stesso di sempre. “Induendado”, come si dice.

Poi eccolo lì. Quel Josh che per tutta la sera mi verrà da chiamare Nesh. Introdotto dal laconico Godano con "Stasera abbiamo un ospite, Josh da Los Angeles", applaudiamo questo giovane d'età, maturo d'esperienza ed agile di gambe come dicevo, osservato con sguardo paterno da Ellis che, in un paio d'occasioni, lo segue per dargli l'attacco giusto per entrare con effetti e distorsioni. La Marlene sale così in tre chitarre e restituisce un effetto solido di solennità. Lo riascolto, dunque, in versione ufficiale dopo il soundcheck. Con lui sul palco ecco ”Cenere” (ed Ellis spara tastierate come fossero pallottole, “ci sta dentro”, è un brano che evidentemente gradisce di suo), poi “Sonica” che così fa proprio male nel profondo da quanto è tirata e precisa ed infine “L’inganno”, che parte col suo fare angosciante e cupo e si chiude sparata al cielo con intreccio possente di chitarre. Poi Josh ringrazia ed esce, col passo lieve del ghepardo, come canterebbe Paolo Conte.

Dopo il fragore, come si conviene ad ogni tempesta, ecco la prima pausa. Mi adagio sulla transenna e mentre rifletto e parlo con Trix, accanto a noi si apre una stramba conversazione sulla vita che è come la birra: bisogna sempre far sentire che l’hai digerita. Di nuovo luci e l’organo di Ellis introduce “Grazie”, senza la lunga coda strumentale ma con qualcosa in più: un filo continuo che inizia piano e porta sincopato ad un assolo serrato di basso, riaccordato grezzo, di un ispirato Marok, che porta ad “A chi succhia”, brano in cui i nuovo la presenza di Ellis è viva e sostiene l’architettura. Poi è la volta della bellissima “Mondo cattivo” dove l’unisono è completo e lisergico. La pausa che ne consegue è solo uno stacco in cui riprendere la conversazione sulla birra di prima. Rientrano per chiudere con “Ape regina”, in cui inneggiare al cielo diventa rito e baccanale comune del pubblico.

Poi finisce. Tutti defluiscono lievi, tranquilli. Io e Trix restiamo a parlare e finalmente non di birra, a capire meglio chi è Josh, a vedere come si smonta il palco, a commentare ammirati una penna che illumina dove scrivi... (una penna che la usi di notte, per tracciare i sogni, una penna notturna che graffia il foglio di luce).

Ed io lì, tra cielo e pensieri, a riconsiderare il fatto che Bianco Sporco (ma come fu anche per Senza peso) dal vivo mi piace più che sparato nel lettore. E’ stata una masticazione lenta ed intensa prima d'arrivare a catturare il vero retrogusto dei brani. Non è un lampo che ti fulmina immediato, colpendo un punto preciso, ma fascio di luce che avvolge diffuso. E non ti brucia: ti riscalda. Il suo scopo e permanere, non esaurirsi in breve. Per questo quando lo ascolti la prima volta è pallido. E lo maledici perché ti sembra che non s'impegni abbastanza ad illuminare. Poi passa il tempo, vai ad un concerto e c'è come un salto: non saprei dire precisamente quando accada, ma accade.

E poi... e poi il copione è spesso simile: due in auto che vanno nel buio e tornano a casa. Due che sembrano quattro, da quanto parlano. Due che si ritroveranno ad altri concerti, che mangeranno panini col sole negli occhi e parole da dirsi.



Venerdì 22. Il cielo sopra Larciano non ha nulla da invidiare a quello sopra Berlino di un noto film. Ci sono nuvole scure in vortice e minaccia di pioggia. Afa a piombo sulle cose e sui pensieri. Eppure, come nei migliori happy-ending, il sole lotta per uscire ancora una volta prima del tramonto. E ce la fa. S’impone sul grigiore e sulla fuffa mentale. Così, con gli ultimi raggi appiccicati addosso, io e l’amico Trix (kuntzico d’annata, la cui amicizia con me da anni è cadenza ormai al ritmo dei concerti di Marlene Kuntz e PGR più o meno al cubo, uniche occasioni in cui ci vediamo) ci addentriamo nello spirito di Larciano.

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L'articolo Marlene Kuntz - Larciano - Pistoia di Monia B. Balsamello è apparso su Rockit.it il 2005-07-22 00:00:00

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