L'arrivederci di Andrea Laszlo De Simone ha il suono dell'Immensità

Durante la prima serata del TOdays Festival è andato in scena l'ultimo live (almeno per un po') del cantautore torinese nella sua città, accompagnato dall'Immensità Orchestra. Uno show splendido e ricco di grande musica, che suona come un rassicurante "a presto"

Andrea Laszlo De Simone sul palco del TOdays Festival a Torino - foto di Federico Cardamone
Andrea Laszlo De Simone sul palco del TOdays Festival a Torino - foto di Federico Cardamone

All’ingresso dello sPAZIO211 c’era uno strano fermento, quel tipo di fermento che non si sente da un po’ prima dei concerti. Non dico che sembrava d’essere nel 2019, ma quasi. Una timida fila di un centinaio di metri serpeggiava prima delle transenne dei controlli, ma purtroppo abbiamo compreso presto che si trattava di un intoppo organizzativo – come è comprensibile in questi tempi incerti per i live –, non eravamo a un “concerto normale”, ma sognare non costa nulla, e allora va bene così.

Ad ogni modo la prima giornata del TOdays Festival – perla torinese di fine estate – è stata effettivamente il ritorno di qualcosa. Sì, perché prima dell’ultimo concerto “prima di un bel po’" di Andrea Laszlo de Simone nella sua città, sono andati in scena due set di artisti internazionali, e davvero non si era più abituati a sentire provenire dal palco, e non dallo stereo, quelle atmosfere glaciali, o quei perfetti accenti londinesi.

 

Andrea Laszlo De Simone - foto di Federico Cardamone
Andrea Laszlo De Simone - foto di Federico Cardamone

Pochi minuti dopo le 20 attacca a suonare Asgeir, nuova stella della musica islandese, autore di un pop algido ma variegato, che sfuma con facilità nel trip-hop. Al centro dei tre componenti della band sta lui, seduto immobile al piano, a snocciolare versi in islandese e inglese, con una voce incredibile, collocabile a metà nello spettro timbrico che parte da Hozier e arriva a James Blake.

Ma è l’arrivo sul palco dei Dry Cleaning che infiamma definitivamente l’atmosfera. La band capitanata da Florence Shaw, poetessa enigmatica dalla presenza scenica micidiale per quanto immobile, si è fatta conoscere soprattutto quest’anno col disco d’esordio, ma il sound che restituiscono dal vivo è davvero un’altra cosa. Chitarra abrasiva, basso e batteria limpidi e dritti come treni. Letteralmente il putiferio intorno a una figura vestita di bianco e di verde, dall’eleganza fuori dal comune.

Il tempo di una sigaretta - foto di Paolo Pavan
Il tempo di una sigaretta - foto di Paolo Pavan

Si sono fatte le 23, tira un vento autunnale, e tutto è pronto per il momento che ognuno di noi presenti sta aspettando con maggior forza e impazienza. Si intravedono le impalcature su cui starà seduta l’Immensità Orchestra – priva oggi del maestro Gabrielli e di Damir Nefat, degnamente sostituiti – e le luci possono alzarsi. Siamo certi che assisteremo all’intera esecuzione della suite che è stata protagonista ad aprile del Film del Concerto di Andrea Laszlo De Simone ambientato in Triennale, e forse per questo fa ancora più impressione sentire rimbalzarci in faccia quel Si bemolle suonato e interrotto per cinque, sei, sette volte, prima che l’arpeggio dia inizio letteralmente alle danze. Tutto ondeggia, e con gli occhi chiusi ci si può accorgere dell’inciampo delle dita sulle corde nelle prime battute, una legittima tensione per un appuntamento sentitissimo con la propria città. Il tempo di sciogliere ogni articolazione e l’Immensità inizia a sprigionarsi.

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E si sprigiona dalla qualità gigantesca del suono fatto da tredici persone, non tutte convinte fino in fondo di voler dedicare alla musica l’interezza del proprio tempo, ma che quando impugnano il proprio strumento fanno sentire la fame di bellezza che li pervade. Tutto è bello e scorre alla perfezione, gli interludi sono innaffiati dagli applausi di un pubblico che si risveglia momentaneamente da un sogno, e le quattro tracce di Immensità diventano dei quadretti di grazia in cui facciamo nuovamente i conti con la nostra condizione misteriosa di esseri mortali e spesso senza fiato. Si tratta di un copione che non si limita al suono, agli intarsi di fiati e archi che si cedono il posto di rilievo nell'arrangiamento, perchè la band ha acquisito una sequenza di pose e posture personali, come nello studio di un personaggio. Anthony ricurvo sulla tastiera, Giuvazza e Reverendo appesi ai loro manici in una rotazione all'unisono, e Laszlo come siamo abituati a vederlo, col la veste bianca che gli pende sulle spalle, e la chitarra pronta a sollevarsi nei finali di pezzo.

Andrea Laszlo De Simone e l'Immensita Orchestra - foto di Paolo Pavan
Andrea Laszlo De Simone e l'Immensita Orchestra - foto di Paolo Pavan

Sta finendo Conchiglie e mi rendo conto che sono passati 40 minuti dall'inizio del concerto. Siamo stati assorbiti da tutto, non c'è una spiegazione. L'attacco di Sogno L'Amore arriva come una manna dal cielo, nessuno più pensa che manca così poco alla fine, qualcuno si alza in piedi, qualcuno scivola a tempo sulla propria sedia, cantando fortissimo. Seguono La Guerra dei Baci e Fiore Mio e lo sPAZIO211 è invaso dalla luce, dagli spostamenti nei corridoi, da una gioia ormai inedita. La band suona i pezzi arricchendo gli arrangiamenti originali, e lo fa fino all'ultima goccia, nonostante il poco tempo a disposizione. Non salta un ritornello, non accorcia gli outro, sempre abbondanti in Uomo Donna. Si prende il tempo per tutto, con una cura che mette addosso solo voglia di vivere. 

Andrea Laszlo De Simone avvolto dal fumo - foto di Paolo Pavan
Andrea Laszlo De Simone avvolto dal fumo - foto di Paolo Pavan

Quando parte Vivo decido di alzarmi e mettermi in un corridoio laterale, per godermi la fine appoggiato a un muretto su cui c'è una scritta che inneggia alla Resistenza, per "Cogliere il tempo che rimane" senza il rimpianto di essere stato troppo lontano dal palco. Tutti sono in piedi pronti a dare l'arrivederci, ma c'è tempo per un'altra canzone. "Ora ne faccio una arrabbiata", comincia Vieni a salvarmi,  e trattenersi dal correre è difficile. Dura un'eternità, si interrompe per la presentazione della banda, ricomincia per l'ennesimo grido del ritornello, ancora più pieno di note. Ora il concerto è davvero finito,  e gli occhi della gente intorno a me sono colmi di una cosa che si avvicina tanto alla soddisfazione. Emotiva e artistica. Ma prima di lasciare il palco Andrea ci tiene a darci un avviso: "Comunque, a discapito di quello che dicono i giornali, a presto". Noi ti aspettiamo qui Laszlo, a braccia aperte, che siano anni o il tempo di una sigaretta. Ti regaliamo un grande grazie.

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L'articolo L'arrivederci di Andrea Laszlo De Simone ha il suono dell'Immensità di Gabriele Vollaro è apparso su Rockit.it il 2021-08-27 15:33:00

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