In mano ho il mio iPod classic da 160 gb, sesta generazione, annata d’oro 2007. Non sono un fan delle operazioni nostalgiche, quelle della serie “noi che negli anni 90”, oppure “bei tempi quelli degli squilli alla tipa”, o tanto meno “quando c’era lui i treni arrivavano in orario”. Però in questo momento, con in mano il mio iPod classic da 160 gb, un po’ di nostalgia mi prende. Mi vengono in mente i pomeriggi passati davanti al computer a tenere il cursore del mouse sulla barra di avanzamento della canzone che stavo scaricando, per vedere se effettivamente si muoveva. Poi squillava il telefono e questo voleva dire che la connessione si sarebbe staccata e che avrei dovuto ricominciare da capo. Alla fine scaricavo la canzone, l’album o l’intera discografia di un artista. Facevo partire Windows Media Player e mi ipnotizzavo davanti alle immagini psichedeliche che si muovevano al ritmo della musica. In questoiPod Classic che ho in mano c’è tutta la mia adolescenza, 6543 brani, la maggior parte dei quali tirati giù da internet.
Mi autodenuncio: negli anni 2000, come la quasi totalità dei miei coetanei, scaricavo musica online. Non mi rendevo conto del danno che potevo arrecare a qualcuno, per me era semplicemente incredibile riuscire a scaricarmi nel computer, e conseguentemente portare in giro sull’iPod, tutta la musica che volevo. Adesso è assolutamente normale, se vuoi sentire un pezzo prendi il telefono, lo cerchi e lo ascolti. Gratuitamente. Ma fino a venticinque anni fa questa cosa era semplicemente fantascienza.
In questi venticinque anni è cambiato tutto, abbiamo assistito a un processo che è stato sì abbastanza lungo e tortuoso, ma che è avvenuto alla fine in un lasso di tempo relativamente breve, vista la portata della trasformazione. Napster, le battaglie legali, il prolificarsi di altre piattaforme, il crollo dell’industria discografica, la rinascita dalle ceneri grazie al web, YouTube, Myspace, iTunes, Facebook, Spotify, TikTok. Un processo che ha ridefinito completamente l’industria discografica e il modo di ascoltare e percepire la musica. Quindi, da dove è partito tutto questo? Qual è stato il primo germoglio che ha dato il via alla rivoluzione?
Nel 1992 il Moving Picture Expert Group, un comitato tecnico internazionale impegnato nella definizione di standard per la rappresentazione in forma digitale di video e audio, introduce un algoritmo di compressione audio in grado di ridurre drasticamente la dimensione digitale di una canzone senza perderne eccessivamente la qualità. In questa maniera si riusciva facilmente a condividere e a far viaggiare nell’etere una canzone, viste le sue più ridotte dimensioni. L’algoritmo di compressione viene chiamato MPEG-1 Audio Layer III – da Moving Picture Expert Group – o molto più semplicemente mp3.
Il fondatore e capo di questo comitato è italiano, oggi ha 82 anni, vive a Villar Dora, un paesino di quasi tremila anime a 30km a ovest di Torino, proprio all’imbocco della Val di Susa, e si chiama Leonardo Chiariglione. L’appellativo che gli viene attribuito è padre dell’mp3, una definizione sicuramente semplicistica, lui stesso mi dirà che c’erano altri con lui, ma anche riduttiva. Perché se accettiamo questa espressione allora dovremmo dire che Leonardo Chiariglione è anche il padre dell’mp4, della televisione digitale e degli standard video per internet, e in generale del motivo per cui vediamo qualsiasi tipo di video sui nostri schermi. E io sono stato a casa sua per intervistarlo.
“Quei vigneti sono lì da secoli”, mi dice Leonardo Chiariglione mentre passiamo nel suo giardino, “prima ce n’erano molti di più, la mia famiglia ha sempre fatto il vino, adesso riesco a farmelo solo per me e per qualche amico”. Quando mi invita nel suo ufficio noto tre foto appese sulla parete che raffigurano una serie di uomini in posa, tra cui un giovane Chiariglione. “Questa è stata scattata all’Aquila, nell’ottobre dell’86, quando creai un gruppo di ingegneri che si chiamava International Workshop on HDTV”.
Mi indica i vari personaggi, sembra La Compagnia dell’Anello tanta è l’aura che si percepisce dalla foto. “Questo è Yuichi Ninomiya, il giapponese che aveva inventato Muse, un sistema giapponese di radiodiffusione ad alta definizione, questo è Marcel Annegar della Philips, questo è Jules Bellisio dell'ATT, questo è Nick Wells della BBC, questo Hugo Gaggioni della Sony America. Abbiamo organizzato una serie di conferenze in cui parlavamo di HDTV, ognuno portava la sua idea e ne discutevamo. Questo mi ha permesso di imparare un mestiere che poi ho utilizzato a partire da due anni dopo con l’MPEG”.
Nel 1987 Chiariglione va a Houston per partecipare a una conferenza. Lì incontra Hiroshi Yasuda, il suo vecchio compagno di università ai tempi del dottorato in Giappone. “È questo qua”, mi indica in una delle foto appese. “In quell’occasione mi invitò a partecipare ad una riunione JPEG. E’ vero, stavano facendo grandi cose con le immagini digitali ma il futuro per me era il video. Quindi gli propongo di creare un altro comitato come JPEG, ma per il video. Quelli di JPEG erano 20, 30 persone, noi alla fine siamo arrivati a 600. L’idea era quello di sviluppare standard per la compressione del video”.
Il concetto di standard è molto importante per comprendere tutto il lavoro che negli anni sviluppò Chiariglione. L’MPEG si forma all’interno dell’ISO, l’organizzazione internazionale per la standardizzazione, un organismo a livello mondiale che si occupava e si occupa tuttora della definizione di norme tecniche di qualsiasi cosa. Per esempio, l’ISO 216 è una norma tecnica che stabilisce diversi standard per la dimensione dei fogli di carta, A2, A3, A4, eccetera. Oppure, l’ISO 13616 è lo standard per definire i codici bancari dei conti correnti, quello che viene comunemente chiamato IBAN. L’obiettivo di Chiariglione e del suo MPEG era quello di creare degli standard che definissero la rappresentazione in forma digitale di qualsiasi contenuto multimediale. “Prima della definizione di uno standard, ogni Paese aveva specifiche regole per la trasmissione della televisione. Il PAL per esempio era un sistema esclusivamente europeo, negli Stati Uniti era illegale importare un PAL. A livello di legge veniva impedito di importare degli apparati che potessero consentire di vedere quello che veniva fatto in un altro Paese. Ecco, questa è stata la motivazione principale che mi ha spinto a creare l’MPEG, era una cosa che cioè mi faceva torcere le budella! L'informazione deve essere libera, e per questo si deve realizzare uno standard che valga per tutti i settori, dall’industria dell’elettronica e dell’informatica a quella dei broadcaster e delle tv via cavo”.
Come dicevo all’inizio la definizione di padre dell’mp3 non è del tutto corretta, perché sono stati tanti all’interno dell’MPEG a lavorare a questo progetto. Per i tedeschi, per esempio, il padre dell’mp3 è un ingegnere del Fraunhofer Institute, tale Karlheinz Brandenburg. La leggenda vuole che Brandenburg abbia lavorato a un embrione dell’mp3 sviluppando il proprio algoritmo sulle note diTom’s Diner di Suzanne Vega, forse il nome vi dice poco ma la melodia è impossibile che non la conosciate.
La voce pura e cristallina di Suzanne Vega in questo brano a cappella si sposava perfettamente con il lavoro che doveva svolgere Brandenburg. L’obiettivo era quello di creare un algoritmo che individuasse e cancellasse dalla canzone tutte quelle frequenze che un orecchio medio non riesce a percepire. In questa maniera si poteva ridurre drasticamente le dimensioni del file audio senza perderne eccessivamente la qualità. “L’MPEG non ha mai inventato le tecnologie,” precisa Chiariglione, “le tecnologie le inventavano i singoli laboratori. Il ruolo di MPEG era quello di integrare le varie proposte, alcune contenenti brevetti, che arrivavano dalle varie aziende, a seconda del progetto che c’era da sviluppare. Karlheinz Brandenburg è stato uno degli inventori principali della tecnologia che successivamente è stata utilizzata per creare l’mp3. Ma dire mp3 uguale Brandenburg è riduttivo, lui è stato uno dei maggiori contribuenti alla causa, ma ci sono stati tanti altri che hanno parimenti lavorato a mettere insieme questo standard”.
Come spesso è accaduto nella storia del mondo,anche l’invenzione dell’mp3 è avvenuta per caso, o meglio, inizialmente non ci si è resi conto dell’applicazione che se ne poteva fare di quel tipo di compressione di un file audio. Nel ‘92, infatti, MPEG approva il suo primo standard, l’MPEG-1, e all’interno di questo standard vi sono tre formati diversi che sarebbero dovuti servire per applicazioni diverse. “L’MPEG-1 Layer 1”, mi spiega Chiariglione, “era un algoritmo di compressione meno complesso che fu usato per trasferire i dati di un file audio su cassetta, cioè lo stesso supporto che utilizzava un audio analogico, con questo algoritmo gli permetteva di supportare un audio digitale. Il layer 2 invece venne utilizzato per la trasmissione digitale della radio, quello che poi divenne il Digital Audio Broadcasting, il DAB. Il terzo layer, invece, su cui puntava molto il Fraunhofer Institute di Brandenburg, era quello che spingeva molto sulla compressione che riduceva molto di più la dimensione del file audio. Solo che al tempo le tecnologie layer III erano molto più difficili da implementare, mentre i primi due layer avevano un chiaro utilizzo. Poi però la tecnologia si è evoluta, c’è stato chi ha reso più accessibile il software di compressione mp3 e l’ha portato su pc e da lì è partito tutto. Quando nel luglio del ‘96 a Dublino vidi il primo lettore di audio digitale mp3, il Rio PMP3000, con le sue ridottissime dimensioni, capii che la cosa sarebbe decollata e la crescita e lo sviluppo delle tecnologie avrebbe permesso un utilizzo su vasta scala. Il terzo layer dell’MPEG-1, che all’inizio non aveva un utilizzo specifico, poi alla fine è stato quello che ha conquistato il mondo”.
I primi smanettoni, quindi, cominciano a convertire i propri CD in file mp3 per conservarli nel proprio hard disk. Il resto è storia conosciuta. Nel ’99 due giovani studenti americani di 18 anni, Shawn Fanning e Sean Parker, creano un software, chiamato Napster, che permette la condivisione dei propri file mp3 con chiunque si connetta al server centrale. Ha inizio così l’era del p2p dove gli hard disk di ogni singolo utente si aprono spontaneamente e la musica comincia a circolare libera e gratuita.
Nel giro di 15 anni il fatturato dell’intero settore discografico si dimezzerà, passando dai 28.6 miliardi del 1999 ai 14.5 miliardi del 2014, il minimo storico. In questo periodo l’industria si batterà con tutte le forze per annientare quel male chiamato Internet che permetteva alla musica di circolare gratuitamente, probabilmente senza rendersi conto che stavano combattendo contro un’entità molto più grande di loro. La RIAA, l’associazione americana che riunisce tutte le grandi case discografiche, chiederà aiuto a Chiariglione per trovare un modo per proteggere la propria musica, ma la visione dell’ingegnere italiano è completamente diversa da quella dell’industria. “Quelli della RIAA erano molto preoccupati per quello che stava succedendo e io potevo capirli. Sono sempre stato dell’idea che chi produce opere della mente debba essergli riconosciuto con una giusta remunerazione. Mi volevano per un progetto, uno standard che consentisse la distribuzione digitale della musica in modo sicuro. Ma i modi per raggiungere l’obiettivo erano diversi e quindi poi il progetto è stato accantonato. Anni dopo, con alcuni colleghi e esperti del settore, presentai alla commissione del Senato un nuovo standard, l’MPEG-21, e una delle parti dello standard era dedicato a quello che avevamo chiamato IPMP, Intellectual Property Management and Protection, che permetteva la distribuzione legale e riconosciuta dei media digitali. Ma anche questo nonvenne accettato. Io non ho mai lavorato per l’industria, ho sempre lavorato per le mie idee, e la mia idea è: offri un contenuto e proteggi chi crea quel contenuto con la giusta remunerazione. I miei standard non assumevano che ci fosse un’intermediazione, un controllo sulla distribuzione da parte dell’industria che era quello che l’industria discografica cercava”.
Leonardo Chiariglione ha guidato l’MPEG per 32 anni, sviluppando un enorme portfolio di standard e tecnologie che hanno creato un valore per le industrie di svariate centinaia di miliardi di dollari. Poi le cose sono cambiate e nel 2020 Chiariglione ha deciso di lasciare l’MPEG perché ormai non ci si riconosceva più. Nel 1988 l’ingegnere italiano, spinto da quell’ideale secondo cui era necessario uno standard universale per video e audio digitali, ha realizzato la sua creatura, che poi si è sviluppata, è cresciuta e successivamente è stata fagocitata in logiche economiche e di mercato che non si sposavano più con la sua visione. Dalle ceneri dell’MPEG è nato quindi l’MPAI, Moving Picture, Audio and Data Coding by Artificial Intelligence, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che sviluppa standard per la compressione dei dati basati sull’Intelligenza Artificiale, di cui Leonardo Chiariglione è presidente e fondatore. “Lo scorso secolo è stato il secolo del petrolio. Noi viviamo invece nel secolo dei dati. I dati sono il petrolio di questo secolo. Noi come umanità produciamo una quantità enorme di dati, non ricordo quanti zeri ci vogliano per dire quanti dati produciamo in un anno e tutto questo cresce esponenzialmente. Noi dobbiamo poter trattare questi dati e questo lo possiamo fare con l’Intelligenza Artificiale. Per esempio, noi come MPAI stiamo lavorando a uno standard applicato all’AI che, sulla base dell’enorme mole di dati prodotti da una determinata azienda, è in grado di prevedere il futuro di quell’azienda e di calcolare le probabilità che ha di fallire”.
Alla domanda se è consapevole di aver dato il via, insieme al suo gruppo, alla più grande rivoluzione della storia del mercato discografico, Leonardo Chiariglione ci pensa un attimo e poi mi dice: “Sì, ne sono conscio”. Dal cilindro di carta stagnola realizzato da Thomas Edison nel 1877, poi il 45 giri, l’LP, le musicassette e i cd. Nella storia dell’industria discografica è cambiato spesso il modo di ascoltare la musica, ma un concetto è rimasto invariato nel corso dei secoli: se vuoi ascoltare la musica devi pagarla. L’mp3 di Leonardo Chiariglione è stato l’unico formato che ha stravolto completamente questo concetto. La musica è quindi diventata libera e poi pirata fino a che il mondo non si è adattato a questa rivoluzione, l’industria ha cambiato modello di business e oggi se voglio ascoltare Tom’s Diner di Suzanne Vega, prendo il telefono, apro YouTube o Spotify e lo ascolto.
Il contrappasso a tutto questo è sorbirsi dieci secondi di uno spot di un tizio che dice che posso guadagnare fino a 4000 euro al giorno stando seduto sul divano. Però poi puoi skippare.
* L'autore è speaker di Radio Deejay e sta lavorando a un progetto sulla digitalizzazione della musica e la fase storica del passaggio dal disco fisico, appunto, al digitale
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L'articolo L'uomo che ha inventato la musica per come la conosciamo di Federico Pecchia* è apparso su Rockit.it il 2025-05-29 11:53:00
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