La libertà è una Rampallonata: siamo andati a vedere i Tamango allo Stadio (di Pino)

Ci sono band per cui andremmo in capo al mondo. Persino al Comunale di Pino Torinese, per il primo tour negli stadi del collettivo più libero e indecifrabile che ci sia oggi. Passato da 3 a 37 membri e capace di prodursi un tour (di più: un varietà!) da solo, mentre là fuori tutti li bramano

Il palco. Le foto sono di Valentina Mirto
Il palco. Le foto sono di Valentina Mirto

Pino Torinese è un comune italiano adagiato su una di quelle splendide e affusolate colline che cingono Torino e fanno da verde controcanto alla sua stereotipata immagine industriale e grigia. Fino al 2024 era nella top ten dei dieci comuni più ricchi d’Italia. Nel suo punto più alto, vicino al cimitero dove riposa Egle, la nota industria dolciaria Ferrero aveva il suo centro direzionale. Lo abbandonarono definitivamente nel 2017 per ottimizzare i costi, ricollocando i dipendenti a Alba e Lussemburgo: città sicuramente più efficienti, che però non potranno godere mai della misteriosa quiete che incarta questi luoghi di borghesia e resistenza, di lirismo pavesiano e scarichi di Golf GT.

C’è un famoso planetario, a Pino, da cui è dolce osservare il cielo. Così abbiamo fatto noi, dolcemente, nella notte di sabato 28 giugno. Quando il buio è calato sull’Impianto Sportivo Comunale Giorgio Ferrini, sede dell’Unione Sportiva PSG (no, Parigi non c’entra), le stelle erano alte e luminose, e i Tamango (qua una selezione delle cose che abbiamo scritto su di loro: sono parecchie) sono saliti sul palco. Un palco - spieghiamolo - da loro allestito, nella prima data del tour da loro autoprodotto, per suonare, interpretare, recitare, ballare e gioire uno spettacolo da loro interamente scritto e creato.

Allestimenti
Allestimenti

Il fatto che la Rampallonata, il “tour negli Stadi” di questo collettivo torinese multidisciplinare, parta da quest’erba non è per nulla scontato. I ragazzi sono di queste colline, e hanno un rapporto con la provincia stretto come il nodo di una promessa. Su questo campo Marcello Maida - la voce più riconoscibile fra quelle che si alternano al microfono delle loro canzoni - si allena abitualmente, e nel campo a fianco (quello con l’erba bella) gioca una domenica sì e l’altra no.

Senza voler spoilerare nulla: ho trovato sorprendente pensare che un calciatore tesserato in una squadra militante in Promozione si sia esibito con navigata naturalezza (e sorprendente mobilità articolare) in momentiqueer, mostrando senza patemi le chiappe ai propri famigliari, dirigenti e persino compagni di squadra. I quali erano già inavvertitamente protagonisti dell’ultimo singolo del gruppo, si pensi alle sbirciate dei piselli in spogliatoio di Con la faccia al sole e gli occhi chiusi. Per chi conoscesse un po’ il calcio provinciale: una notizia.

In un sport in cui - ufficialmente, a livello professionale - non ci sono gay dichiarati e in un Paese in cui si dibatte ferocemente del corsetto di Marco Mengoni usato nel suo concerto negli stadi (quelli veri) ho trovato rivoluzionario e paradossale che tutto questo sia accaduto in un impianto periferico. Oltre le narrazioni ufficiali esiste una realtà sfuggente alle strumentalizzazioni, libera. Parla linguaggi che creano pertugi, e se incontra condizioni socio-culturali fertili può creare discussioni stupefacenti.

Le suddette chiappe
Le suddette chiappe

Ma torniamo alla Rampallonata - titolo onomatopeico, futurista - il tour di quattro date che i Tamango hanno immaginato come risposta all’idea che lo stadio sia, nella musica italiana, la sola misura di tutte le cose. Un progetto del genere è ben più comprensibile se lo si colloca nella loro pazza timeline. Dandoci modo di capire perché questi ragazzi non siano come gli altri, in termini di lavoro, approccio, idee. Breve roll-back.

Dopo aver ottenuto una meritata ma inaspettata viralità a inizio 2024 con un reel su Instagramtratto da una loro live session, la visibilità dei Tamango è schizzata alle stelle. Importanti artisti italiani hanno apprezzato e messo like, l’account dei Grammys ha commentato, e il pubblico, goccia dopo goccia, ha iniziato a farsi lago. Il “successo” li ha poi mostrati inevitabilmente a gente casuale. E loro si sono ritratti, intimiditi. Nel resto dell’anno giusto la gloriosa Collinetta al MI AMI 2024, e una performance a Torino.

video frame placeholder

Poi ad aprile di quest’anno qualcosa si muove. Nel video di presentazione di Rampallonata - un brillante compendio tamangheiro di musica e tv - raccontano di come abbiano scampato una perquisa grazie a TikTok. Uno dei poliziotti li ha riconosciuti e fatto loro i complimenti: “Meglio essere seguiti che inseguiti” (mic drop). Questa cosa della gente che ha chiesto loro delle foto deve aver rappresentato un piccolo trauma.

L’industria ha ovviamente iniziato a bramarli. In un potenziale tavolino, seduti dalla parte di quelli che ascoltano, hanno incassato proposte, offerte, e probabilmente dovuto sorbire una marea di stronzate. Un vero e proprio assalto alla diligenza; sempre respinto, cordialmente, per tre motivi che mi arrogo brutalmente di sintetizzare così: 1) l’equilibrio interno è più importante degli investimenti esterni, in un collettivo tocca fare attenzione; 2) fare le cose da soli significa imparare a farle, e farle significa possederle; 3) a Torino, tengono moltissimo a far sapere che non fanno le cose come a Milano.

Così, parole del manager Manfredi Maida (nato a Milano): “Ora so come si organizza un tour, ho idea dei costi, di come si fa”. Dici poco. Se hai la la lungimiranza di saper gestire processi produttivi ed economici, la fortuna di poterlo fare: puoi evitare di farti fottere dalla moda, dalle proposte in direct, e dalle lusinghe infingarde degli anticipi. Privilegi.

Pubblico fresco, pubblico bello
Pubblico fresco, pubblico bello

Dopo aver postato un paio di foto su Instagram del concerto, ho ricevuto diverse domande su da gente dell’industria, da amici curiosi. Com’è stato? Com’era? Che dici? Lasciate che risponda con una frase semplice. 

La Rampallonata non è un concerto. Perlomeno, non solo. È uno spettacolo sinestetico, costruito su meccaniche teatrali (l’utilizzo della scenografia, le quinte, la movimentazione), scritto per giocare con le camere come si faceva nella tv della golden era. In fondo, è un varietà. Oltre a momenti più puramente musicali, non manca di monologhi, stand-up, interventi danzanti. È lungo, soffre un po’ di quella bulimia da esagerato entusiasmo. Quattro fondali, svariati cambi d’abito, props.Voglia di fare tutto e farlo subito. Perché è così che fanno i giovani: non esiste futuro, tutto deve essere ora.

Pino,pubblico giovane. A colpo d'occhio, 23 anni di media. Inizia con un calcio di rigore, la palla che finisce sul pubblico in mezzo ai camperos delle ragazze. Prosegue come una festa da bimbi sperduti che forgiano il mondo con l'immaginazione. Stressa l’idea di squadra, di banda, prima con un’immagine da foto di fine anno, poi con una caciarosa sonata al tavolo d’osteria. La volontà è quella di far passare un messaggio collettivo contro l’individualismo che crea paura. Da soli, siamo nulla. La festa è grande, se siamo assieme. Santiago. Si canta di temi privatissimi e ridaroleschi - “Io se perdo i capelli mi ammazzo” - e subito dopo entra una ballerina di flamenco. Celebra i teppisti di provincia, i banditi, raccontati sotto forma di topos letterario e non certo come quelli veri, i cui sguardi lamati effettivamente ci tocca incrociare nelle vasche in centro del sabato pomeriggio. Le ombre cinesi, e la pancia che ricorda un melograno.

Queerness
Queerness

A livello musicale, la produzione dei Tamango è varia ma parte da una base cantautoriale. La voce di Federico è sinuosa. Le ispirazioni sono quelle della miglior canzone italiana contemporanea, da Calcutta a Brunori e Marco Castello, e dei migliori classici jazz, Miles David, Coltrane. I brani di “Sirene e Pirati” hanno un sapore più anglosassone, elettronico, con influenze da Bon Iver e James Blake, e King Krule. Diverso è quando si pesca dalla loro discografia precedente, dove atmosfere swing e jazzy predominano. Carlotta. C’è anche funk e disco, qua e là. Ci sono momenti più rock, punk. Ogni tanto si assiste a qualche deriva un po’ più scolastica negli arrangiamenti, ma d’altronde si tratta di brani composti in giovane età e in ogni caso sono momenti che il pubblico gode parecchio.

I Tamango sanno rivisitare i fondamentali mettendo in fila le parole in modo diverso, ridando alla consuetudine una nuova speranza. Affrontano temi e suoni in cui poterci rispecchiare, evitano di farci affogare negli stereotipi. Si dannano per creare un nuovo motivo per vivere. Rivedere, rivitalizzare, rivedersi. 

Giovani in rete
Giovani in rete

Quando compare il gigantesco sole di cartapesta, in questa notte limpida, capisco che è l'alba. Siamo al termine di questa cavalcata lunga due ore. Ripenso a quel che ho visto: novecentesco. Nel momento in cui l’AI e l’automazione del lavoro sembravano aver spazzato via definitivamente il Secolo in cui gran parte dei Tamango non erano nemmeno nati, ecco che arrivano loro a riaccendere un fuoco insperato. Sì, una band novecentesca. Ora che nel nostro immaginario è tornata la guerra, la pace ha un sapore più profondo. 

Un collettivo nato nel 2018 da un nucleo di tre amici liceali, che si è poi trasformato in un vero e proprio caravan di discipline, interattive e interagenti, sul modello di una sorta di Comune delle Arti, una factory. Da 3 sono diventati 37. E ora si candidano a guidare la loro generazione con il talento, la visione, l’ambizione, l’entusiasmo e il fraseggio tecnico-tattico che ha i crismi di una delegazione che può attraversare la storia, con la provincia sempre nel cuore.

Marcello, come nel Novecento
Marcello, come nel Novecento

Certo, dovranno stare attenti, capire come gestire le relazioni. Ora sanno d’essere desiderati e amano farsi desiderare, ma sarebbe arrogante confidare in questa luce come fonte perenne. Non dirò nulla sulle maglie dell’Inter sul palco, i dileggi alla Juventus sui social, l’impianto un po’ sottodimensionato o il record dei 74 minuti di coda per una birra. Dettagli irrilevanti, se la fotografia complessiva è questa. Tutto è perdonato. 

C’è nei Tamango la follia alcolica del cocktail che li ha ispirati, il sogno di un bacio, il mal di pancia della rivoluzione, l’energia di una manifestazione, l’innocenza dei bambini, la grazia di una ballerina classica, la provincia come mito fondativo e salvifico, le chiappe al vento.La libertà e la vita. Che le stelle di Pino possano proteggerli sempre, e indicare loro la strada. Noi ci saremo. 

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L'articolo La libertà è una Rampallonata: siamo andati a vedere i Tamango allo Stadio (di Pino) di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2025-07-03 21:38:00

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