Lovely Boy: ora che la trap è morta, finalmente sappiamo raccontarla

Il film di Lettieri per Sky tratta l'ascesa, il declino e il rehab di un trap boy della scena romana interpretato da Andrea Carpenzano. Crudo, lisergico e privo di giudizio, riesce a far capire la musica volutamente senza contenuti e il vuoto di un'icona generazionale anche agli "adulti"

Andrea Carpenzano è Nic in Lovely Boy, foto di Glauco Canalis
Andrea Carpenzano è Nic in Lovely Boy, foto di Glauco Canalis

Francesco Lettieri per i più è "quello dei video di Liberato" e poi di Calcutta e del film Netflix Ultras del 2020, che però non ci fece impazzire (recensione qui). Facile partire con un minimo di pregiudizio nel vederlo affrontare l'ascesa e il declino di un ragazzo della trap nel film Lovely Boy, dal 4 ottobre su Sky. Tra l'altro pure con un po' di saccenza che ti fa dire "amico, non ti pare di essere un po' fuori tempo massimo? La trap, quella che descrivi te, è morta". Poi il film te lo guardi e ne esci bello scosso, come se avessi finalmente capito qualcosa che ti è sempre sfuggito di quel mondo che ti appartiene così poco

La storia è basic: Nic è un astro nascente della scena romana, con Borneo forma la XXG e sta per fare il salto. Nic però è praticamente insensibile a tutto perché si droga peso e fa un sacco di casini che lo portano diretto in una comunità delle Dolomiti in cui incontrerà persone che faticosamente tentano di uscire dalle sostanze. Detta così sembra poca cosa ma tutto quello che sta in mezzo è prezioso perché Nic, interpretato perfettamente da Andrea Carpenzano(Il campione), dentro ha il nulla della Storia Infinita, il vuoto cosmico. 

A un certo punto, per spiegare la sua musica a una persona importante incontrata in comunità, dice: "Non sono un rapper, quelli c'hanno i contenuti, noi non ce li abbiamo, lo facciamo apposta". Ecco, l'espressione della trap prima che diventasse emo, quella edonista che pensa a scopare, drogarsi e fare soldi è tutta lì.

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La Dark Polo Gang dei tempi di Side, La FSK, Traffik e Gallagher, tutti quei fenomeni che, visti da un quarantenne, possono risultare allucinanti si spiegano senza spiegone in quella frase. Gente che decide di fare musica con degli anti testi per destabilizzare, per fare il contrario dei cantautori e prendersi tutto il pubblico dei teenager dal vocabolario limitato o addirittura diverso da quello dei grandi. Ecco, se io dico "flexare" sembro scemo perché ho un'età, se lo dice un tredicenne è roba sua, precisa. Oggi, dopo il covid, un bel po' di trapper ha iniziato a parlare di come stanno davvero, nell'iperbole dell'emo e del "voglio morire anzi sono già morto", ma la fittizia XXGang del film di Lettieri è sempre quella del "sniffo coca mi faccio la tua troia".

Ma oltre i deliri delle droghe, anche di quelle a caso che Nic butta giù, pippa, fuma o si fa in vena, oltre il mondo della trap che per i soldi non guarda in faccia a nessuno (grande Riccardo De Filippis, lo Scrocchiazeppi di Romanzo Criminale che fa il rapper vecchio, il boomer rimasto al palo mentre gli altri hanno fatto i soldi, che ci prova sempre e ci mette il cuore), in Lovely Boy sono importanti i rapporti umani, e lì il film è diviso in due: l'ascesa e il declino del trap boy, che di quei rapporti non ne ha, nemmeno col collega Borneo (Enrico Borrello), nemmeno con la fidanzata Fabi (Ludovica Martino, grande prova la sua) che odia vederlo sempre fatto e che per lo allontanerà per salvarsi. 

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Poi c'è la parte della comunità di recupero, la più rilevante del film, fatta solo di rapporti umani tra persone che hanno condiviso la stessa esperienza di dipendenza, in cui lui entra da pischello che odia tutti e non parla con nessuno e esce che è un altro. Senza stare a spoilerare troppo, Lovely Boy è un film riuscito, in cui troviamo anche personaggi ben noti dalle nostre parti: Brizio di Bomba Dischi che fa se stesso, Ilaria Formisano aka Ilariuni, cantante dei Gomma e non solo, che nel film interpreta una nuova promessa musicale in un video allucinante. 

Ilaria ha anche scritto le canzoni della XXG insieme a Paco Martinelli, che ha realizzato la musica di tutto il film e che ha dichiarato: "È stato chiaro sin dall’inizio che la produzione musicale della XXG avrebbe dovuto rappresentare un oggetto musicale alternativo alle classiche convenzioni stilistiche trap pur mantenendo una certa cinematografica riconoscibilità all’ascolto. Parlando di un mondo, quello trap italiano, dove gli stilemi, le icone e le mode musicali si avvicendano ad un ritmo iper-veloce, dove un album uscito un mese fa è già antico, ho approcciato l’estetica sonora degli XXG un po’ come Nic approccia la sua disinvolta poliassunzione: una pericolosissima roulette russa di vibrazioni ed influenze. Un preciso mélange di accostamenti apparentemente anti-intuitivi. Per ogni 808 una chitarra 12 corde malinconica, per ogni sub roboante un erhu cinese. I pezzi, scritti con l’inestimabile Ilaria Formisano, credo riflettano questo preciso rigore lisergico che pervade le “hit storte” che portano Nic e Borneo alla ribalta".

foto di Glauco Canalis
foto di Glauco Canalis

La colonna sonora è molto importante e fa il suo lavoro correttamente, dai momenti lisergici a quelli struggenti o ansiogeni, riveste una parte importante nel film, quasi come fosse un personaggio chiave. La sceneggiatura, ridotta all'osso e mai troppo ridondante, riesce in un intento potenzialmente distruttivo, come spiegano Francesco Lettieri e Peppe Fiore che l'hanno scritta: "La storia di un trapper romano poco più che ventenne, la sua caduta nella spirale ipercinetica e tossica delle notti romane e il tentativo di riabilitazione nella stasi fuori dal tempo di un rehab in mezzo alle montagne: il tutto raccontato senza giudizio e in maniera quanto più possibile realistica. L’idea di Lovely Boy non era semplicemente difficile da scrivere, era letteralmente un campo minato di potenziali criticità. C’era innanzitutto la trap, un universo simbolico già di suo iperrappresentato e iper-consapevole, come chiunque frequenti le pagine IG dei trapper sa bene, e in costante evoluzione: non volevamo fare dell’arena il centro della narrazione, cannibalizzando quell’immaginario che generazionalmente non ci appartiene e rischiando di fare un film che dopo un anno sarebbe sembrato datato. Il centro doveva essere Nic e il suo percorso emotivo. O meglio, la sua autodistruttiva immobilità".

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E ancora: "Qui il punto era costruire tutto un racconto su un eroe puramente nichilista, che non vuole niente, che non crede in niente e le cui motivazioni - sia rispetto alla musica, sia alla droga - sono del tutto interiori e non elaborate. Nic non sa perché si droga e non sa perché fa musica, non ha obiettivi: precipita a peso morto. Difficile scrivere un personaggio che non ha niente di quello che di solito si usa per costruire un personaggio: ma era una sfida che valeva la pena intraprendere perché proprio nel nichilismo assoluto di Nic, secondo noi, stava la sua profonda, fosforescente contemporaneità (successivamente la scelta dell’attore, in questo senso, è stata cruciale). Ovviamente la mancanza di obiettivi e di motivazioni ci privava anche della catarsi. Tanto quanto volevamo evitare l’approccio "sociologico” (cioè allacciare le ferite di Nic a dei dati di contesto, familiari o ambientali) altrettanto volevamo evitare di essere assolutori. “Salvare” Nic sul finale avrebbe reso immediatamente inautentico lui e moralistico il film: perché, banalmente, nella vita reale non funziona così, e chi sta in situazioni come quella di Nic difficilmente si è salvato perché ha fatto sei mesi di rehab. Chi ci riesce, e non sono tanti, lo fa con un percorso che dura negli anni. Allo stesso tempo, volevamo restituire allo spettatore se non un senso di speranza, un orizzonte di possibilità, e questo ci è stato possibile muovendo intorno a Nic i due comprimari - Daniele e Fabi. Gli unici, ciascuno a modo suo, in grado di salvargli la vita. Anche a costo della propria".

foto di Glauco Canalis
foto di Glauco Canalis

Andrea Carpenzano è il film, insieme ai lenti zoom di Lettieri e alle inquadrature da lontano, quasi fossero rubate alla realtà: quella faccia lì, quegli occhi persi nel niente sono più importanti dei tatuaggi in faccia, dei capelli rosa o dei vestiti stravaganti. Dentro quell'abisso c'è tutto il film e ci sono le prime parole del vocabolario di chi prova a esprimere le proprie emozioni e non l'ha mai fatto prima. Un Christiane F. che, a differenza dei primi anni '80, nel suo tempo non sa perché fa le cose e ne è consapevole. Meno iconico ma totalmente in linea con le icone di questi anni, gente che sembra capitata lì per caso, che nasconde cervello e cuore per non sentire dolore.

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L'articolo Lovely Boy: ora che la trap è morta, finalmente sappiamo raccontarla di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-10-05 10:18:00

Tag: film

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