Live Report: The Bloody Beetroots ai Magazzini Generali - Milano

Signore e signori, the Great Bloody Beetroots' swindle: "Death Crew 1977"! Dopo migliaia di djset in giro per il mondo, milioni di visualizzazioni e ascolti su internet, il primo disco ufficiale ("Romborama"), ecco il live-set. Bob Rifo e soci lo hanno lanciato con un mini-tour italiano e ora sono pronti per conquistare Europa, America e Australia. Un set tiratissimo per un pubblico in delirio, i Bloody Beetroots sono ormai un fatto generazionale. Carlo Pastore era ai Magazzini Generali di Milano, ora racconta la rapa e la fava.



Il cielo vomita pioggia, i balconi dei Magazzini Generali vomitano gente e c'è qualche ragazzo che vomita ubriaco di vodka in bagno. In uno degli ultimi locali vecchiascuola di Milano c'è l'ormone teen che spinge i suoi aculei a palla e l'umidità della giornata uggiosa che si appiccica alle pareti: la miscela è potente come la rabbia mischiata all'entusiasmo. Tutto, se ci pensate, parte proprio dal cesso sui cui siede Bob Cornelius Rifo, immortalato nella copertina di "Romborama", il primo, lungo disco dei Bloody Beetroots. Una cagata ispirata dalla lettura dei quotidiani, quanto mai perfetti come fonte di indifferenza, stimolo e puzzolente rassegnazione. Dal letame nascono i fior? Da quel cesso, Bob Cornelius Rifo non ha lasciato nessun dettaglio al caso, al massimo al caos. Anche quello, però, è tutto studiato nei minimi particolari. Il colore dell'enorme telo con la gigantesca scritta "Bloody Beetroots Death Crew" è nero. Le maschere da Venom, quelle ci sono ancora, nere pure quelle. I jeans e i DocMartins, neri anch'essi. I cappelli da capo' nazisti, ovviamente neri. Phonz, puntuale, dice nero. Il nero snellisce, il nero affila. L'immaginario dei Bloody Beetroots è una catarsi del secolo corto: dai Daft Punk ai Justice, dagli skinhead al National Party, passando per il punk inglese anno 1977 e Vivienne Westwood. Un effetto domino in cui la parola "Destroy" viene cantata con la stessa rabbia con cui Johnny Rotten crepitava l'ugola sul finale di "Anarchy in the UK" (anno, non a caso, 1977). Guardate il cortometraggio che introduce al mondo la "Death Crew 1977" qui sotto, capirete perchè continui a pensare che in questa grande truffa dell'electro, Rifo non sia il Rotten ma il Malcom McLaren della situazione. Lo stratega. Quello che non si vede mai in faccia.



(Domino, regia di Bennet Pimpinella)

Le parole chiave del progetto live dei Bloody Beetroots sono: "Revise History, Destroy Naziism, Support Musical Anarchy, Create… content". Revisionismo inteso come possibilità post-contemporanea di recuperare simboli estetici dal passato per inserirli in un contesto contro ogni forma di potere nel nome dell'anarchia musicale. Rifo ha ben chiaro il suo ruolo e lo scrive nel suo manifesto: "Ogni giorno un artista si alza e sa che deve correre". La vecchia storia del leone e della gazzella. "Ma la cosa che forse non sa è che non deve correre da solo". Una chiamata alle armi, insomma, di cui Sir Bob è necessariamente comandante unico. La teoria è pistoliana: nel caos ci si muove meglio.



Quando si spengono le luci dei Magazzini Generali un fumo da ciminiera avvolge in una nebbia perenne il palco su cui sono puntate tre pedane. Da sinistra a destra ci sono Tommy Tea, Bob Rifo in centro e poi il batterista Edward Grinch. Il live è serratissimo, una sequenza unica su cui batteria, chitarra, synth, piano si alternano in un groviglio electro-rock perfetto. Chi firma i suoni è Livio Magnini, già chitarrista dei Bluvertigo. La ranza si alterna alle distorsioni, le aperture melodiche danno aria a quel cumulo nero di magma che respira, pulsa, si spinge, poga e sputa: il pubblico lì sotto. L'esercito è sudato, con le braccia perennemente tese in aria. Canta quello che c'è da cantare, c'è spazio per "I Love The Bloody Beetroots", tutte le forme di "Warp", l'hardcore grezzo di Rifoki che si infila tra le righe. Un'ora di set intenso, compatto, tiratissimo. Una produzione all'americana, con un set up dei suoni eccellente, una cura certosina degli arrangiamenti, un team di lavoro professionale. Praticamente un carroarmato.



(Cornelius)

Io rimango inchiodato al piano superiore, di fianco a 6 diciottenni che hanno prenotato un tavolo (!) e si sono fatti portare una bottiglia di spumante. Due di loro litigano a muso duro in piena esaltazione dei sensi, bagnati come il ventre umido di questa serata incredibile, al che uno zio dai capelli lunghi e dal doppio dei loro anni li rimette al loro posto con la voce ferma e decisa. Entrambi reciprocamente si sentono giovani, ma c'è qualcuno dei due che ha necessariamente torto (e non sto necessariamente parlando dello zio). Poco oltre la manager francese dei Justice, qui in gita turistica, si commuove di fronte ad una creatura che ha visto crescere, deformarsi, ingigantirsi fino a diventare un fatto mondiale che nobiliterà l'Italia in tutto il mondo senza che quest'ultima in fondo se lo meriti davvero. Appoggiata alla balaustra in plexiglass balla invece una ragazza che ha perso da poco la verginità e vorrebbe approfondire il discorso delle malattie veneree. Lo si legge dagli occhi e da come si fa strusciare da un ragazzo in camicia bianca che balla agitando le ginocchia aperte geometricamente a forma di papero, come facevano i truzzi qualche anno fa. Il cazzo duro, la rabbia e l'entusiasmo. Si mormora di persone che, nella bolgia del pogo, si siano guardate reciprocamente negli occhi per dirsi: "facciamo la piramide come al Number!" (cercate su YouTube se non sapete cos'è). E' lì, quando rivedo il taglio trasversale del pubblico che capisco quanto Bob Rifo l'abbia fatta grossa. Quanto il caos sia solo il polverone di fumo che ha generato attorno alla sua musica, per rimanere defilato a tessere la sua trama, che passa per l'ordito di dieci dita al pianoforte. Che mentre tutti rimuginano su una maschera sudata, c'è una musica che spinge attorno ai 130 bpm e che mette in moto, a diversi livelli, chi prende sulla sua strada. Una cazzo di truffa fatta come si deve. Che da una cittadina bella e tranquilla come Bassano Del Grappa punta una superproduzione di 10 persone dritto al cuore del mercato malato del mondo, l'unico posto laddove – in musica – ancora si macina il grano come si deve: gli States. Vai Bob: siamo pronti per la reclame del bloody butter, fottili tutti!



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L'articolo Live Report: The Bloody Beetroots ai Magazzini Generali - Milano di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2010-02-25 00:00:00

COMMENTI (5)

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  • maya 14 anni fa Rispondi

    "two steps" in #loop
    big up for TheBB
    yeah go!

  • mariopanzeri 14 anni fa Rispondi

    1, 2... Whoop! Whoop!

  • damarama 14 anni fa Rispondi

    Con loro gli zarri di tutti i colori e popoli sono usciti allo scoperto! Unz unz...Tanz, tanz, cibbau / cibbau

  • antipankki 14 anni fa Rispondi

    perchè tante storie?
    la rivoluzione dell'hardcore incinta del punk?
    spero vi divertiate, ma non prendetevi sul serio

  • nicko 14 anni fa Rispondi

    "facciamo la piramide come al Number!"
    l'orrore, l'orrore...
    :=