Max Casacci fa suonare le biciclette (come Frank Zappa)

Dopo aver messo in musica fiumi, pietre e ghiacciai, il chitarrista dei Subsonica ha pubblicato "La mia bici acustica". In cui le frenate e le accelerazioni del campione di MB Marco Aurelio Fontana diventano una sinfonia jazz

Max Casacci - foto di Chiara Mirelli
Max Casacci - foto di Chiara Mirelli

Nel 1963, un giovane ventiduenne si presente allo Steve Allen Show per suonare una sua composizione. Lo strumento su cui il ragazzo si esibisce non è però un canonico strumento musicale, ma si tratta di una bicicletta. Il nome del ragazzo è Frank Zappa, qua ancora senza il folto baffo che sarebbe diventato iconico. Qualche giorno fa si è lanciato in un progetto (relativamente) simile Max Casacci, fondatore dei Subsonica e produttore: in collaborazione con Red Bull e con il ciclista Marco Aurelio Fontana - campione di mountain bike e bronzo a Londra 2012 –, Max ha pubblicato il brano La mia bici acustica, realizzato interamente con i rumori prodotti dalla bicicletta dell'atleta.

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Non è la prima volta che Max si trova a realizzare lavori musicali così sui generis: un esperimento simile l’aveva fatto mettendo in musica la vettura di Formula 1 della Toro Rosso. A questo si aggiungono tutta una serie di composizioni create con i suoni della natura, come Watermemories, fatta solo con il suono dell’acqua di Biella che scorre, o come Ocean Breath, che suonerà il 22 ottobre in occasione dell’evento organizzato dalla onlus WorldRise Verso la Generazione Oceano. Abbiamo contattato Max per farci raccontare questi suoi ultimi lavori e per capire cosa significhi fare musica senza strumenti musicali.

Da dov’è nata l’idea per La mia bici acustica?

Marco Aurelio voleva realizzare un filmato e ha coinvolto Red Bull, con cui avevo già lavorato per mettere in musica la Toro Rosso, quindi loro hanno chiamato me per provare a far suonare una bicicletta. Ho raggiunto Marco Aurelio nell’entroterra di Finale Ligure, a mille metri di altitudine, e una volta registrati i suoni nella fucina del suo meccanico ho cercato di capire in quale mondo stessi entrando e quale realtà musicale potesse rappresentarlo. Lui mi ha indicato il jazz come punto di riferimento, al che a me sono venuti i sudori freddi perché di mio non ci avrei mai pensato di andare in quella direzione. A quel punto è diventata una sfida che ho accettato volentieri.

Rispetto al mettere in musica un’auto da corsa, cosa c’è stato di diverso?

Con la Formula 1 è stato più un salto nel buio. Avevamo tre giorni di tempo per realizzare il brano, il quarto sarebbe stato suonato alla presentazione della vettura a Barcellona nel momento del suo scoperchiamento da parte dei piloti. Fortunatamente in quell’occasione ero con Daniele Mana, ci siamo trovati a prendere i suoni nello stabilimento della ex Minardi in un’atmosfera che definire febbrile è un eufemismo: i meccanici erano impegnati all’inverosimile per questa scadenza. Ho anche scoperto che la Formula 1 è qualcosa di simile a un lancio spaziale della Nasa, con tutta questa tecnologia incredibile a disposizione. Gli operai in attività però non è che fossero così ben disposti nei confronti di due scemi con i microfoni in mano (ride, ndr). Le condizioni ambientali quindi non erano delle migliori, il tempo era poco, è stata quasi un’impresa. Il brano era una sorta di trap tecno-futurista in un momento in cui la trap non era ancora esplosa in Italia. La differenza innanzitutto è che questa volta c’era più tempo di lavorare e sperimentare, poi devo dire che con Marco Aurelio, che non conoscevo, mi sono trovato bene sin da subito, lui mi ha lasciato libertà totale, è stato sempre molto incoraggiante.

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Perché hai iniziato a fare musica con i rumori e non con gli strumenti?

Non suono la chitarra quotidianamente, però questo succedeva anche prima, lavorando come produttore mi trovo più spesso magari a scrivere, a comporre, a manipolare suoni già registrati, per me non è traumatico staccarmi da uno strumento. Quello di cui vado alla ricerca credo che sia più la voglia di disorientare e rimanere disorientati nei confronti della natura. Quando ti trovi a registrare dei rumori esterni sei costretto a stare un passo indietro, non sei tu che governi la musica. Quando metti le mani su una chitarra o su un piano, hai sempre il rischio di riprodurre qualcosa che hai già sentito, anche inconsciamente, qua invece ti trovi a catturare dei suoni e devi capire dove ti stanno portando. È un modo per fare i conti con te stesso, poi magari dopo un po’ sei tu che prendi le redini del brano e o lo segui o gli dai la tua impronta narrativa, ma all’inizio sei sempre tu che devi esplorare. Brano dopo brano, stai facendo un’esperienza, esci dalla comfort zone, quindi vai avanti navigando a vista.

Che differenza c'è rispetto alla musica che facevi prima?

In realtà c’è un approccio simile un po’ in tutto le cose che ho fatto. Prendi un qualcosa di strano e contaminato come il reggae degli Africa Unite: dal momento che ci sono entrato abbiamo iniziato a cantare in italiano e a far emergere la nostra provenienza, questa cosa ci ha fatto arrivare in Giamaica e di avere una nostra legittimità. Anche con i Subsonica il tipo di rielaborazione pop che abbiamo fatto non esisteva, quindi questi percorsi mi appassionano sia che si parli di musica tradizionali che di suoni presi dalla natura.

Con i Subsonica vi siete esibiti recentemente a Heroes, un format mai visto prima. Qual era la prospettiva dal palco?

Quello è stato un qualcosa di surreale. In genere, in un concerto con tanti musicisti è bello seguirli dall’inizio alla fine, stare dietro e guardare quello che fanno gli altri, abbracciarsi, ballare e cose simili. Nullo di tutto ciò era possibile, gli artisti venivano convocati in prossimità del loro slot in un’atmosfera stranissima, amplificata ancora di più dal trovarsi nell’arena di Verona. Nonostante questo, il motivo per cui eravamo lì è molto chiaro, siamo andati per sostenere il fondo dei lavoratori dello spettacolo.

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Pensi che i concerti in questa maniera possano prendere piede?

Non penso che quel tipo di concerto possa minimamente sostituire l’idea di live che avevamo prima, almeno per quanto riguarda i Subsonica. Magari per musica che si può ascoltare seduti in un teatro potrebbe anche funzionare, ma credo piuttosto che sia un esperimento interessante nella misura in cui si potrebbe pensare di integrare un tour tradizionale con qualche testimonianza di qualche data particolare che non sia accessibile a tutti e che abbia al suo interno delle ospitate o cose simili. Mi vengono in mente certe date all’estero, per dire: i concerti dei Subsonica a Londra sono sempre molto caldi, sarebbe bello coinvolgere il pubblico che non può fisicamente spostarsi là. Però sarebbe comunque un supporto, non una sostituzione.

In programma hai anche una collaborazione con Slow Food per realizzare un brano sull’Ecosistema delle Terre Alte. Di cosa si tratta?

Carlin Petrini (fondatore di Slow Food, ndr) si è molto appassionato ad alcuni dei miei brani con i suoni della natura, lui quando parte è irrefrenabile, quindi siamo arrivati a questa idea di fare una composizione con registrazioni effettuate da coltivatori coinvolti nella rete di Terra Madre, appena riceverò tutto il materiale cercherò di capire dove mi portano.. Non so ancora bene cosa aspettarmi come testimonianze sonore perché il grosso devo ancora riceverlo, la cosa che mi piace è che è un progetto per certi versi globale, i suoni arrivano da tutto il mondo.

Com’è stato passare da una dimensione urbana, come può essere per la musica dei Subsonica, a un mondo di suoni naturali?

Il passaggio è successo per caso, quando ho incontrato le pietre di Gozo, un’isola vicino a Malta. Ero in vacanza là e mi sono trovato a sentir parlare di queste pietre sonore, con me c’era Luca Saini, che è un visual artist che si occupa anche di musicoterapia. Ci siamo trovati così per gioco a metterci mano, la cosa incredibile è stato scoprire che, una volta assemblate, queste pietre avevano dei rapporti armonici tra di loro. È stato come se la terra mi avesse messo a disposizione un’orchestra preistorica. Quello è stato il primo contatto con la terra, poi è arrivato Michelangelo Pistoletto, che ha visto che si poteva fare qualcosa di simile con l’acqua di Biella ed è nata Watermemories.

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Ocean Breath segue questo percorso. Quando hai iniziato a lavorarci?

Durante la quarantena ha preso forma questa sorta di sinfonia della terra, i brani iniziano a essere tanti e devo capire cosa farne. Questo è arrivato quando mi si era bloccata la vena creativa relativa alla realtà urbana. Ho quindi iniziato a guardare verso la natura, una natura che tra l’altro si stava riprendendo i propri spazi, ho sentito un legame con questa cosa per la situazione di isolamento ed è stata una suggestione molto forte.

Il 22 ottobre invece lo suonerai allo Spazio No’hma di Milano. Cosa racconta questo brano?

Durante il lockdown ho iniziato a lavorare sistematicamente su molti brani, coinvolgendo anche alcune figure legate all’ambientalismo, come Stefano Mancuso e Mario Tozzi. Tra queste c’è Mariasole Bianco, che oltre a essere una giornalista è una biologa marina e con la sua onlus WorldRise combatte il problema delle plastiche negli oceani. Con lei si è pensato di realizzare un brano che puntasse l’attenzione su questo problema qua, prendendo come registrazioni dei suoni stupendi di cui nessuno sa niente. Per esempio, ci sono dei pesci che cantano, non sono solo cetacei, fanno come dei cori e sono la colonna sonora di questa composizione. L’ultimo movimento di Ocean Breath è scandito dalla rottura dei ghiacciai; non vuole essere una visione catastrofista, quanto più un campanello d’allarme.

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È un brano che tocca un tema molto attuale. Cosa pensi del modo in cui i giovani stanno affrontando la questione ambientale?

Queste forme di nuovo attivismo mi hanno dato molta fiducia, noi come gruppo abbiamo anche supportato i ragazzi di Fridays for Future. Questa relazione con loro continua e mi ha fatto anche sentire l’opportunità storica di poter realizzare un lavoro di questo genere, mi sembra che questa idea della comunità che si unisce e collabora la si possa ritrovare su altri temi, con diverse energie che lavorano in sincrono. Per questo anche con WorldRise, Extinction Rebellion e altri trovo una collocazione temporale perfetta.

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L'articolo Max Casacci fa suonare le biciclette (come Frank Zappa) di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-09-17 16:16:00

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