"Meet Me In The Bathroom", solo che a Milano

Il nostro racconto del documentario che celebra il triennio musicale 1999-2002 e l'apoteosi di una New York indie rock resa grande da Strokes, LCD Soundsystem e Interpol. Ecco com'è guardarlo dall'altra parte dell'Atlantico, sognandone una versione italiana con Verdena e Giardini di Mirò

Gli Strokes in uno still del documentario
Gli Strokes in uno still del documentario
07/03/2023 - 14:50 Scritto da giorgiomoltisanti

Tra le belle notizie di questo inizio 2023, dopo la reunion dei P.I.L. e lo scioglimento dei Panic! At The Disco, c'è il buon documentario Meet Me In The Bathroom di Dylan Southern e Will Lovelace, ispirato dall'omonimo libro di Lizzy Goodman. Un'uscita di sicuro interesse, che non vi fa saltar in piedi solo perché il monolitico tomo della giornalista americana non è mai stato tradotto in italiano. Ma chi ha avuto la fortuna di averlo tra le mani o magari ne ha sentito parlare attraverso qualche riga spesa dai soliti giornali “avanti” sa bene come reagire: con viva gioia, data dal balzo avanti di trenta-quaranta anni rispetto ai soliti concept documentaristici di cui Punk Rock Vegan Movie di Moby è l'esempio recente più lampante.

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Meet Me In The Bathroom analizza quel triennio, dal 1999 al 2002, che nel volume cartaceo occupa un capitolo importante, ma comunque un solo capitolo della rinascita di New York nell'immaginario rock mondiale. Un triennio di meraviglie: nascono gli Strokes, i Tv On The Radio, i Moldy Peaches, i Calla; vanno di “moda” i !!!, i Liars, gli Yeah Yeah Yeahs e termina con un album come Turn On The Bright Lights degli Interpol e la nascita di gruppi come i Battles, i Grizzly Bear e gli LCD Soundsystem, che dovrebbe dare idea di quanto il fenomeno fosse enorme. Un triennio forse un po' fintamente spurgato – al cinema – da droga, alcol, soldi, industria discografica, gelosie, rivalità e tutto il resto (cfr. Dig! di Ondi Timoner, del 2004), come ogni storia musicale che si rispetti. Ma forse quello arrivò sul serio dopo, o forse si è scelto di vivere e quindi raccontare senza bisogno di sangue e polemiche, che è comunque una scelta narrativa, o una delle.

Gli anni '90 avevano lasciato New York – e tutta l'America – stremata. Se avete visto uno dei ventisei documentari su Woodstock '99 usciti per HBO, Netflix e Radio Maria vi sarete fatti un'idea, pure se eravate troppo piccoli all'epoca. Anni di merda, tolleranza zero, Rudolph Giuliani, la gentrificazione, a New York come a San Francisco, MTV punta tutto su TRL e TRL che punta tutto su Britney Spears e Backstreet Boys, ospiti fissi a Times Square. Con la diretta conseguenza di un machismo musicale portato all'esasperazione: tra nu metal, metalcore, bori alla Fred Durst con pantaloni sotto il sedere e cappellino al contrario per sentirsi dieci anni più pirla e Jonathan Davis che comprava il maggiolino di Ted Bundy (il serial killer...) e cantava “'Cause I will always be that pimp that I see in all of my fantasies” come fossero due cose di cui vantarsi. Con buona pace del grunge e dell'introspezione.

Nel periodo successivo, appunto gli anni presi in considerazione nel film presentato a Torino e – si spera – di imminente distribuzione, per un soffio rischiarono di essere anni di “riflusso” come parte degli anni '80, ai quali si ispiravano in certa misura, per via della leggerezza e vacuità che li aveva contraddistinti. Gruppi simpatici ma innocui, così intenti a prendersi seriamente senza un motivo che facevano ridere già allora. Ma dopo l'11 settembre, il Millennium Bug, la strage alla Columbine e quanto detto sopra, un manipolo di musicisti capisce e decide che non c'è un cazzo da alleggerire: prende quel sound e lo coniuga all’estetica del garage rock anni ’60, lo mischia al post-punk di fine ’70 e là si ferma, con qualche accenno wave. Si infila un completo skinny, si annoda una cravattina sottile, si scompiglia i capelli lasciati crescere senza un particolare criterio e capisce che è arrivato il momento di riportare il rock alla sua essenza più autentica. Senza pose, se non per gioco e vezzo.

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Gli anni ’80 erano stati i primi nella storia a essere influenzate da altre decadi. Fino agli anni ’70 si era andati dritti e guardato davanti. Poi sono iniziati i ritorni: dagli anni '30 in poi. Questo invece è stato l'ultimo e più interessante dei revival musicali della storia, tant'è che molti tra i miei coetanei dopo hanno semplicemente smesso di sentire nuova musica, perché non riuscivano più a considerarla nuova. E del resto se ha un senso rivisitare anni importanti come questi, viene da chiedersi se ne abbia farlo, socialmente, artisticamente e culturalmente, dopo che il giro di boa è stato già fatto, prima negli anni '80 e poi questa volta con più consapevolezza. Se poi per qualcuno che si era concentrato sul nascente post-hardcore di Isis e Thursday, già questa era di troppo e per altri – come mi è capitato di leggere in giro – “Not all musicians are really precious little flowers like what's on display here”, capite da soli quanto le due orette di Meet Me In The Bathroom si giochino sul ciglio di un burrone, in un equilibrio fragilissimo tra soggettivo e oggettivo dove il fattore emotivo gioca un ruolo enorme.

Quindi Meet Me In The Bathroom non la racconta tutta giusta, ma in gran parte sì. E quando sento che è un'inutile mitizzazione – in genere da chi va in giro a sprecare ossigeno, sempre con quell’aria di chi ha già visto tutto – mi viene facile ricordare che all’epoca ero felice e contento e non sono tanti i momenti in cui mi ricordo felice e contento, specie di recente. Ricordo la copertina del NME con Julian Casablancas intento a fare i grattini sulla nuca a Jack White, la prima volta che ho sentito “I got a date with the night!” e mi sono immediatamente innamorato di Karen 'O, il tentativo sbagliato di capelli alla Carlos D., quel gran figo di Tim Harrington, Kathleen Hanna con Le Tigre, tutto l'orgoglio nella copia consunta di Melody Of Certain Damaged Lemons dei Blonde Redhead, newyorkesi a loro modo anche loro. Tutta roba di cui il mondo avrebbe ancora bisogno e purtroppo non ce n'è. E sarebbe bella anche una versione di quegli anni in Italia che tra Zu, Verdena e Giardini di Mirò li ricordo belli in egual misura. Ma forse è chiedere troppo.

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L'articolo "Meet Me In The Bathroom", solo che a Milano di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2023-03-07 14:50:00

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