Una Messa estrema

Il loro terzo disco , "Close", conferma l'attitudine metal della band padovana, ma la fonde con il jazz, la world music e l'amore per il Mediterraneo, i suoi popoli e i suoi riti. Per suscitare reazioni ed emozioni, e combattere i cliché

I Messa al completo
I Messa al completo

Ci avete fatto caso? Tutti sono sempre pronti a chiederti “Tu cosa ascolti?", ma nessuno che ti chieda “Tu che film guardi?” o “Tu che libri leggi?” o “Tu che pittori prediligi?”. C'è un ulteriore step in questa che, se vogliamo, suona come la più grande un'ingiustizia cultural-colloquiale di sempre: alla prima domanda ci si aspetta e a volte si pretende una risposta precisa e anche dettagliata, a tutte le altre invece nessuno credo si aspetterebbe qualcosa tipo “Solo registi coreani!” o “Tutto Pasolini!” o “Gli iperrealisti dai Sessanta ai primi anni Zero!”. Ecco, il succo del terzo disco dei padovani Messa sta nella contraddizione palesata da questa domanda.

Close (2022, Svat Records) mostra la fusione in forma e sostanza di modi parecchio diversi di suscitare una reazione emotiva. Uno dei collettivi italiani più interessanti e cinematici da anni a questa parte canalizza del metal più scuro (doom, se preferite le etichette) attraverso i modi del jazz, della world music, dell'ambient, della psichedelia e dell'elettronica in odor di trip-hop: non è un caso che la creatura di Marco Zanin e Sara Bianchin abbia esordito per la (leggermente coatta) Aural Music per finire, due dischi e sei anni dopo, sulla finnica Svart Records, etichetta che vanta nel suo roster tanto Steve Von Till quanto The Gathering, Killing Joke e la ristampa del culto totale Into Darkness dei newyorchesi Winter.

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Come nelle simili e più note esperienze di Kilimanjaro Darkjazz Ensamble o Bohren And The Club Of Gore, si può dire che vale tutto, ma forse anche di più, in seno a una "mediterraneità" che i Messa hanno e gli altri evidentemente no. Non a caso il primo singolo estratto di Close è Pilgrim, per cui è stato realizzato un video ipnotico e rituale diretto da Laura Sans, di cui i diretti interessati sottolineano l'importanza per i Messa.

“È stata una delle prime canzoni che abbiamo composto", ci dicono, "e pensiamo che rappresenti bene le vibrazioni mediorientali e mediterranee che abbiamo cercato di trasmettere in tutto il disco”. Bingo! Perché ancora più che nei dischi precedenti, in Close non troverete un riff di chitarra in forma consueta, per esempio, messo là per fomentare le masse in due minuti e cinquanta secondi e tutti a casa, c'è lo spirito dei Black Sabbath che si incontra con passaggi dal sapore etnico e avanguardismi jazz, e anche se in brani come Dark Horse o Rubledo il drumming in blast beats può rimandare addirittura al vecchio caro grindcore, l'intera struttura così macchiata d'altro, sempre con gusto e personalità, che eleva entrambe a qualcosa di più aulico che all'ennesima tiritera heavy metal.

Dal nucleo a due teste basso/voce fondato nel 2014 a Cittadella, oggi si riconferma la line-up classica a quattro con Alberto Piccolo (Little Albert, autore dell'interessante Swamp King nel 2020) alla chitarra e Rocco Toaldo alla batteria ma, parafrasando la storica recensione di Nevermind sulle pagine de La Repubblica, sono in quattro ma la loro musica li fa sembrare dieci. Come nei maestri dei rispettivi generi, che si parli di Neurosis, Deafheaven, Swans o Dead Can Dance poco importa, un ampliamento della gamma cromatica è palese, con buona pace di chi era convinto di incasellare i Messa in un'unica scatola a occhi chiusi: il metal.

“Non siamo un gruppo semplice da etichettare", mi dice Sara, "ma ci va benissimo così. Di una cosa siamo sicuri: Close ha richiesto una quantità di tempo maggiore per essere scritto, arrangiato e registrato”. Così nonostante abbiano un orgoglioso background metallico (“Transilvanian Hunger dei Darkthrone o Heartwork dei Carcass saranno per sempre in cima ai nostri ascolti!”, scherziamo), nel loro combinare musica estremamente pesante e oscura con la calma apparente e ricercata del jazz, del blues o della world hanno aperto una finestra di attenzione notevole nei confronti del pubblico metal e soprattutto post-metal, dimostrando come la sostanza, per molti ascoltatori di aperte vedute, sia ancora molti passi avanti rispetto alla forma. “La musica estrema è affascinante", mi conferma Rocco "e si porta dietro anche un immaginario molto forte. Ma i nostri ascolti non sono in base al genere, piuttosto a quanto ci smuovono dentro”.

Sicuramente è una scelta più artistica che logistica e/o di comodità, in cui una delle idee principali risulta essere lo sfasamento incessante dal piano acustico a quello elettrico, con relativo utilizzo di una strumentazione varia e atipica (dulcimer, fiati, mandolino, duduk armeno, liuti mediorientali, aerofoni..), parallela a quella tradizionale di un gruppo rock,  per tutta la durata di Close. Immagino quindi abbiano preso un van più grande.

Portare le vibrazioni di Close dal vivo è una bella sfida", mi schiarisce le idee Marco. "Abbiamo quindi pensato a ben due set diversi, uno dei due più rock e diretto. Per fortuna però possiamo avvalerci dell’aiuto di altri musicisti fidati che ci aiuteranno per le occasioni speciali, come il Roadburn di quest’anno. Comunque la partita a tetris che ci aspetta quando caricheremo il furgone sarà  motivo di divertimento”.

E quando chiedo se ci saranno cover per alleggerire un discorso così denso, Alberto realisticamente risponde: “Abbiamo registrato un brano di Robert Johnson nel 2016 (si riferisce a Hellhound On My Trail per Slimer Records), anche se non è proprio una cover. Attualmente le posizioni sull'argomento sono differenti, alcuni sono a favore altri contro. Se dovessimo mai farne una, probabilmente vorremmo suonare una canzone che la gente non si aspetta da noi”.

A partire dall'artwork di Close, che ritrae una danza rituale, chiamata Nakh, eseguita dalle giovani donne nelle terre di confine tra Algeria e Tunisia, l'interesse dei Messa per l'aspetto visivo a ulteriore rimarcare dell’importanza degli elementi etico-culturali nel processo creativo gioca un ruolo fondamentale; la durata media dei brani poi è, di nuovo, cinematica, anche se magari non nel senso che i più potrebbero intendere: viene quindi da chiedersi se uscirà qualcosa prima o poi di “visuale” da affiancare magari anche alle esibizioni dal vivo.

La cover di 'Close'
La cover di 'Close'

 

“A onor del vero ci stiamo pensando proprio negli ultimi giorni", conclude Sara. "Non facciamo mai cose a caso, quindi se investiremo energie in un progetto visuale lo faremo con molta cura. Ergo richiederebbe molto tempo! Possiamo dire però che siamo molto soddisfatti dell’output visivo che abbiamo avuto finora con i videoclip”. Non ci resta allora che aspettare e incrociare le dita.

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L'articolo Una Messa estrema di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-03-25 10:53:00

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