Tre giorni #confusiefelici

Carlo Pastore racconta il MI AMI visto da dentro, dalla parte di chi l'ha organizzato e realizzato e della gioia nel vedere 20 000 persone sotto i palchi

31/05/2017 - 15:43 Scritto da Carlo Pastore

Non è facile avere la voglia e al contempo prendersi la responsabilità di scrivere qualche riga sul MI AMI, una volta che il MI AMI è finito. Si tratta di una manifestazione totalizzante, intensissima, una sorta di droga irrinunciabile che mi ruba il sangue e lo fa girare ad un altra velocità. Una volta che dunque la missione è compiuta, l'unico pensiero è non avere pensieri: chiudere le pratiche, risolvere le ultime beghe, ringraziare di cuore tutti coloro che hanno contribuito a trasformare tre giorni in qualcosa di speciale, sgombrare la testa di tutto e poi subito pensare al prossimo. Che era bellissimo l'abbiamo visto/sentito/vissuto tutti noi che c'eravamo, o no? Scrivere di cosa?

Credo che sia uguale anche per Fiz, il mio socio in materia, il quale infatti è da 13 anni, cioè da quando è iniziato il festival, che mi chiede di scrivere un editoriale post-festival - in altre parole, non avendone voglia, lo fa fare a me. L'unica volta che mi ha chiesto di farlo prima del festival, l'anno scorso, in un impeto di redistribuzione karmica, non gli è piaciuto. È geloso di alcune cose, e fa bene: gli editoriali non sono cosa per me, lui invece è bravo a farle e dovrebbe farle sempre. Ha una selvaggia capacità di squintarsi rispetto al presente, parlando il linguaggio delle visioni piuttosto che quello del quotidiano. Ha la determinazione e la costanza di ripetere quello che scrive da tredici anni a questa parte: i concetti fondamentali, quello in cui crede veramente. Parole come “fuoco” e “fiore” - che sono poi quelle che ci hanno guidato fino a qua, rappresentano la voglia ardente di compiere un progetto contro tutto e tutti, per noi e per tutti, la voglia di farlo come il più gentile dei gesti, quello che in fondo poi risulta il più rivoluzionario. Ha ragione la magnifica esoterica e luminosa Claudia Selmi: Stefano segue sempre i sogni.

Io invece no, sogno raramente. Amo seguire l'istinto, perché del mio istinto mi fido più di qualsiasi altra cosa. È quello che mi ha fatto arrivare qua. Cerco l'energia nelle cose che mi stanno attorno, sono pronto a morire per l'energia altrui, mi sento vivo a esserne partecipe, a contribuirne, a diventarne parte. E credo nella programmazione, nella progettualità, nella solidità delle basi, nella forza primitiva della voglia ma in quella sociale del miglioramento. Non ho mai visto nessun progetto veramente ambizioso compiersi senza una ragionata capacità di analisi.

Qualche numero

Partiamo da questo fatto: l'edizione 2017 del MI AMI è stata storica, imponente, epica. Sicuramente per investimenti sulle strutture produttive (+33% rispetto al 2016: palchi più grandi, impianti audio potenziati, implementazioni tecniche, sforzi migliorativi su accomodation, food, sicurezza, visual, eccetera) ma soprattutto per investimenti sul cast artistico (+40% rispetto al 2016). Tutto questo a fronte di modico aumento del prezzo giornaliero, che da 20€ è passato a 23€, in un mondo –quello della live industry– dove i biglietti costano sempre più cari. Non farò nomi, ma vi consiglio di guardare quanto costa il biglietto di un headliner del MI AMI per capire quale sia stato il nostro sforzo. Il valore ha un prezzo. MI AMI ha ormai il ruolo di catalizzatore delle speranze del futuro della musica italiana, ogni anno cerchiamo di potenziarne un pezzetto, senza fare strappi, seguendo la linea della crescita organica. Potevamo fare meglio? Certo. Cose da migliorare ce ne sono moltissime, e sono quelle di cui probabilmente vi lamentate. Le conosciamo anche noi, non è facile essere perfetti, tantomeno in un paese come l'Italia.

Il festival ha avuto una affluenza record il venerdi, standard il sabato, e molto buona di giovedi (era la prima volta che ci cimentavamo in questo giorno della settimana). 20000 presenze in tre giorni sono tantissime per un festival che continua a raccontare l'altro mondo, quel mondo che –per quanto si sia accorto di quanta bellezza ci sia da questa parte – continua a fare numeri con tutta altra merda. Non scordatevelo mai questo, quando ogni tanto confondete qualche sold out con i conti in banca di Mark Zukerberg.

Ma al netto di quanta gente ci sia venuta - numeri che di per sé non dicono niente: cosa sono 20000 persone in tre giorni se non un quarto della gente che andrà a vedere i Linkin Park a Monza? - l'impressione è stata di assistere per davvero ad un evento mefistofelico in cui la distribuzione della musica sui diversi palchi era coerente e intelligente, in cui le attrattive si intrecciavano come dovrebbero sempre fare in percorsi di interesse che avevano unico timone nello spettatore. La festival industry è una affascinante puttana e per farti amare devi prima amarla tu stesso e studiarla bene. Mi riferisco a tutti quelli che millantano numerose esperienze all'estero e che hanno l'amabile dote di insegnare come volare agli angeli senza nemmeno essere morti: esistono esperienze simili nel mondo, ma non esiste al mondo un evento outdoor di tre giorni costruito sul modello internazionale dei festival, in cui a correre su più palchi in contemporanea sia la sola musica nuova di un solo paese. Non è un giudizio questo, bensì un fatto. MI AMI – così come altre manifestazioni – fa bene al sistema musicale italiano, perché costituisce un punto fermo, virtuoso e positivo per label, promoter, booking e soprattutto artisti al fine di fare programmazione, tutto ciò che cioè serve per iniziare o completare un percorso.

La musica ha suonato forte

Ultima solo per dovere di scaletta, la musica, che è quella che muove tutto quanto, e che muove me. Tutto parte da lì. Mi accende come un bambino l'idea di poter mettere in fila i nomi, creare dei percorsi, trattare gli artisti, convincerli della bontà del progetto, farli parte di un disegno più grande.

Il nome d'apertura non può che essere quello di Liberato: il più chiacchierato mistero dei misteri, la trollata, l'inganno, il colpo di genio. Che dite? Pensate quello che volete, ma chi c'era ha assistito a qualcosa di storico, ad un'operazione dai tratti ombrosi che sta lasciando tutti a bocca aperta, un situazionismo anarchico pensato con un ghigno chirurgico e realizzato con una partecipazione mai vista. L'unico debutto live in cui l'artista assiste al suo esordio nel pubblico, in un dribbling dell'hype che abbiamo tutti favorito. Lo dissi a Liberato nella prima Skype Call, quando gli proposi di esserci: questo è un gioco che mi va di giocare. E così dovreste prenderlo anche voi.

Eppure sarebbe da allocchi pensare che un festival del genere possa prescindere dalla sostanza, da ciò che è stato, è e sempre sarà. Da ciò che trascende l'hype e diventa arte. Aver portato Carmen Consoli, la sua classe superiore e il talento cristallino, oppure i Baustelle, la produzione in assoluto più impotente e complicata mai avuto al MI AMI, è segno di grande orgoglio per noi; parliamo di due concerti che sono stati semplicemente superiori, la cui rilevanza non finisce qui. E non diamo per scontato la presenza de Le luci della centrale elettrica, che concerto Vasco!, o la lezione di rock'n'roll degli Zen Circus, l'unicità di Edda, il peso specifico di 19'40'': una orchestra al MI AMI? È successo!

Il palco Raffles ha poi proseguito nella sua opera di contaminazione pluridisciplinare, seminando bellezza e felicità. Dalle derive black del venerdi con Technoir e LNDFK alla cumbia del sabato, gli esordi assoluti dell'Istituto Italiano di Cumbia e il release party di Populous, la potenza della RRR di Laioung o lo storytelling di Murubutu. Il tutto accompagnato da visual e illustrazioni live di altissimo peso specifico, a creare performance uniche e indimenticabili. Il MI FAI è un palco della mente.

Infine il Palco Rizla, che per me quest'anno è gioia al solo pensiero. La Collinetta, nata come minuscolo stage acustico, è ora diventata grande. È stato commovente vedere dal vivo una così partecipata consacrazione definitiva del rap carino di Carl Brave e Franco 126, la conferma dell'emozionalità rara di Mecna, la sfacciataggine di Coez; ma anche le chitarre sature dei Gazebo Penguins, le urla al cielo dei Canova, l'intimismo elegante di Colombre; tutti concerti che con la nuova struttura, altissima e bellissima, sono diventati semplicemente enormi.

Ne avrei da menzionare molti altri: l'entusiasmo di Nikki, la competenza talare dei Demonology HiFi, la classe di Giorgio Poi, l'ultimo capitolo dei Drink To Me... Sono tanti. Più di sessanta artisti meritano un giusto reportage. Quello lo trovate in altre pagine di questo speciale.

Grazie

Mi prendo dunque la briga di usare queste ultime righe per ringraziare, permettetelo, anzitutto le persone con cui ho lavorato. Oltre ai già citati Fiz e Cla Selmi, le magnifiche donne di produzione Claudia e Carlotta, i direttori palco Simone e Irene accompagnati da Lara e Chiara e Gaia, la tostissima redazione di Rockit: Nur Giulio Valerio Chiara Cosimo Marco Peppe Enrico Pietro, il mago delle stories Fabio Persico, Delia e Marta dell'ufficio stampa, Viola per la bellissima illustrazione, i fotografi i collaboratori, e ultimi solo in fila Dario, Simone, Fossa, Nicolas, Rubi, Dani, Sergio e tutti i tecnici, tutti gli assistenti, tutte le uomini e le donne del Magnolia per aver aiutato a rendere realtà ciò che avevamo in testa. L'ultimo grazie, però, va a voi che avete acquistato le prevendite, permettendoci di capire prima se stavamo facendo bene o male, o in cosa stavamo migliorando, a voi che avete acquistato il biglietto in cassa dopo aver fatto la fila, dimostrando di volerlo, a voi che avete pazientato per una navetta che non arrivava senza gridare vergogna, a voi che avete cantato ballato sudato dato baci fatto l'amore e sorriso per tre giorni, restituendo al nostro fare tutta l'energia che meritava. Grazie. Sono stati tre giorni #confusiefelici che non dimenticherò mai.

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L'articolo Tre giorni #confusiefelici di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2017-05-31 15:43:00

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