MI AMI 2022: curiamo i traumi provocando meraviglie

Nel momento in cui più dobbiamo dire grazie alla scienza, ci sentiamo in dovere di riscoprire il mistero e tornare a guardare le stelle. Una riflessione del direttore artistico di MI AMI – testo integrale della newsletter del festival – su una tre giorni che sarà di umana magia

Fuck the metaverse, we want the universe - Tutte le grafiche di Stefano Fiz Bottura
Fuck the metaverse, we want the universe - Tutte le grafiche di Stefano Fiz Bottura
23/02/2022 - 13:00 Scritto da Carlo Pastore

Ho un’amica che è molto intelligente e usa a volte parole difficili, ma senza mai dare l’impressione di sembrare pretenziosa così che, poi, alla fine la ringrazi e pensi che in fondo quelle parole così difficili non erano. Ecco, una sera dopo questi mesi così strani parlavamo in un bar, all’aperto, ma sotto quelle lampade che consumano tantissima energia e inquinano altrettanto, di fronte a un bicchiere di vino, e lei a un certo punto fa una sorsata lunga, si ferma e dice: "Siamo arrivati a quel punto in cui nell’ipermoderno la narrazione di sé non può prescindere dal trauma". 

"Bella frase", penso, ma toccherà scomodare le categorie.

Nella cultura moderna – diciamo dal Quattrocento ad oggi – l’individuo si è sempre più svincolato dai legami sociali, è autonomo; il brodo culturale è quello di chi idealizza il nuovo, il progresso. Le tecnologie di trasporto e di comunicazione hanno cambiato tutto. Fino a qualche secolo fa non sarebbe neanche passata per l’anticamera del cervello l’idea di prendere un aereo per Londra e tornare indietro in giornata, mi sbaglio? E neanche di fare una call su Zoom. Il punto è che ci sono certi psicologi che dicono che la mente umana non sta dietro alla velocità con cui cambia il contesto culturale. Il mondo attorno evolve, ma molti di noi rimangono i vecchi grugni di sempre.

Il postmoderno, ma tanto lo sai, è quel momento di crisi che ha messo in discussione proprio quei capisaldi inamovibili di novità e progresso, che poi si basano sui pilastri dell’illuminismo, cioè la scienza e la tecnologia. Roba iniziata più di cent’anni fa. Il post è già past (battuta ahah). Superato. Entra in scena l’ipermoderno, come per il pop di Charlie XCX e di Sophie e di Pop X, laddove tutto è accelerato, intensificato, velocissimo. Persino quella di Biden contro Putin (che ti spoilero tutto prima che tu lo faccia) è la strategia dell'ipercomunicazione, tecnica suggeritagli da Avril Haines. Donna mega interessante perché prima di fare la capa spia della CIA più potente del mondo organizzava reading di letteratura porno spiegandoli così: "La gente vuole sempre di più avere a che fare con il sesso senza farlo". Ipermoderno al massimo, in effetti.

Qui la mia amica che si chiama Sofia intanto ha finito il vino: "Il postmoderno ti dava un tono perché criticavi le vele dell’economia perennemente gonfie, mentre con l’ipermoderno sei talmente messo male che ti accontenti di prendere qualche like in più". Derivazioni narcisistiche. "La modernità è portata all’eccesso", dice. "Tutte le sue caratteristiche sono diventate iper. E l’uomo? Solo. Connesso con tutti, ma incapace di comunicare". Pausa. "Comunque era buono questo friulano", enuncia soddisfatta.

E allora io le chiedo, ma in realtà chiedo a me e anche a te: "Ma in questo mondo qui dove stiamo per mandare i turisti nello spazio e c’abbiamo i robot che fanno la carbonara meglio di nostra nonna di Trastevere, com’è possibile che ci siamo ridotti così frastagliati di solitudini e di debolezze?". Cioè, com’è possibile quella cosa (che dice anche il Pose) per cui nel 2022 "ancora la guerra con la gente che si spara", ma davvero?

Sofia dice: "Questa cosa della guerra è così reale da sembrare impossibile, eppure attorno al nostro giardino fatato dove c’è questa pace levigata e quasi subdola non si è mai smesso, pensa tipo alla Libia o anche allo stesso Donbass dove cadono bombe da otto anni. Non riusciamo più a distinguere il vero dal falso, anche il Covid puoi farlo passare per un periodo di simulazione totale. Ecco – dice Sofia – questo è il contesto dell’età della vittima". 

Aspetta un attimo e fammi capire il nesso. Che tutti noi recriminiamo per qualcosa e siamo ossessionati dalla ricerca del punto di rottura, della tragedia nascosta che ha cambiato quello che sarebbe poi diventato il futuro, della violenza dei posti che abbiamo abitato, insomma: il trauma che dà identità? Lo confermo. Sembra che lo sviluppo della nostra opera sia meno interessante del sapere perché siamo diventati così. "Volete punirmi perché non ho ucciso nessuno?", dice Kanye West nel suo docu, ed è come se ci chiedesse se è più interessante ciò che ha saputo fare e costruire o il fatto che non abbia (o avesse) una fedina penale sporca. Beh, che gli vuoi dire a Ye, dai, su.

"La tecnologia praticamente ha creato un mondo senza scelte – dice Sofia – e forse cercando il trauma noi cerchiamo di trovare quella fessura da cui poi entra la luce della vita". La mia amica Sofia aggiunge che la vita moderna è di per sè traumatizzante: "È tutto una violenza: dal rumore di ferraglia della metro mentre scrolli l’ennesima lotta feroce sui social fino a quando esci e trovi quello con gli occhi spiritati, che urla sotto la sede di Facebook: 'Pardon META!', inveendo contro il metaverso". Il trauma che definisce, se prima non ti finisce

Ordino due altri bicchieri e poi giuro che la smetto. "Le persone sono più complesse dei loro traumi", l’ho letto sul giornale e ho pensato: "Giusto". Ok che del sogno non gliene frega più niente a nessuno – è più definente avere subìto un torto che essere uno che ce l'ha fatta –, però a me questa narrazione ha un po’ asciugato. Son sincero. Mi piacerebbe provare a disegnare ancora un po’ di meraviglia nel futuro. Posto che il tempo non esiste, lo sappiamo tutti: passato presente e futuro son cose che si dicono giusto per capirsi fra di noi semicolti.

Sto citando cose da più autori che ora non ricordo (se mi scrivi in pvt che ti interessano, però te li dico, ndr). Ma questo te lo metto preciso qui: "Ci viene detto che la modernità ha dissipato il nostro senso di meraviglia perché ci ha reso più forti: così forti, in effetti, da non avere più alcun bisogno della meraviglia. È vero il contrario" (Francesco Dimitri, Il potere della meraviglia). 

Cosa sono questi due anni qua se non un trauma che ancora non abbiamo compreso bene? Già, cosa sono. Cosa siamo. Cosa vogliamo diventare. Abbiamo provato a dircelo, ma ovviamente sarebbe da idioti arroganti pensare di avere una risposta. Però, fra di noi che facciamo il MI AMI non c’è stato neanche bisogno di dirselo con chiarezza: è venuto fuori molto naturale e organico e nella forma di un pensiero empatico e sincretico. C’è da dire che io e Fiz un po’ questa dinamica l’abbiamo affinata negli anni e anche se ormai ci siam fatti belli anzianotti, il metabolismo gira ancora. Fortuna che c’è sempre movimento di persone belle da queste parti, che non ci fanno venire i pensieri brutti, di quelli avvizziti.  

Abbiamo pensato che dovessimo provare a cercare fuori dal pensiero binario che contrappone il positivismo iper (sic) razionale monolitico a tutto il resto. Fammi un po’ vedere, insomma, se nell’irrazionale, nel mistico, nel magico, nell’animale c’è qualcosa che ci parla, che ci spiega, che ci indica una via.

Io, ad esempio, coltivo pregiudizi nei confronti di tutto ciò che è credenza – sempre per dirla da semicolto –, ma al contempo desidero nutrire proprio quella sorgente altra lì. Perché non è mica vero che fuori dalla scienza c’è solo la stregoneria. Mi sembra un po’ riduttivo dirlo così, seppur con il massimo del rispetto nei confronti delle cose che ci hanno migliorato la vita, ma abbracciare il mistero con un po’ di umiltà, schiaffeggiando forte i ciarlatani, è forse un buon modo per trovare risposte a mondi che sembrano sempre più strani e incomprensibili. Di fronte all’aridità dei deserti che avanzano e degli eserciti che avanzano nei deserti di fango, rivendico il nostro diritto ad infatuarsi: guardando le stelle.  

Umano irrazionale,
magico animale.

Suoni, luce.
Attesa / allegria.
Voglie sconfinate
e necessità d'infinito.
Verso l’altro
più che il metaverso,
l'incontro è fisico
più che metafisico.
Metà umano,
metà animale.
Carnale ispirato dotato
avvinto e affamato.
Scambio di baci,
non di dati.
Nodi da sciogliere,
altri da fare.
Più complessi
dei nostri traumi,
delle derive narcisistiche
della scienza senza
mistero.
Secondo logica
di condivisione,
non di prestazione.
Risponde a esigenze,
non di business.
È festa!
Doverosissima festa!
Sacre e giuste
cattive abitudini.
Rivendico il nostro
diritto di infatuarsi
guardando le stelle.
Il poeta si ostina.
Di che colore è la felicità?

La sedicesima edizione di MI AMI Festival si terrà dal 27 al 29 maggio all'Idroscalo di Milano. Vai su Dice per acquistare i biglietti. E iscriviti (qui) alla newsletter di MI AMI per rimanere informato sull'evento e leggere idee, spunti, riflessioni attorno al Festival. 

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Tag: MI AMI

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