Il recappone #2: le migliori uscite punk (e dintorni) delle ultime settimane

Il suono della Bologna nascosta, l'hardcore Hare Krishna, ragazze belle incazzate e auto dalle cromature strepitose: qua dentro trovate un bel po' di dischi rumorosi e che dovete ascoltare al più presto

I Corpo estraneo live
I Corpo estraneo live

Che tutto ciò che scrivo su Rockit per me sia sempre stata una questione di qualità e non di quantità dovrebbe essere cosa abbastanza nota a tutti: sia perché la mia è una delle firme più fantasmatiche e meno costanti della redazione sia, soprattutto, perché mi piace parlare di persone e non soltanto di dischi. Apprezzo quindi il tentativo propostomi di abbandonarmi al nu-classicism che divide e non più tanto impera nei magazine, di allontanarmi ancora di più dal quantitativismo, riducendo all'osso la presenza di centinaia di singoli in uscita al mese e riscoprendo modalità espressive e storie di vita degne di essere raccontate e che riportano al piacere di essere letti coloro che un certo modo di porsi fintamente alternativo relega nel dimenticatoio. Krasue è per esempio un progetto nato dall'unione di tre losche agitatrici controculturali di stanza a Bologna.

Sono trascorsi sei anni dalla loro cassetta d'esordio, Saliva, e direi si sente. Se nel 2018 Stefania (She Said Destroy!), Valentina (Dendrophilia / Dolpo) ed Elisabetta (nota come Liz Van Der Null) le si segnalava soprattutto simpaticamente per la descrizione che davano di loro stesse sui social (“D.I.Y. / no-genre / no skills / low profile / bad temper / glitter wounds”) e che bene descriveva il sound proposto ma niente di più, il recente EP I Wish You Die è un gradino sopra. Al pacchetto iniziale, perlopiù composto da un amore viscerale per gente come Wipers, Melvins, Rudimentary Peni e lato bullshit dei Darkthrone, si aggiunge una clamorosa spinta verso l'art-punk che fu di formazioni come i purtroppo dimenticati Country Teaser, pregno di quel dissacrante citazionismo a un passo dal plagio, figlio promiscuo del pasoliniano “I maestri sono fatti per essere mangiati”. Vi basti sentire come i Joy Division fan capolino e neanche troppo sottilmente in Anthem per capire cosa intendo. Insomma, a Bologna c'è altro oltre ai nostalgici del 2010: si tratta di grattare la superficie.

Krasue
Krasue

E se tre di tre è la mischia gaia di vipere com'è a tutti da tempo noto, prima di accorgerci che la stalla è rimasta aperta e mogli e buoi hanno deciso di scappare dai paesi tuoi, 200 chilometri più a sud, dalle parti di Pisa, non si può fare a meno di notare il secondo disco delle Smalltown Tigers. Le dieci tracce poste su Crush On You, più che un sentito tributo all'epoca a cavallo tra glam e punk '77, o “tra le Runnaways e i Ramones” come mi è capitato di leggere, mi ha riportato alla memoria di quelle Bambina Cattive (da non confondere con le Bambole di Pezza) che nel indie anni '90 vennero frettolosamente etichettate come riot grrrls de noantri e invece erano molto più Descendents che Hole – e misero le fondamenta per le future Motorama. Ecco, bisognerebbe imparare a non standardizzare (molto più Stooges, Sonics e Circke Jerks che soli Ramones, molto più The Muffs, L7 e Bratmobile che sole Runnaways) e che gioverebbe più parlare e scrivere di un certo Belpaese che esiste e non è narrato perché non lo si vuole notare invece che lasciare ad altri la narrazione di un Paese omologato alle quattro discipline.

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Chi lo capisce è bravo e quindi supporta la scena locale in una Brescia che ha in Gab De La Vega un maestro di prestidigitazione nel trasformare la "città più inquinata d'Europa" in una piccola succursale del Minnesota. Se la tristezza del cowboy è un trend per meme e Tik Tok, Gab con il suo gruppo lo traduce in un suono immarcescibile che è declinabile all'infinito, con cui il punk rock si perde nella malinconia delle praterie americane. Tingendosi ora di alternative, ora di songwrinting. Il suo disco, Life Burns, non è un disco facile di midwest-emocore, laddove “facile” sarebbe la presa sull'ascoltatore a caso bullizzato dai trend, ma è rappresentativo di tutta la gente nata e cresciuta col punk e con tutto ciò che il rock portò appresso conseguentemente negli anni successivi, ritrovandosi infine nella tradizione cantautoriale alta, quella di Roy Orbison e di Gene Vincent, per esempio, entrambi rielaborati in occasioni come questa. Proprio come faceva Joe Strummer un tempo che ormai sembra lontano e invece sta qui e si mangia buonissima minestra sporca.

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Pane e Back From The Grave è invece ciò di cui si nutrono ogni mattina a colazione i Dear Bongo. Ogni giorno me li immagino alzarsi belli pronti per un'eventuale chiamata al Beat Festival tra Fuzztones e Jim Jones Revue. Il loro omonimo EP, composto da tre inediti e una cover dei Dead Horse che fa capire quanto ci siano e non ci facciano, è un gran bel mix di garage e post-hardcore alla Drive Like Jehu con, qua e là, accenni alla logica follia dei Fugazi e Jon Spencer a mischiare le carte ulteriormente. Se aggiungessero giusto un tocco d'estetica che non li faccia sembrare degli studenti di Veterinaria in gita a Venezia, da qua a qualche anno potrebbero finire per competere tranquillamente con gente come Idless e Pissed Jeans.

E se V per vendetta deve essere, un disco da gustare freddo è il nuovo capitolo dei Votto. Gli Ultimi Istanti delle Nostre Vite Precedenti, oltre a proseguire che è una bellezza la serie di titoli e di copertine che i piacentini ci hanno regalato negli ultimi anni, è un bolide che arriva in faccia con sette canzoni che sono come una Dodge Charger del 1969 in un film tratto da un libro di Stephen King: motore V8 emocore e telaio molto performante. L'accelerazione buona specialmente sui rettilinei basso batteria. Screamo con ottime sospensioni idrauliche a metà strada tra post-hardcore e il giro della morte. Bella autovettura questo Gli Ultimi Istanti delle Nostre Vite Precedenti (si, è così bello che lo scrivo di nuovo), piena di cromature e particolari assai affascinanti.

Votto - foto di Luca Secchi
Votto - foto di Luca Secchi

Sguaiato e smascellato è pure parte del cantato negli Isolated System, giovane gruppo che non si vergogna di amare quello che è probabilmente il rock dei loro genitori (il grunge) ma nelle loro canzoni lo declina col pot-pourri musicale caro alle nuove generazioni. Fatto di noise, di post-qualcosa e di qualcosa-gaze. Come i tanti che li hanno preceduti, con i My Bloody Valentine in testa, hanno dato al loro disco un titolo che segna una mancanza, dopo avere raggiunto un bel traguardo, ignorando che gli poteva andare molto peggio. Hopeless, questo il titolo, denota ancora qualche ingenuità di varia natura (Isolated System, del resto, rimanda ai Muse, mica ai Big | Brave) ma, al netto della temerarietà di uscire già con un full-lenght invece di sfruttare l'escamotage di un formato più sintetico indi(e) paraculo per sondare il terreno, con un sound che regge elementi anche difficili da combinare, con qualche aggiustata, lascia sperare per il futuro che verrà.

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Lo scarso ricambio generazionale nelle sottoculture musicali è da sempre oggetto di dibattito degli addetti ai lavori e degli individui che ne fanno parte: se però ci si rassegna al fronte di chi supporta soltanto il grande e pretende dal piccolo e non viceversa è un soffio a scrivere ogni santo giorno requiem for a Cobain's tear

Invece, se togliamo le ristampe ripulite in limited edition, con 7”, poster e monolitici booklet allegati (e un boffolotto no?) degli Indigesti, se siete amanti di questo genere di operazioni molto poco hardcore, old school e un'altra mezza dozzina di cose, i più adulti del mese son di certo Krishnacore Corpo Estraneo. Dopo un EP del 2022 e un singolo l'anno dopo, Il Tempo è Adesso è un disco che fa della velocità, della filosofia e della spiritualità (più che dell'ideologia, che mi sa di fascio) Hare Krishna i propri punti di forza - oltre alla presenza a ricamare di un vecchio lupo della scena qual è Bolo alla chitarra. Che poi si tratti di vecchia scuola hardcore o di thrash non credo gli cambi molto; anzi, penso sia proprio un loro cipiglio rimandare, se mai, ai primi due lavori, ibridi, dei Cro-Mags, oltre i soliti Youth of Today, Shelter e tutto il corollario riconducibile a Ray Cappo.

Su tutto, non solo i testi ispirati al Vaishnavismo, ma la mentalità di Caitanya Das che intuisce come sia importante dare un'alternativa all'amarezza e al cinismo di chi nella scena apre gli occhi solo per vedere problemi, in sé stesso e nel Mondo, e che apre bocca solo per dire che non c'è futuro o che, dipingendosi come vittima, solitaria e idealista in un mare di stupidità, è interessato più a garantirsi un posto perpetuo nelle fila dei critici che a dare possibili soluzioni.

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Il che, badate, non ha nulla a che vedere con il machismo di Harley Flanagan, il proselitismo di John Porcell o tutte le stronzate anarco-primitiviste di Andy Hurley. Il suo è un invito alla riflessione, dando spunti, liberamente dal proprio credo, come fanno tutti i pensatori. Come fece Ernst Friedrich Schumacher ispirando tra i tanti Hilly Kristal. In alternativa a pacchi di gruppi che dicono che tutto è una merda e che tutto sta andando a rotoli - che poi già lo sappiamo. Se nel suono ci sono rimandi ai gruppi della tradizione straight nostrana, penso ai One Step Haed e Think Twice (del resto il passato di Caitanya quello è, come chitarrista dei To Ashes) oppure Sottopressione e Permanent Scars ma con qualche richiamo esotico, il tiro contenutistico è  di tutt'altra portata ed è un peccato non siano tra i gruppi del VEHC 2024 per sondarne l'impatto dal vivo in questa line-up a quattro (specie dopo che il buon Samall li volle al warm up dello scorso anno) ma ci sarà per certo modo di rimediare in un futuro prossimo.         

Tra i singoli, prendetevi 5 minuti per sentire: Chicago dei torinesi LEM, tra old-core e midwest-emo fatto bene; Anything degli Aurevoir Sofia, da Cinisello all'Hertfordshire in due minuti e mezzo; dei Riviera sapete già tutto (si spera), il pezzo si chiama Terra Violenta; di rimbalzo alla combo uscita per i Managramo, Heartectomized e Dental Plan, che fa salire alle stelle l'hype per il nuovo disco, il padovano According To Jack con The Best I've Never Had ci fa ben capire che la bomba anti-folk è stata sganciata: ora c'è solo da capire quante vittime farà, olé!

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L'articolo Il recappone #2: le migliori uscite punk (e dintorni) delle ultime settimane di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-04-03 10:51:00

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