Se c'è un progetto musicale che fatico ad immaginarmi calato nella dimensione cui siamo confinati oggi – dovendo pure ringraziare –, è proprio quello dei Mombao. Certo, la musica è bella e aiuta sempre: sotto al palco con le allucinazioni, al buio in cameretta o nelle cuffiette su un tram. Ma un rito sciamanico, quello no: regole, senso di responsabilità e distanze rischiano di svuotarlo fin nella sua essenza, nel motivo per cui esiste e si riproduce.
Perché questo è un live dei Mombao, ben di più e al contempo qualcosa di molto diverso da un "semplice" concerto. "Un'esperienza" direbbero quelli bravi nel marketing, ma non del tipo che ti vendono di solito loro. I Mombao sono un duo composto da Damon Arabsolgar al sintetizzatore e Anselmo Luisi alla batteria. Sono in giro da qualche tempo ormai, e chi li ha ascoltati e visti muoversi su palchi (che spesso non esistono) tende a non dimenticarseli.
Con soli due strumenti disegnano paesaggi sonori che variano dall'elettronica al jazz fino agli echi di musica tradizionale, suoni "trans-territoriali e trans generali". Si esibiscono seminudi e coperti di argilla, in mezzo al pubblico, che li accerchia come in un rituale ancestrale, e che passa dalla danza folle e scostumata all'ascolto profondo e meditativo in un istante.
Lo scorso maggio sarebbero dovuti essere sul palco di MI AMI 2020, sono stati uno dei nostri "frutti vietati". Quest'estate non vediamo l'ora di rivederli in giro con le loro "facce di bronzo": mascherine, distanze e tutte queste cose qui in fondo potrebbe rendere l'effetto ancora più straniante.
Intanto, in anteprima su Rockit, potete vedere un minifilm che racconta la storia e l'unicità dei Mombao, ripresi da Isacco Zanon durante due loro tappe in giro per l'Europa (hanno portato le loro performance ovunque, dai Balcani al Marocco, in India e Nepal). Si chiama Il punto del corpo che non pensa ed è tratto dal loro tour in Slovenia. Qua sotto, invece, una breve chiacchierata con Damon e Anselmo.
Come nascono i Mombao, e soprattutto perché?
Nascono un po’ per caso da un’amicizia e da una voglia di sperimentare strade inesplorate, senza chiedersi prima in quale direzione andare. Ci siamo conosciuti all’università (udite udite, alla Bocconi), entrambi ci occupavamo di musica anche se provenivamo da ambienti diversi: Anselmo dal jazz, Damon dall’indie rock. Abbiamo sentito ad un certo punto la necessità di trovare modi di esprimerci diversi da quelli a cui ci eravamo abituati, e ci siamo trovati in sala prove senza un’idea chiara di dove saremmo andati a finire. Così, dopo diversi tentativi, è nato Mombao.
Siete decisamente più semplici da vedere e da ascoltare che da descrivere. Però ora vi tocca farlo: come raccontereste a uno che non vi conosce la vostra arte?
Di solito usiamo una lunga perifrasi, che suona più o meno così: siamo un progetto a cavallo tra musica e performance, scriviamo canzoni in diverse lingue e prendiamo canti popolari da parti diverse del mondo riarrangiandoli per voce, percussioni ed elettronica. I live sono una performance a metà tra un concerto rock ed un rituale mistico in cui suoniamo al centro dello spazio (quando possibile), coperti di argilla e con il pubblico intorno.
Qual è di preciso il punto del corpo che non pensa?
È un punto che tendiamo a trascurare. È un luogo antico, più saggio di noi, dove le emozioni non si bloccano e non si censurano ma fluiscono liberamente espandendosi in tutto il corpo. È da lì che origina il ballo liberatorio. È dove vive l’animale che c’è in noi.
Che effetto vi fa vedere (in video) dei vostri live "così", dopo l ultimo anno e mezzo?
Abbiamo avuto l’enorme fortuna di suonare la scorsa settimana al festival Arcella Bella, uno dei festival che resistono in questo periodo, ed è stata un’occasione per ricordarci che cos’è quella sensazione che si prova su un palco dal vivo. Ne avevamo tutti un bisogno enorme. Noi musicisti, il pubblico, gli organizzatori. Per noi è stata una riscoperta, ci eravamo dimenticati quanto gratificante fosse quella sensazione, e probabilmente lo stesso è valso per il pubblico: c’era gente che non riusciva a stare ferma e continuava ad alzarsi per ballare mentre gli organizzatori cercavano costantemente di farli stare seduti per rispettare le norme di distanziamento. Alla fine alcuni di loro si sono messi a ballare in ginocchio! È stato liberatorio.
Come farete quest'estate a girare con uno show come il vostro?
Per fortuna ci sono diversi festival resistenti che ci hanno contattato, per cui nonostante tutto continueremo a suonare. Ad esempio a Giugno suoneremo al festival di Milano Mediterranea ed al momento stiamo conducendo attraverso di loro una residenza a BASE Milano per implementare dei live visuals nel nostro concerto insieme al collettivo Kokoshka Revival. Certo, sarà più complicato fare un concerto con il pubblico che balla in piedi tutto intorno, ma abbiamo visto che lo show funziona anche con la frontalità del palco e con il pubblico che sta seduto - o per lo meno ci prova...
Chi state ascoltando in questo periodo?
IOSONOUNCANE, Andrea Laszlo de Simone, Steve Reich, Mentrix, The Knife, Spill Gold, Tamino, The Notwist, Ava Rocha, Vincenzo Parisi, Foxwarren, Big Thief, The Comet is Coming, Lajko Felix, Clap Clap.
Perché l'argilla?
È un’idea che viene dalla nostra esperienza con il Teatro Valdoca, la compagnia di teatro sperimentale di Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri. È una realtà che ci ha influenzato molto: oltre ad aver scritto le musiche per il documentario Gli Indocili di Ana Shametaj sui mesi di prove di allestimento di uno spettacolo, abbiamo partecipato ad alcuni loro laboratori ed è stata un’esperienza fondamentale. In alcuni loro spettacoli i performer sul palco sono coperti di argilla e body paint, con l’idea di trasformare gli attori in in qualcosa di più di uomo e allo stesso tempo qualcosa di meno di un uomo. Lo stesso è valso per noi: coprirci di argilla ci permette di avvicinarci ad un archetipo collettivo, di trasformarci per non essere più noi stessi e insieme poter esserlo ancora di più.
Perché state in mezzo al pubblico, cosa vi dà?
Il sistema performativo occidentale a cui siamo abituati consiste in una formula ben specifica, c’è un palco e sopra di esso un cantante mette in mostra la sua individualità, tramite la quale il pubblico raggiunge una sorta di catarsi collettiva. È un riflesso molto peculiare dei valori su cui è fondata la nostra cultura. Mentre eravamo in tour in Marocco, durante il soundcheck ci siamo accorti che l’impianto audio era montato verso di noi invece che verso la platea. Un po’ straniti abbiamo incominciato a suonare, accorgendoci che il pubblico non aveva chiaro in mente quali sono gli usi a cui siamo abituati, tipo battere le mani, aspettare il bis… I nostri usi non erano comuni al loro modo di fruire della musica live.
Cosa scatta nel cerchio?
Quando abbiamo avuto l’occasione di suonare nella comunità di musica gnawa di Tangeri, insieme al Maallem Abdellah El Gourd, ci hanno accolti nel loro “cerchio” a ferro di cavallo e lì abbiamo capito che in musica ci sono moltissime possibilità e che ogni cosa che decidi di fare durante la performance ha delle conseguenze importanti. Stare in mezzo ci permette di scardinare la frontalità del concerto, creare un incanto inaspettato, veicolare un’estetica circolare creando una comunità temporanea orizzontale, inclusiva. Questo permette un maggiore contatto con il pubblico che, a volte, arriva a partecipare attivamente, ballando, cantando canti in lingue che non ha mai sentito fino a dipingerci i corpi mentre suoniamo.
Spirito o materia?
Ne l’uno né l’altro ma tutti e due insieme. L’umanità del futuro trascenderà questa distinzione.
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L'articolo Mombao, dove vive l'animale che è in noi di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-05-31 09:01:00
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