Non tutti possono fare i musicisti per lavoro e va bene così

Non c'è bisogno di diventare famosi per suonare, ogni tanto occorre ricordarcelo

28/01/2019 - 16:12 Scritto da Simone Stefanini

Negli ultimi anni, gli unici due stili musicali che hanno funzionato nel nostro paese sono la trap/graffiti pop e l'itpop. Soffermiamoci un attimo su quest'ultimo perché la trap vive di tutt'altre istanze e urgenze, e merita senz'altro un'analisi più approfondita. Con il neologismo itpop intendiamo, oltre a un album del 1998 di Alex Britti, il nuovo pop italiano, quello che ha fatto diventare Thegiornalisti, Calcutta, Cosmo, Lo Stato Sociale e compagnia, animali da palasport, progetti da sold out. Gente che dal pub è arrivata ad avere dietro una crew di decine di persone, un merchandising fornitissimo, video tra i meglio fatti in Italia, palchi grossi, visual e light design senza pari e apparizioni televisive frequenti. Autori corteggiatissimi dai big della canzone italiana, categoria della quale adesso fanno parte anche loro a furor di popolo. 

In seguito a questo plebiscito, qualche band rimasta fuori dal mainstream è passata dall'inglese all'italiano, molti hanno tolto le chitarre in favore dei synth al sapore di '80 e se prima i loro testi parlavano di orrori cosmici, matematica quantistica, formule magiche, tribuna politica o descrizioni minuziose di prati fioriti, oggi si sono convertiti a parlare della storia d'amore che finisce mediamente male ma che lascia un sacco di ricordi di memorabilia e oggettistica che sarebbe un peccato non citare nel testo, sia mai che ci scappi una sponsorizzata. Di base, hanno provato a far diventare la musica un lavoro addentrandosi nei filoni aurei dell'itpop, spesso già esauriti da altri che c'hanno provato prima di loro. In più, le seconde linee che vorrebbero essere big, sono seguite da agenti che anch'essi clonano i modelli vincenti degli ultimi anni. Stesse strategie social, stesse grafiche, stessi lanci ma soprattutto, spesso cachet improponibili, per fare il verso alle produzioni più blasonate.

La logica non è tanto difficile da capire: è un periodo in cui la discografia ufficiale ha perduto i propri pezzi da 90, che ormai per riempire i palasport si devono alleare per creare mostri a due o tre teste tipo Pausini-Antonacci o Nek-Pezzali-Renga, oppure devono rincorrere i nuovi suoni del pop, come fa Luca Carboni. Mica tutti, c'è chi da una vita se ne fotte allegramente e vive serenissima tipo Nada, ma a volte l'aggiornamento è necessario e riesce pure bene. Non è un caso se il tormentone dell'estate scorsa è stato il singolo di Loredana Berté con i Boomdabash o se la canzone dell'inverno è quella di una artisticamente rediviva Elisa scritta da Calcutta. Le major discografiche hanno fatto l'unica cosa che potevano fare: hanno foraggiato percorsi che venivano dall'indipendente e stavano andando già molto bene per creare i nuovi grandi nomi del pop. 

 

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Spesso però chi vince è lì perché è stato più bravo, perché ha avuto qualcosa di più originale da dire, ha saputo sintetizzare il proprio pensiero in uno stile riconoscibile. Per usare termini tanto cari a X Factor, è arrivato alla gente. Copiare quello diventa difficile e a volte bisogna venire a patti col fatto che talento, fiuto imprenditoriale, tecnica e carisma sono difficilmente replicabili, altrimenti per dirne una, il fratello di Ligabue che pure lui è musicista, sarebbe famoso quanto Ligabue. Una volta capìta questa cosa, tutti quelli che si sono convertiti in wannabe autori di tormentoni per fare successo, potrebbero ripensare la loro scelta e tornare a divertirsi in garage senza star troppo dietro a quello che funziona, che se già funziona un motivo c'è.

Dunque: va un sacco la canzone in italiano ma voi vi sentite più a vostro agio in inglese, francese o cinese? La musica coi chitarroni la danno per morta ma a voi non c'è niente che prende le viscere più del feedback innescato da una Fender Jazzmaster attaccata a una testata valvolare Orange? Dovreste cantare di quanto è bello andare al mare ma a voi il mare fa schifo e preferite stare a leggere in soffitta? Fatelo. Fate ciò che vi piace, non rincorrete modelli di successo solo perché ce l'hanno fatta. Siate sinceri, perché al massimo copiando qualcuno, raccoglierete pacche sulle spalle come imitatori e dalla morte di Gigi Sabani, gli imitatori non è che facciano granché successo. Fate un po' quello che vi pare e se non funziona, pazienza. Non tutti possono lavorare facendo gli artisti, non tutti i generi musicali possono creare stipendi veri e propri e comunque suonare resta uno degli hobby più belli che esistano. Soprattutto: non ci regalate un altro anno delle vostre paturnie da Cioè, della vostra infelicità sentimentale brandizzata o di quanto sia bello andare in vacanza invece di lavorare. Fuori un sacco di cose vivono e muoiono, è vostro (e nostro) dovere farci almeno caso.

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L'articolo Non tutti possono fare i musicisti per lavoro e va bene così di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-01-28 16:12:00

COMMENTI (3)

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  • pons 5 anni fa Rispondi

    Confucio disse "Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita".

  • pierocorsi 5 anni fa Rispondi

    la verità è che tutto questo filone "finto" culturale proviene da lui ciambellesumarte.it/2019/01…

  • giuseppe_vorro 5 anni fa Rispondi

    Analisi spicciola.
    Non è necessario essere in top classifica per vivere di musica. Vedasi per esempio i musicisti jazz.
    Comunque finirà la pacchia ( termine in voga) anche per chi adesso canta vittoria