My Bloody Mondaze

Come la mitica band irlandese la loro musica è “contaminazione, esplorazione e futuro”. Ne è la prova “Late Bloom”, il loro primo disco, che unisce punk, metal e screamo in un unico rumore creativo e sperimentale. Il nostro “Rinascimento shoegaze” passa anche dalla Romagna

Se ogni promessa è un debito, i Mondaze ci avevano lasciati in quel del Kroen nel dicembre appena passato con una promessa di quelle belle ricche. Ovvero di riuscire a stampare a breve il successore della demo Healing Dreams, autoprodotta nel 2018. Programmato per il 10 di dicembre, al 18 dello stesso mese del nuovo disco non v'era traccia fisica e fino al 6 gennaio aveva fatto capolino soltanto su Bandcamp e in pre-order.

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Giorni di interminabile e spasmodica attesa, neanche mezzo videoclip dopo quello per l'immensa Words Undone, seguita da Lost e Stay e usciti tra settembre e la fine del passato anno o, che so, un bootleg a lenire l'insofferenza. Ma all'improvviso, qualche giorno fa, alla fine, l'apparizione delle copie fisiche di (nomen omen) Late Bloom (2021, Tafuzzy) in vari formati: "Il ritardo è oramai diventato prassi negli ultimi due anni tra Covid e reperibilità materiali", spiega Matteo Vandelli (voce e chitarra della band romagnola).

Ma i Mondaze sono così: solitarie e introverse creature romagnole di base in quel di Faenza. Uno di quei gruppi che con la frenesia e con la smania di onnipresenza dei giorni d'oggi al massimo ci riempiono le piadine, sostituendole con il tempo, con il silenzio, con la tregua e con la riflessione. "In realtà a Faenza abbiamo suonato una sola volta – confessa Red Capacci (basso) –, ma abbiamo girato molto e questa cosa ci piace parecchio". I quattro hanno voluto soffocare l'impulsività più à la page e seguire la strada più lenta e più ardua, quella lungo la quale la sperimentazione corre sul filo dei generi fino a incontrare la brillante ispirazione, fino a che rumore e creatività non diventino un'unica cosa.

"Tu pensa che di solito i pezzi nascono in casa", rivela Margherita Mercatali (chitarra), che con Matteo, i Mondaze li ha fondati e incanalati in una precisa direzione: "Li buttiamo giù io e Matteo e se ci convincono li portiamo in saletta e li rifiniamo tutti insieme. Abbiamo background differenti: c'è chi viene dal punk, chi dal metal, chi dallo screamo". E i risultati infatti si vedono.

I Mondaze
I Mondaze

Raggiunto quello che potremmo definire lo stato ideale, poi la musica indossa gli abiti prediletti, quelli delle tinte decise, delle tonalità forti, dei toni alti e marcati. Nella veste grafica e nelle liriche traspare un approccio spaziale, quasi "sci-f", alla materia shoegaze, che potrebbe diventare un notevole tratto distintivo per il futuro perché, come conferma Matteo: "Di certo la grandezza di ciò che ci circonda e la conciliante sensazione di impotenza che ne segue ci ha ispirati molto".

È musica pestata e inquietante come un improvviso salto nel buio che non lascia via di scampo (Endless). È un letto di spine, in una notte buia, sulla quale poi si contorcono sogni e incubi di perversa e oscura dolcezza (How Soon Is Soon?). È un'ipnotica, ossessiva liquida sequenza di melodiose distorsioni tremolanti (Interlude) che si involano in una sorda  preghiera fatta con un'unica parola mai detta (Stay).

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È uno sguizzare di chitarre di cui c'è sempre un grande bisogno e che sono sciabole d'argento, taglienti e preziose, che fendono l'aria e inventano dei nuovi rumori, delle nuove e sublimi vibrazioni (Words Undone). È una scenografia appannata, con fondali infuocati e distorti, invasi da rombante fragore di reattori aerei (Lost). È uno squarcio di luce stellare, un canto alla gioia, un inno solare degno dei tre gemelli di Cocteau fatti di MD (Swirl Back). È qualcosa di alieno, di spaziale, dal passo lento, inesorabile, elefantiaco, che lascia piacevolmente paralizzati, atterriti ed estasiati (Concrete).

È, in definitiva, un'esplosione di fuochi, stelle e lampi che non sai se sognare, per le immagini che crea, o gridare, per le scosse d'adrenalina che provoca. Alan McGee, capo della Creation (quella dei Jesus and Mary Chain per capirci) una volta disse che il modo migliore per amare una band è collaudarla in macchina, in viaggio attraverso paesaggi extra-urbani, come colonna sonora, ma Matteo ha una sua idea ancora più visionaria: "Penso che Late Bloom suoni meglio con il riflesso di un cielo in fiamme che avvolge il parabrezza in un abbraccio rasserenante", mi dice.

I Mondaze
I Mondaze

Anche se quello dei Nothing già immagino sia il nome più ricorrente fatto in sede di future recensioni (per poca sbatta o poca visione complessiva, fate vobis) per me che son più in là con gli anni qui è presente e palesissima la scuola di pensiero "My Bloody Valentine". Nella misura in cui gli stessi My Bloody Valentine, all'epoca e per tanti anni, non riuscirono ad essere neanche mai bene inquadrati (il singolo Sundy Sundae Smile venne liquidato come "il nuovo intruglio fuzz-pop degli aspiranti Monkees degli anni Novanta" dalla rivista Underground, ndr).

Di simile agli shoegazer di Terra d'Albione, più che il sound, nei ragazzi dei Mondaze c'è il riuscito tentativo di dare un senso compiuto alle parole "contaminazione, esplorazione e futuro". Di riuscire a spostare di un (altro) centimetro in là la comunicazione interpersonale e la commistione di generi.

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La musica di Late Bloom riesce bene in questo, finendo per piacere in scioltezza (e lo abbiamo visto dal vivo) sia ai fan di Swerdriver e DIIV, quanto a quelli di Katatonia e Deftones, tanto a quelli di Justin Broadrick che a quelli di Billy Corgan. E pazienza se per un soffio non l'avete trovato nelle classifiche di fine anno come avrebbe anche meritato. Tanto a voi importa della musica mica delle classifiche, giusto?

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L'articolo My Bloody Mondaze di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-01-26 13:45:00

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