Neffa: "Amerò per sempre i Sangue Misto, ma nessuno è fatto per rimanere fermo"

Dopo anni di invocazioni da ogni parte, Neffa è tornato al rap (anche grazie a Ele A e MI AMI Festival) con "Canerandagio". A tu per tu con l'icona più indelebile dell'hip hop di casa nostra

Neffa, foto di Alan Gelati
Neffa, foto di Alan Gelati

Neffa, il rap, il suo nuovo disco, il mondo attorno a lui. Dopo la pubblicazione di Canerandagio parte 1 è arrivato il tempo di una chiacchiera con uno dei più influenti artisti della scena underground del nostro Paese. Chi legge queste righe senza conoscere la storia di Neffa potrebbe storcere il naso, ma è così.

Prima del rap il punk, e poi dopo il funk, Sanremo e la televisione. Ma per anni il “guaglione” lo trovavi a spasso tra un centro sociale e un negozio di dischi che non vendeva ciò che veniva pubblicato da una major.

Ti abbiamo rivisto rappare lo scorso anno a MI AMI, quando sei salito sul palco con Ele A prima e con Venerus poi (hai proprio detto che l'idea di tornare a fare un disco rap è nata in quell'occasione). Cosa ti ha lasciato quell'esperienza? C'era qualcosa lì che hai portato nel nuovo disco?

Ero alla fine della mia fase di lavoro precedente a questo album, nella parte in cui stavo a Bologna e stavo per andare a Berlino. È stato per me un onore, ringrazio sempre Andrea Venerus ed Eleonora di avermi voluto sul parco con loro. Ovviamente abbiamo spoilerato tutte le stelle che esisteva già da un po' ed è stata l'occasione per me per salire sul primo palco importante dopo più di dieci anni.

È stato doloroso staccarsi dal rap all'epoca?

Semmai è stato doloroso subire molte critiche dopo, e forse essere oggetto di pregiudizio per molti anni della mia carriera. Però se lasci una scena, soprattutto in anni in cui c'era molto senso di appartenenza, ci si aspetta di deludere delle persone. Io sono uscito dal rap per amore della musica che mi portava altrove. È esattamente il percorso opposto che mi sono trovato a fare per il mio ritorno a questo album, un processo che è nato prima a livello sensoriale, poi come idea.

Come è successo?

Prima mi sono trovato una strada e dopo la decisione di percorrerla, anzi, era una strada che per me richiedeva anche molta attenzione nel ripercorrerla, perché sapevo bene che le persone avrebbero paragonato questo album ai vecchi. Non avrei permesso a me stesso di tornare perché era conveniente o perché dovessi fare un revival, non avevo nessuna intenzione di portare la musica com'era mentre la facevo nel momento in cui avevo lasciato. Mi serviva un'evoluzione, un percorso interiore, puro da intenzioni, fatto semplicemente di esperienze e questo è il tipo di cammino che ho scelto di percorrere dalla prima all'ultima registrazione.

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Tante e tanti sono rimasti sorpresi dalle collaborazioni del disco, con pochissimi artisti dagli anni ’90. Come mai?

Ingenuamente non avevo pensato che la questione avrebbe destato così tanto “dibattito”. Da una parte rido perché penso: “Scusate, ma torno io che già non è facile, devono tornare tutti?”. Come posso andare da Deda, che è il mio più caro fratello dal giorno zero in cui facevo il rap, a dire: "Dai, vieni a rappare”, se non lo vuole fare? Invece un artista come Kaos, per esempio, è vivo, attivo, esattamente come anni fa. Kaos è una persona che io ho incontrato mentre preparavo questo album e ti posso tranquillamente spoilerare che nella seconda parte sarà presente, non nella prima solo perché non ero pronto io con la mia strofa. Avrei potuto fare tutto di fretta, pur di chiudere Kaos così qualche purista si sentiva più tranquillo, ma volevo fare le cose per bene.

E invece confrontarsi con ospiti più contemporanei com'è stato?

Io avevo voglia di misurarmi con artisti che sono sulla scena adesso, vivi, presenti, attivi, forti. Se fossi stato uno che frequentava di più la scena underground, sarebbe stato interessante andare a cercare giovani rapper di vent'anni sconosciuti. Questo è un tipo di percorso che mi piacerebbe moltissimo fare, incontrare persone che fanno il tipo di rap che piace a me, ragazzi, e misurarmi con loro, divertirmi con loro, e mettermi a giocare con loro. 

La traccia con Franco126 ha un sapore musicale alla Sangue Misto, è una mia follia nostalgica o c’è del vero?

Quando Franco è venuto a Berlino, la prima cosa che mi ha detto è stata: “Se fai un disco di rap, io faccio il rap”. E e poi, soprattutto, mi ha detto: “Ho questo ritornello in cui ho scritto un po' nel tuo stile, tipo Sangue Misto”. Lì ho pensato all'importanza di avere per un attimo, o per qualche giorno, o per una settimana, o magari mesi, o per sempre, lì nelle cuffie o nello stereo la mia musica quando lui era un ragazzo. E magari avere lasciato dentro di lui anche un seme, e questo per me è una delle cose più incredibili quando penso alla vita che ho fatto: essere stato qualcosa per qualcuno. Detto questo, Franco in quei giorni ripeteva di aver ripreso il mio stile, finché non gli ho detto: “Sì Franco, ma tu hai giocato a fare un po' il mio stile del '94”.

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Quindi non ti riconosci più in quel Neffa?

Quando parlo di Sangue Misto voglio dire che per me l'eredità lasciata da quel disco e dal progetto, così come da quel tempo, è una delle cose di cui io sono più orgoglioso nella vita, se non la cosa. Quel disco l'amerò per sempre e anche quel tempo. Ma nessuno è fatto per rimanere lì, fermo, a meno che tu non sia morto, o se sei una cera nel museo delle cere. Io ho troppa inquietudine e troppo desiderio di dare sempre qualcosa per stare nel museo delle cere, ho sempre preferito cercare una forma di evoluzione, non ripetere mai un gesto, non ripetere mai un momento solo perché è stato magico o ha funzionato.

Cosa ti auguri ora?

Spero che, nel tempo, chi è un po' diffidente riguardo a certi miei percorsi molto mutevoli capirà che tutto questo era in nome, sempre, dello stesso seme di libertà creativa di cui si erano innamorati in dischi come Sangue Misto, o dei miei dischi di rap. Il volere essere vero e reale nel momento, e in un modo rispettoso proprio degli altri, mi portava sempre a cambiare nella misura in cui la verità in quel momento si spostava nel cielo delle musiche che stavo facendo.

È stato difficile trovare un feeling musicale con chi ha una biografia diversa dalla tua?

Ho avuto la fortuna di avere una grande ispirazione proprio quando ero qui a Milano. Già di per sé è il posto dove o uno c'è oppure ci passa, quindi non era difficile beccare altre persone, incontrarsi. La cosa interessante è che il tipo di ispirazione che ho quando viene questa energia forte mi rende anche molto empatico. In particolare questa volta lo ero molto più della mia media. La questione del feeling con gli artisti, e parlo unicamente di quelli con cui non avevo ancora fatto nulla in studio, non si è mai posta. Non è mai stata una cosa del tipo: "Ok, ci attacchiamo con la colla e facciamo questo pezzo".

Cosa cercavi?

Cercavo un incontro di anime perché ne avevo bisogno in quel momento, stavo vivendo le cose con una profondità che non mi permetteva di avere un approccio superficiale a nulla, men che meno alla musica, ma nessuno ne ha bisogno. Il fatto poi di poter registrarli con il PC e poter rendere ogni casa dove stavo uno studio ha reso anche tutte le cose sempre molto più come un gioco.

Ci fai un esempio di incontri che hanno particolarmente funzionato?

Il featuring con Ele A è stato fondamentale per me. È stato un crocevia assoluto di questo album, perché Sara Potente, la mia discografica, mi aveva parlato di Ele A, Eleonora, e me l'aveva fatta sentire, sono stato veramente colpito. Il fatto che una ragazza così giovane, in un'epoca in cui è molto facile essere assorbiti dal flusso di ciò che è uniforme, ha un approccio completamente diverso mi ha conquistato da subito: lo stile, il rispetto di quello che è stato e la voglia di innovare il rap. Il pezzo con lei è stato un crocevia: dopo non aver fatto una cosa per tanti anni, l'idea di proporre a una ragazza giovanissima un beat e un ritornello, per me era un po' come dire: “Se queste cose piaceranno a lei allora vuol dire che la strada è quella giusta”.

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Recentemente hai fatto un video al Leoncavallo davanti al murales fatto da Chuck D quando i Public Enemy suonarono lì nel 1999. Tu c'eri? Posti così ora che ruolo dovrebbero avere?

Non sono stato al concerto dei Public Enemy al Leoncavallo nel '99, ma credo di esserci stato in quegli anni con il progetto Neffa e i messaggeri, o ai tempi di 107 elementi. I centri sociali sono stati fondamentali per me, sia dal punto di vista artistico che umano. Non sono mai stato in grado di avere rapporti meccanici, se c'è una brutta atmosfera quando si fa un album fermo tutto. Per questo mi sono trovato spesso a lavorare da solo in una certa fase, perché ero certo della della sacralità della cosa. Queste sono tutte questioni che io ho imparato crescendo all'interno di alcune realtà. Il modello dei centri sociali riflette sempre la sanità di una società, per quanto insana. Sono un segno di salute ed è importantissimo che siano una realtà nelle città e fonte di ispirazione per quanto riguarda le modalità di aggregazione e di creazione, anche, di collettivi che fanno arte.

Qual è la tua traccia preferita del disco?

Questo album corre su due binari: il primo è personale e riguarda il grado di verità e di urgenza che doveva esserci nell’album perché io potessi pensare di tornare a fare un album di rap. Volevo che fosse credibile a chi sente, dal punto di vista dell'ispirazione, dell'energia, della verità e ho cercato di fare questo sempre usando un metodo basato, molto, sull'improvvisazione. In questo senso, devo dire che ritengo di aver avuto successo. Dove non potevo prevedere che le cose andassero così bene era la questione del grado di coinvolgimento dei featuring. Invece è una questione che credo si avverta nell'ascolto di questo disco quando si sente. 

Come concludiamo?

Per concludere ti dico che non mi piace usare la parola "lavorare" quando si parla della musica, preferisco giocare, ma per una volta ti voglio dire che io non lavoro per avere una traccia preferita ma lavoro sempre per evitare di avere una traccia spreferita. Non è possibile che ci sia qualcosa che non mi piace, quindi il mio obiettivo è non avere una traccia spreferita e lo puoi proprio scrivere così: traccia spreferita.

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L'articolo Neffa: "Amerò per sempre i Sangue Misto, ma nessuno è fatto per rimanere fermo" di Andrea Cegna è apparso su Rockit.it il 2025-04-22 10:05:00

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