Neffa non è un artista generazionale: il racconto del live al Forum

All’Unipol Forum abbiamo assistito a uno dei concerti più belli degli ultimi tempi: uno show che non appartiene a nessuno, ma mette d’accordo tutti. Le nostre foto e il nostro report

Neffa al Forum di Assago - tutte le foto Starfooker per Rockit
Neffa al Forum di Assago - tutte le foto Starfooker per Rockit

Ho aperto i nuovi motori di ricerca collegati a Internet e ho cercato un’espressione che, quando la leggo, mi provoca spesso fastidio, mentre quando la scrivo mi fa sentire una persona estremamente importante: “artista generazionale”.
In pochi secondi ho scoperto che, in realtà, artista generazionale non significa poi granché. C’è un thread interessante su uno di quei siti di discussione globale americani, dove alcune persone cercano di dare una risposta alla domanda: “Cosa significa generazionale?”. Ma alla fine non arrivano a una sintesi soddisfacente: c’è chi dice che sia un artista “una volta nella vita”, di quelli che capitano raramente; chi sostiene che sia “la voce di una generazione”; e chi invece lo definisce come un artista talmente influente da plasmare un’intera epoca attraverso la sua musica. La sintesi, però, è che artista generazionale non significa davvero nulla — è solo un’espressione perfetta per i titoli.

Forum di Assago, o Unipol Forum, chiamatelo come volete oggi, in attesa di come si chiamerà domani. Milano. Sul palco c’è Neffa. Fuori, una coda di macchine infinita; parcheggi tutti sold out.Dentro, in tutta sincerità, non ho mai visto così tante persone. Mi sono chiesto se fosse un’impressione visiva — dovuta ai piumini da rapper, quelli lunghi che andavano di moda a fine anni ’90 e qui presenti in abbondanza e trasversalmente — oppure se dipendesse dal fatto che la prevalenza di pubblico “del mestiere” si notava eccome, soprattutto quando, in fila al bar, bisognava mettersi buoni e tranquilli perché molti erano addetti ai lavori. Non come nella maggior parte dei concerti qui dentro, dove al bar non ci passa quasi nessuno.

Insomma, poi la musica. Il concerto parte puntuale: il palco è sviluppato in orizzontale, con uno schermo sopra che permette di vedere tutto anche da lontano, o da dietro qualche altro essere umano.

È il ritorno del guaglione sulla traccia
Il tipico stile del mistico chico sul ritmico boom-cha

Inizia così, in un palazzetto assetato di brani che sono stati colonna sonora di giornate belle e di giornate di merda, ma anche di giornate normali, di quelle che scorrevano via senza nulla da ricordare. Jake La Furia è il primo di una lunghissima lista di ospiti, attesi anche per via del disco Canerandagio, che vanta oltre 21 collaborazioni.

Stasera a Milano sul palco si sfila. La prima parte del live si muove tra metriche old school, con l’arrivo di Frah Quintale, ma soprattutto con Kaos a chiudere il blocco. E lì viene spontaneo chiedersi: che valore ha oggi Kaos One per un giovanissimo presente qui? Un pubblico giovane c’è — quello che mi aspetterei di vedere a un concerto di Simba La Rue, per intenderci — e proprio per questo mi domando: sono qui perché Neffa è l’artista che ha cambiato un po’ gli scenari della musica in Italia? Perché, in fondo, ci ha fatto capire che si può fare rap in Italia senza essere la copia sbiadita dell’America? Oppure sono qui perché ci sono molti featuring, o magari perché l’amico lavora nella sicurezza e valeva la pena farsi un salto?

Io vado al bar, perché questo show è fatto esattamente per permettere alle persone di andarci: in fila, spensierate, serene, ma con gli occhi sempre aperti. Ci sono persone abituate ai live club, alle file congestionate, e quindi oggi non si salta nemmeno un passaggio. Mi colpiscono un paio di ragazze estremamente giovani. All’inizio penso a loro come a due delle tante artiste che saliranno sul palco, e invece corrono dentro sulle note di “Prima di andare via”, una delle canzoni di Neffa nella sua versione più pop. Forse, mentre scrivo, mi accorgo che la prima canzone di Neffa che ricordo davvero è proprio questa: avevo poco più di dieci anni, la ascoltavo nei canali televisivi che trasmettevano musica in continuazione, e ricordo perfettamente il videoclip.

Le ragazze di prima, giovanissime e innamorate del brano, cantano a squarciagola. Parte uno strano effetto karaoke — o meglio, una specie di canto collettivo: una parte la fa Neffa sul palco, una parte i cori, e poi il pubblico. Cambierà // il mondo nuovo // molto calmo - chiudono un poker pop condiviso anche da quelli che hanno il piumino, le Timberland, lo sguardo scavato e il cappellino al contrario. Quelli che ormai hanno superato i quarant’anni ma non si sono ancora arresi. Quelli del “frà, oh frà”, venuti per ascoltare il papà del rap italiano, non per cantare la sua fase più commerciale. Eppure si sciolgono. E anch’io con loro. Non dico che ci intendiamo, perché loro comunque ti guardano sempre un po’ di traverso, ma i nostri rapporti di momentanea convivenza non vanno poi così male.

Neffa sul palco regge colpo su colpo: passa dal fare rap al condurre la serata, fino a cantare insieme a queste persone. Perché, alla fine, più che l’utilizzo scontato di quell’orrendo termine “generazionale”, questa sera Neffa mi fa capire che lui ha semplicemente accompagnato diverse persone in varie fasi, con musiche diverse per storie diverse. Ma alla fine, qui ci siamo tutti: da quelli che ascoltavano il Giovanni cantante insieme ai propri genitori, a quelli che erano in prima linea a metà anni ’90. Il rischio nostalgia, in una situazione del genere, è sempre dietro l’angolo. Ma poi arriva Izi, che è giovane e non è conosciutissimo qui tra noi; subito dopo sale sul palco Franco126, e parte una bella sequenza di ospiti, uno dopo l’altro: Guè, Francesca Michielin, Ele A, Coez, J-Ax, Nayt. Qualcuno è stato molto bravo, qualcun altro si poteva evitare. Succede anche questo quando cerchi di portare tutto il mondo di Giovanni sul palco, in una serata di celebrazione.

Neffa, o Giovanni — non saprei bene come chiamarlo. Per me, prima ancora che una delle colonne fondamentali della cultura rap in Italia, è stato un cantante con uno stile tutto suo, tipico dei primi anni Duemila. Avevo dieci anni e non seguivo la cultura hip hop; avevo dieci anni e probabilmente non sapevo nemmeno cosa fosse una “generazione”, né il rap. Le mie giornate erano semplici: scuola, sport, amici, televisione, giochi. Non c’erano ancora pensieri complessi su niente: il cervello era settato su poche cose, tutte molto semplici.

In questo continuo ritorno di sensazioni e persone, tra un sentimento generale di malinconia e quello sguardo nostalgico sulle cose, Neffa rimane un punto fermo, sempre fedele a se stesso, ma capace di interpretare la musica in modi diversi. È ancora credibile oggi nel fare rap su quel palco, e non ricordavo nemmeno quanto fosse bravo come intrattenitore puro — fino ad arrivare al momento da cantante, con il pubblico che canta a squarciagola i ritornelli dei suoi pezzi.

Neffa è al centro di un pubblico dalle mille sfaccettature, ma unito da un filo comune: l’aver vissuto e sostenuto tutte le sconfitte elettorali degli ultimi venticinque anni in Italia.
Uno di quei pubblici in cui i giovani cresceranno diventando esattamente come i più grandi — ah, esclusi ovviamente quelli con piumino e Timberland, che sono ancora lì a combattere e non invecchiano mai.

La tripletta di featuring con Joan Thiele, Mahmood e Fabri Fibra nella fase finale del live è pura promo del disco, un tentativo di stimolare sentimenti e nostalgia attraverso il meccanismo più basilare del marketing applicato alla musica nel 2025.
Di solito da queste cose tendo a fuggire, ma ora il pensiero di tornare al parcheggio mi fa paura. Ricevo un messaggio, poi un altro: "Ma come hai fatto a entrare? Volevo venire anche io! La prossima volta prendiamo i biglietti!”

Nonostante il basso utilizzo di telefoni e reporter social, il concerto arriva anche fuori, raggiungendo un pubblico quasi insospettabile. Qui dentro, con Giuliano Palma e Aspettando il sole“è forse la prima volta che la facciamo dal vivo insieme” — si tocca il punto d’incontro capace di mettere d’accordo tutti.

Si canta, fa freddo su Milano, ed è ora di tornare al parcheggio a riprendere la macchina, nella serata in cui ci sono solo automobili che devono uscire da qui. In coda, fermo alla rotonda per uscire, ho chiesto anche all’AI più diffusa e popolare cosa significasse “artista generazionale”. Mi ha dato le stesse risposte che avevo letto all’inizio del forum americano, e le idee mi sono sembrate un po’ confuse e lontane dall’unico punto di vista davvero indiscutibile: Neffa, dopo trent’anni, è ancora qui. Ha attraversato decadi, accompagnato persone; l’ha fatto con collaborazioni, opportunità, rappresentanza — ma soprattutto con le canzoni. E almeno una di queste la conoscono davvero tutti.

Ora, non so cosa scriveranno gli altri —probabilmente l’espressione “generazionale” sarà già ben indicizzata su vari siti — ma noi vi diciamo che ci sono molti motivi validi per andare a vederlo dal vivo, ed è questa l’unica cosa che conta.
Il resto sono solo cazzate.

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L'articolo Neffa non è un artista generazionale: il racconto del live al Forum di Teo Filippo Cremonini è apparso su Rockit.it il 2025-11-06 08:03:00

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