La Niña e Franco Ricciardi: Napoli è anima e corpo

Nel singolo "Tu" duettano il "maestro" e la nuova voce di una città unica, fieramente a sé eppure aperta al mondo. Una chiacchierata con i due per capire come riconoscere un napoletano in mezzo a milioni di persone e dove andrà il suono del Golfo in futuro

Franco Ricciardi e La Niña, foto Maria Clara Macrì
Franco Ricciardi e La Niña, foto Maria Clara Macrì

Napoli, 2021. La Niña e Franco Ricciardi, due voci generazionali della canzone napoletana che si uniscono nel singolo Tu, un ibrido tra tradizione, musica latina, modernità reggaeton che simboleggia idealmente l'unione di due facce di Napoli: quella che trae spunto dalla musica internazionale, performativa e spirituale di Carola Moccia e quella popolare e amatissima di Ricciardi.

La prima ha esordito nel 2019 col suo primo progetto solista culminato nell'ep Eden del 2021, a cui ha fatto seguito il singolo Lassame sta' con Gemitaiz, fino alla collaborazione con Franco Ricciardi che l'ha riportata alle radici. Radici che sono il secondo nome di Franco Ricciardi: nato a Secondigliano nel 1966 con una carriera che da neomelodico l'ha portato a diventare attore e cantante pluri premiato (2 David di Donatello per A verità tratta da Song'e Napule dei Manetti Bros., 2014 e Bang Bang dal film Ammore e malavita dei Manetti Bros., 2018, in cui interpreta il boss Gennaro, per cui ha vinto anche il Nastro d'Argento). Ha partecipato alla colonna sonora della serie tv Gomorra e spesso, per la sua contaminazione musicale, è stato definito un proto Liberato (ma ci arriveremo e mai definizione fu più riduttiva). 

Un pilastro della nuova canzone napoletana insieme a un'artista che si sta facendo conoscere in tutta Italia per la sua commistione di suoni che da Rosalìa portano a Teresa De Sio: non può che essere un grande incontro. Ho chiamato entrambi in una di quelle telefonate doppie in cui, alla fine, sono stato solo ad ascoltare e ho percepito un legame viscerale tra i due, roba rara nei featuring moderni.  

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Come vi siete trovati per fare questa collaborazione?

F: Non siamo noi a decidere, è la musica che ha deciso di farci incontrare. Decide tutto lei, gli incontri, quando e come vuole uscire. Oggi ha deciso così e io sono umile servitore (ride), sono d'accordo con quello che mi arriva. È stato qualcosa di viscerale, sensazione che adoro. In questo pezzo c'è tutto. Non ho avuto il piacere di scriverlo, ho solo cantato il pensiero di Carola e sono stato pienamente d'accordo, mi ha preso dal primo ascolto. È stato un incontro fantastico.

C: Per me è stato quasi surreale, un sogno, Franco è un mito e nonostante avessi percepito la sua anima bella.  È stato disposto a prestarmi la sua voce per una narrazione nuova, insieme a me che per molte persone sono sconosciuta. È stata una grande sorpresa e una conferma che sto andando nella direzione giusta, ho imparato tantissimo lavorando con Franco: mi ha insegnato a esercitare la spontaneità, lui è in grado di intercettare la semplicità di un messaggio per renderlo universale. È un artista che non pensa mai a se stesso, si rivolge sempre alle persone, è molto altruista. Tutto tranne che facciata, è solo verità.

 

foto di Maria Clara Macrì
foto di Maria Clara Macrì

Franco, tu conoscevi già il progetto La Niña? È una delle poche ragazze con cui hai collaborato in realtà...

F: Sì ho fatto poco con le voci femminili, ma non è stata una mia scelta, sono arrivate più voci maschili. In questo caso mi è arrivata Carola che ritengo una rappresentanza napoletana nel mondo, lei è in the world quando canta, ce l'ha nella voce, nel suo modo di porsi, nella scelta dei suoni. La musica napoletana per me è grande patrimonio culturale e vedere una ragazza giovane così mirata nelle sue cose, attenta al dettaglio, a come si gestisce, merita di avere un'attenzione non solo italiana. Carola ha tutti gli elementi per rappresentare la nuova generazione di cantanti napoletani.

C: Grazie Franco, ne sono felicissima!

Sia nei pezzi che nei video de La Niña c'è una grandissima attenzione alla ricerca musicale ma anche alla coreografia come parte integrante del progetto. Altra cosa più latina o americana che italiana...

F: Il movimento del corpo accompagna il pensiero. Io lo faccio in automatico. Noi napoletani quando parliamo gesticoliamo sempre, raccontiamo muovendo le mani e da lontano a chi ci vede sembra che stiamo facendo una coreografia. Un napoletano lo riconosco in mezzo a una folla senza sentire che parla, solo dal movimento del corpo.

Carola, dai commenti del video mi sembra ti sia fatta conoscere dal cuore di Napoli grazie a questo pezzo, no? 

C: Tutti commenti positivi tranne "La Shakira dei poverissimi". Ahahah!

F: Ma che dici? Non l'ho letta 'sta cosa! Vabbè lo andiamo a combaciare con quello di ieri sera: un bambino di cinque anni che ti canta la canzone uguale. Io adoro i bambini e i vecchi, i primi non hanno la cazzimma, i secondi la perdono e si somigliano, sono senza filtro, ti dicono le cose come stanno. 

C: Non era scontato che piacessi, la prima parte della canzone la canto io e chi non mi conosce si deve accollare me prima di lui. Sono stata molto contenta che se lo siano accollato con piacere, mi hanno scritto tante ragazze e tante donne, cosa che mi rende molto felice. Io lavoro sempre a migliorarmi e ho bisogno di conferme, quindi capisco che siamo sulla strada giusta. 

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Ci vuoi parlare del testo, di questa sovversione del rapporto uomo-donna?

C: Ho sempre pensato che un qualunque rapporto, sia esso d'amore, di madre e figlio, di amanti, di fratellanza, debba essere sempre paritario e penso che l'amore sia essere sullo stesso piano per diventare una cosa sola. Nel momento in cui c'è uno squilibrio, c'è pietismo o ostinazione nello stare in una situazione tossica, le persone si fanno del male e la donna è in grado di ferire l'uomo esattamente come il contrario. Questo è il senso del pezzo: nel fallimento di una storia d'amore siamo entrambi colpevoli, non è automatico che la donna sia la parte lesa solo perché considerata per secoli il "sesso debole". Ho scritto il testo in tre minuti, venuto di getto, poi rileggendolo ci ho trovato tutte le facce di una storia d'amore, che è fatta anche d'incazzature, di speranza, di malinconia e rabbia. L'importante è mettersi sullo stesso piano dell'altro.

Negli ultimi dieci anni la canzone napoletana da nicchia provinciale s'è presa tutta Italia. Quanto è cambiata la scena e l'attenzione del pubblico? 

F: Cambiatissima, quello che ha aiutato l'arte in genere è stata la rete: ha tolto alcune cose, ma ne ha date molte di più. Ha messo a disposizione una finestra per tutti, senza filtri o vincoli. Fino a poco tempo fa c'era ancora pregiudizio per quanto riguarda il dialetto, però ora che sono diventato più grande e responsabile, penso solo che per arrivare alla gente devi essere vero, la musica è qualcosa di autentico, arriva sulla pelle e se sei vero la gente lo avverte. Io ho deciso da quattro o cinque anni di cantare solo in napoletano. Mi va di esprimermi così perché arrivo meglio nel mio dialetto, nei miei dischi non ci sono più canzoni in italiano, per portare avanti la bellezza della nostra musica che stava un po' dimenticata dalle nuove generazioni. Oggi, grazie anche alla rete, si scoprono talenti giovani che vogliono portare avanti la musica napoletana. La musica non ha limiti di linguaggio, la sua bellezza può stare pure in una frase in inglese che non capisci ma che ne comprendi l'emozione. Io compongo, quindi creo la musica, per i testi a volte scrivo io, a volte lascio fare ad altri, quindi per me tutto sta nella musica. Oggi la musica napoletana è vista con un altro occhio e non può che darmi gioia.

C: Sì, poi la musica napoletana torna di moda a cicli storici, poi scompare e ritorna. Questa riscoperta delle radici spero non sia temporanea, perché saccheggiare la tradizione è una cosa, omaggiarla è un'altra. Non mi piace chi ruba ma chi omaggia, chi rispetta la tradizione. È una cosa su cui si deve faticare e mollare non è da prendere in considerazione. Per me la tradizione è eterna, le radici sono più di quanto vicino al futuro c'è per me, e se vuoi vedere il domani devi voltarti indietro, altrimenti non capirai niente.

F: Sei forte, quanto sei forte...

C: (ride)

F: Io sento da te queste cose e mi riempio d'orgoglio per le nuove generazioni. È come un palazzo, se hai i pilastri fatto bene, il palazzo non cadrà mai e in nostri pilastri sono le radici. Se le curiamo rimarranno sempre forti. 

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Per introdurre Franco Ricciardi alle nuove generazioni, spesso si usa Liberato: "se ti piace lui, vatti ad ascoltare quello che ha dato origine a tutto". Ti fa piacere o ti dà fastidio questa cosa?

F: Mi fa solo piacere, ben venga il personaggio che fa da apripista a questo mondo. Non amo essere il primo o il promotore, siamo tutti su questo grande percorso della musica napoletana, non amo le competizioni, quando mi dicono "Sei il numero uno!", rispondo: "No, meglio il numero cinque!". Quando ti senti arrivato è la fine, non voglio mai essere visto come Maestro, voglio essere alunno. Posso essere stato maestro di qualcuno, ma a livello inconsapevole. Se sei consapevole di ciò, sei ingabbiato non vuoi più crescere nella vita.

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Non trovo migliore occasione per chiedere a due esponenti di generazioni diverse, per me che non sono delle vostre parti, di semplificarmi il significato di napoletanità...

F: La napoletanità è l'amare la cultura e il modo di pensare, di porsi, di ragionare dei napoletani. Non è un fatto di campanilismo, io amo la razza umana. Questo però è un modo di vedere le cose e di porsi con l'altro che tengo, la mia napoletanità. Poi la signora dall'altra parte darà ulteriori notizie e informazioni (ride), lei sta tutta presa, io ho fatto la scuola della strada, la old school. Le collaborazioni sono anche questo!

C: (ride) Assolutamente sì! Non è un argomento semplice, sono stati scritti libri sulla napoletanità, ma quando Franco dice che è un'attitudine, è vero. Chiunque può diventare napoletano, Napoli è una città che accoglie ed è capace di plasmarsi su di te e di plasmarti a sua immagine. Accoglierebbe anche gli alieni, è un fatto culturale. È un po' come dire definisci il rock: è un'attitudine, un modo di vivere. Se dici "Sono rock", non lo sei, sei tutto il contrario. È saper vivere la vita accettandola per quello che è, Napoli è una città che t'insegna a rassegnarti, non ci sta niente da fare. Si può imparare molto da questo fatto, a prendere tutto ciò che di buono la vita ti dà. 

F: Un vecchio proverbio dice: non puoi impedire agli uccelli di volare su di te, ma puoi impedire a essi di farsi il nido. Se riesci a mettere in atto questa massima, la tua vita cambia radicalmente, perché qualunque problema tu abbia, che ci pensi o meno, ce l'hai sempre. L'unica cosa che puoi fare, sgombrare la mente e non farne un pensiero fisso, così sarai più libero con la mente e potrai risolverlo.

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L'articolo La Niña e Franco Ricciardi: Napoli è anima e corpo di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-07-30 10:54:00

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