Così come l’ultimo bicchiere: Niccolò Fabi al Palalottomatica

L'annunciato ultimo concerto di Niccolò Fabi prima di una lunga pausa è stato come bere un ultimo bicchiere con un vecchio amico

Tutte le foto sono di Simone Cecchetti
Tutte le foto sono di Simone Cecchetti - www.simonececchetti.com

Nelle locande dell’Ottocento, dopo aver dato sfogo alla sete e aver inseguito qualche giarrettiera, i viandanti romantici si preparavano al viaggio con un ultimo bicchiere, quello ‘della staffa’, perché lo bevevano già pronti per montare a cavallo. One for the road! dicevano, prima di allontanarsi. Certo il Palalottomatica di Roma non è una locanda ottocentesca, per quanto le coperture rosse in alto rendano più vellutata l’impersonalità di spalti e ringhiere. Niccolò Fabi invece somiglia a un viandante romantico, ma al posto del cavallo imbraccia una chitarra. Quello del 26 novembre è un concerto della staffa, l’ultimo prima di allontanarsi e lasciare che tutto si sedimenti. Senza venature tragiche, per volere e ammissione di chi la serata l’ha pensata così, con uno spruzzo di melanconia (figlia di vitalità e sentimento) per chi la serata certamente se la immaginava così: una festa, e non un commiato.



Non un’auto-retrospettiva ma una raccolta di canzoni importanti per chi le ha scritte, da offrire, come un bicchiere della staffa (e un bicchiere offerto non si rifiuta mai), a chi le ha ascoltate e le ascolta ancora. Spettacoli così, a prescindere dalla necessità di costruirli per mettere un punto e andare a capo, rendono alle canzoni il loro tempo verticale, generato dall’unione di melodie e storie autentiche. Spettacoli così, a prescindere dall’intimismo, servono a stingere l’immagine del cantautore solo et pensoso, rendendo alle canzoni la loro coralità.
Per raccontare vent’anni in tre ore Fabi si affida agli amici, quelli nuovi e quelli datati, tutti assieme a ricordarsi la strada percorsa. Si racconta omaggiando i suoi musicisti, e ricostruisce le sue band, rendendo forse manifesta la necessità del repulisti messo in atto nell’ultimo disco: dalla compagnia torinese composta dal cantautore Alberto Bianco, Filippo Cornaglia, Damir Nefat e Matteo Giai, con cui ha condiviso il tour di “Una somma di piccole cose”, ai primi sodali Danilo Pao, Lorenzo Feliciati, Aidan Zammit, Massimo Cusato e Agostino Marangolo, fino al Gnu Quartet e alla banda di “Solo un uomo” composta dai cantautori Roberto Angelini e Pier Cortese, Andrea Di Cesare, Fabio Rondanini, Daniele Rossi e Gabriele Lazzarotti. Sul palco del Palalottomatica si intravede la Roma a metà tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, quella de Il locale e delle prime canzoni, delle prime registrazioni. Certo, l’abito non fa il monaco, soprattutto perché le canzoni di Fabi reggono l’urto e anzi si fanno ancor più struggenti nella loro forma nuda. Ma in questo caso, per chi la serata l’ha pensata, era giusto aprire l’armadio e sfogliare il guardaroba. Dinamismo e raffinatezza forse descrivono bene i cambi palco e le esecuzioni, portate in gondola dagli orpelli vocali di questo «cantautore di nicchia» che in vent’anni ha raggiunto lo zenit, meritandosi la libertà.

Le canzoni, soprattutto quelle che non nascono per occasioni mercantili ma sono figlie di una poetica, aderiscono alla vita. In una serata così, piena di amore per la grandezza della musica, le parole servono meno e Niccolò Fabi le centellina. Qualche «grazie» sentito, qualche battuta sulla portata emotiva della serata (altissima fin dall’inizio) e poco altro. In due soli momenti si ferma per incorniciare meglio le istantanee, di colore opposto, da cui sono nate “Ecco” («la più difficile da scrivere») e “Le chiavi di casa” («la canzone più facile»), due storie raccontate non per affrancarsene, ma per sottrarle a una quotidianità non sempre memorabile. A volte però le parole nemmeno bastano, e le immagini delle canzoni prendono vita sugli schermi ai lati del palco, in cui mette tutto quello che lo riguarda, come Medici con l’Africa CUAMM e Le parole di Lulù.



Una serata così somiglia più a una confessione, a una svestizione. Come a dire «io sono riuscito ad arrivare fin qui, e mi basta». Il peso a un certo punto aumenta fino all’insostenibilità, e ci vuole una canzone che aiuti a squagliarlo. Non a caso “Il primo della lista”, scritta ai tempi di “Ecco” e forse eseguita per la prima volta davanti a così tante persone dopo la pubblicazione in “Diventi inventi”, si trova esattamente un momento dopo quel sospiro lontano dal microfono. Quel verso «se i primi mollano mi spieghi gli ultimi come fanno?», con quell’acuto sull’ultima sillaba della parola “ultimi” che è come un grido soffocato, appoggia la lama calda sulla carne già ammorbidita da “Costruire”, da “Attesa e inaspettata”, da “Solo un uomo”, da “La promessa”, da “Offeso” in duetto con Fiorella Mannoia.

Se ogni cantante ha il pubblico che si merita, quello di Niccolò Fabi è un pubblico attento, che quando è necessario ascolta in silenzio. Un pubblico che lo ringrazia con migliaia di cartoncini issati mentre impazza “Lasciarsi un giorno a Roma”, «canzone conclusiva» per definizione suonata con chi quel riff l’ha inventato, Daniele Sinigallia. Inevitabile la commozione, strozzata in un «che meraviglia che siete». Inevitabile aggrapparsi agli amici di una vita, quelli con cui puoi permetterti sempre di cazzeggiare, a prescindere che ti trovi su un palco o al bar. Sul palco, ma come fossero al bar, Max Gazzè (in tuta perché ha dimenticato i suoi vestiti «interessanti» sul divano) e Daniele Silvestri si allineano all’amico per rinverdire il proficuo sodalizio da cui era nato “Il padrone della festa”.



Certo, ogni disco è l’ultimo per definizione, ogni concerto è l’ultimo per antonomasia. Nel corso della sua carriera Niccolò Fabi è sempre stato chiaro in questo. Ha sempre aspettato di avere qualcosa da dire, per dirla. Adesso mettiamo un segno, così da ricordarci a che punto della storia avevamo allontanato lo sguardo, senza timore di dimenticare tutto, senza scaricare responsabilità. E con la consapevolezza che così forse riusciremo a vedere meglio tutto. “Lontano da me”, che chiude lo spettacolo, assume questo enorme significato: allontanarsi dai pesi e dai dolori per ridimensionarli. «Così come l’ultimo bicchiere, l’ultima visione» il concerto della staffa di Niccolò Fabi è stato lungo e gustoso. Sarebbe bello se diventasse un disco live, ma forse chi l’ha pensata non se l’era immaginata così. One for the road!

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L'articolo Così come l’ultimo bicchiere: Niccolò Fabi al Palalottomatica di DanieleSidonio è apparso su Rockit.it il 2017-11-26 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • utente40280 7 anni fa Rispondi

    Grande come sempre, una profondità che si coglie sempre nella sua interpretazione delle sue canzoni, un viaggio da Como a Roma per uno strepitoso concerto con tantissimi ospiti musicisti. E' stato bellissimo.

  • giocas 7 anni fa Rispondi

    Straordinario concerto, al quale ho avuto l'onore di assistere.
    #GrazieNiccolò !!