"Noi che a ogni concerto facciamo il disastro": la scena hardcore punk si mette in posa

Gente appesa alle americane, altra che finisce sugli alberi, gare di Beyblade, pogo coreografico. È la scena punk hardcore italiana, viva e unita più che mai, che ora è diventata un libro fotografico: "Chaos is Us" di Luca Secchi

Tutte le foto, tranne il ritratto di Luca Secchi, sono tratte dalle pagine di "Chaos is Us"
Tutte le foto, tranne il ritratto di Luca Secchi, sono tratte dalle pagine di "Chaos is Us"

Il concetto di famiglia è una delle fondamenta su cui si basa, da quasi cinquant'anni a oggi, la stessa idea di punk rock nel mondo. Chiamatela crew, chiamatela brotherhood, chiamatela comradeship o chiamatela come vi pare ma il concetto non cambia. Il punk da che è nato è da sempre intento nella sua personale ricerca di una famiglia altra, oltre la famiglia biologica, in alcuni casi migliore, dando un'occhiata alle famiglie e all'ambiente di provenienza, dove non ne possono più di sottostare a dei mostri, o magari di abitare in mezzo al nulla, in posti che hanno soltanto droga, amari e videopoker.

Ma, al di là della narrazione romanzata che ha fatto storia e ha anche dato spunti a decine di film, da Suburbia a This Is England, nel 2024 il concetto di famiglia nella comunità punk è anche soltanto un insieme di ragazzi e (sempre più) ragazze che trovano spazzi di aggregazione per sentire la loro musica preferita in un contesto sociale e familiare che fortunatamente non è più lo stesso del 1988, quando il mio amico Fabrizio disse a casa di volersi tagliare i capelli come Billy Idol e si trovò sulla porta della camera un foglio del padre con la scritta “Se ti fai i capelli di quel ****** ti ammazzo”.

Oggi per buona sorte i tempi son cambiati. Alessandra Amoroso si fa la cresta, La Sad conquista un pubblico di pensionati come tre bravi boy-scout o più prosaicamente i genitori adesso siamo io e i miei amici, che non disdegnano affatto portare i loro pargoli ai concerti ai quali loro stessi vanno o vorrebbero andare, o di dargli una adeguata paghetta per magliette e dischi. Ecco, in questo senso Chaos Is Us, primo libro fotografico di Oni Bakuu, al secolo Luca Secchi, non è solo è il titolo di un album degli Orchid del 1999: è una frase simbolica che, oltre la palese auto-proclamazione e l'auto-identificazione, da un'immagine fissata nel tempo ai certi gruppi e al loro pubblico nella vecchia e nuova scena legata all'underground hardcore italiano, soprattutto quello screamo.

Le foto, contenute in un tomo dalla splendida copertina in tela con inserto in cliché nero lucido e grafica curata da Vittorio Donà, sono state scattate tra il 2022 e il 2024 sia in festival con pochi anni di vita come Life is Strage in Veneto, che eventi ormai conclamati come l'Italian Party di Umbertide. Anche le band fotografate hanno profili e carature molto diverse: si va da vere leggende come Raein e Ojne o i Fine Before You Came a band con pochi anni di vita come i Camelia, i Meo o i Jorelia. L'intento autoriale è spiegato agilmente sulla seconda di copertina dove si spiega come una scena musicale corale come questa sia in primis partecipazione e appartenenza: “È un lavoro di ricerca di concerti, navigando tra pezzi di corpi incastrati, tra sudore,  movimenti convulsi e rumore assordante”, si legge, come un caos che appartiene a persone che si ritengono simili e che si trovano nei luoghi più disparati per sottolinearlo.

La nostra intervista a Oni Bakuu.

Luca Secchi
Luca Secchi

Essendo grandicello oramai posseggo diversi libri fotografici inerenti diverse scene. La prima cosa bella che ho notato in Chaos Is Us è che, a differenza di libri analoghi che promettono di trattare un genere e finiscono per concedersi sempre a libere interpretazioni per dare spazio all'ego dell'autore, il tuo è coerente e in battaglia. È frutto di una precisa idea personale o sei un fotografo specializzato in band di questo genere soltanto?

La mia idea di libro è stata quella di raccontare una storia secondo la mia visione personale di fotografo. Volevo che il libro fosse prima di tutto un racconto tramite il medium fotografico. Certo il soggetto mi sta molto a cuore, ma la cosa che mi premeva di più era dare una mia lettura, che si discostasse da quella nostalgica di tutti i libri punk che vedo in giro, per cui, essendo sempre volti a racconti del passato, tipo i concerti dei Negazione negli anni 80, si finisce sempre per rivestire il prima di una patina dorata di nostalgia. Io volevo invece raccontare il qui e ora della scena hardcore italiana. Insomma andare oltre i mostri sacri dell’hardcore della fine del XX secolo come a dire: ora ci siamo noi e te lo racconto.

Da Chaos is Us
Da Chaos is Us

Il tuo libro, che come dicevo mi piace intendere come una mini-raccolta di un discorso ben più ampio e complesso, ha come titolo Chaos Is Us, che prende uno spunto palese da un disco degli Orchid. È un filo rosso che lega anche tutte le band fotografate o una personale idea di quello che le foto vanno poi a palesare?

Onestamente il libro rimanda agli Orchid perché come band sono i padri di questo genere, quindi un tributo era doveroso, ma volevo andare oltre. Chaos Is Me è un album con testi nichilisti, distruttivi e nietzscheiani, distruzione che rimanda ad una dimensione egoistica: il chaos sono solamente io. Da questa interpretazione ho allargato lo sguardo agli altri, al pubblico: . Questo tipo di musica infatti mi ha attratto perché il pubblico nella maggior parte dei casi fa dei numeri molto più degni attenzione rispetto alle band, e in più c’è una grande dimensione amicale che lega tutti. Il chaos quindi siamo noi, a ogni concerto.

Da Chaos is Us
Da Chaos is Us

All'interno del libro a vista d'occhio sembrano infatti esserci molte più foto del pubblico che degli artisti, com'è nata l'idea insolita di spostare l'ago verso l'audience invece delle band?

Come ti accennavo, posso dirti che il pubblico a questi concerti fa delle vere follie: si appende alle americane, poga in maniera stilosa e coreografata, si fa fare crowd-surfing a 6 persone insieme, si fa aprire il pit per poi lanciarci i Beyblade, finisce sugli alberi. Insomma questo pubblico è ben diverso dagli altri tipi ci pubblico ed è ben cosciente di come si poga e di come si sta ad un concerto. Tanto che ad ogni data sembrano volere alzare sempre di più l’asticella. Potrebbe sembrare un volere fare i deficienti ma è un volere fare i deficienti che ogni volta mi fa emozionare. Se con gli amici infatti, almeno per me, si riesce a fare i deficienti ed escono anche della foto iconiche allora siamo proprio in paradiso.

Da Chaos is Us
Da Chaos is Us

Alcune delle persone ritratte sono facce (a loro modo) note della scena, volti di mille concerti e altrettante emozioni che trovo giusto e anche semplice fotografare, ma gli altri? Come si fa a cogliere l'attimo in un contesto di per sé caotico, come un'adunanza hardcore, oltrepassando anche il fisiologico imbarazzo del non conoscersi?

Non ti nascondo che quando ho incominciato nel 2022 avevo una paura fottuta di venire menato, ma idolatrando tutta una scuola di fotografi “rompicoglioni” come Martin Parr e Bruce Gilden, che vanno in faccia ai loro soggetti senza chiedere, avevo capito che più o meno dovevo farlo anche io per fare una cosa nuova. Diciamo che ho iniziato progressivamente ad avvicinarmi, un po come quando s’impara a nuotare: dovevo incominciare dove non c’è pericolo di affogare. Man mano ho capito che la gente è sempre molto tranquilla e che ci sono modi per rompere le palle senza farsi odiare. In questo modo sono diventato amico di tutti nel giro di un annetto e li la paura è più o meno passata, anche se non ti nascondo che ad ogni venue nuova ho sempre un po' di strizza. Dopo molte mazzate, però, ho una grande senso di realizzazione perché sento di aver raccontato una cosa stranota e iper-rappresentata in una maniera molto unica e personale, uscendo dagli stereotipi del genere.

Da Chaos is Us
Da Chaos is Us

Un tempo al mondo i fotografi da concerti erano quattro in croce. Ok, magari non quattro, ma nel punk sapevi che c'era Roberta Bayley, Eddy Colver, Bob Gruen e sapevi che andavi sul sicuro. Oggi che fotografa pure mia nonna a ottant'anni, com’è cambiato secondo te il modo che ha il pubblico di percepire un ritratto di un concerto e quali skills per te bisogna avere per arrivare a non essere uno tra tanti?

Oggi fare una foto bella è molto facile. Un altro paio di maniche è fare una foto significativa, che comunichi, che colpisca, insomma quello che Roland Barthes chiamava punctum. Io problemi di questo tipo me li faccio su base quotidiana, per cui la mia necessità ad un certo punto è diventata “come posso fare capire ad uno che non è mai venuto ad un concerto hardcore non solo come sia un concerto hardcore ma anche cosa significhi?”. La mia risposta sono stati i grandangoli e il flash sparato, il bianco e nero, i tempi lunghi e non avere paura a stare ad 1 cm dal pubblico. È solo cosi che si distruggono le forme precostituite e si crea la novità e il dialogo.

Da Chaos is Us
Da Chaos is Us

Spero di non passare per stronzo ma la domanda viene da sé, la scelta di scattare in bianco e nero è al contempo una scelta classica, non ci piove, ma nel dinamismo del concerto e anche spesso una scelta paracula che va avanti dalla notte dei tempi. Un tempo supportata anche da una carta stampata musicale che era essa stessa in bianco e nero, oggi invece no. Spieghiamo una volta per tutte come mai bianco e nero sì e colore no?

Colore vs bianco e nero è una questione su cui rifletto da prima di iniziare a fare le foto. Non ho una risposta definitiva ma posso offrirti alcune delle mie momentanee conclusioni: quando tu sottrai un elemento da un insieme, quello che resta assume maggior valore. Togliendo il colore, ci si concentra di più sulle forme e sui contrasti. Non a caso Bruce Gilden scattava il suo pogo, ovvero la folla newyorkese, in bianco e nero proprio perché voleva dare spazio alle espressioni dei soggetti, alle forme e alle azioni. Togliendo il colore, tutte queste cose vengono pompate e solo così ha veramente una foto che buca lo schermo e di cui puoi percepire ogni dettaglio e ogni gocciolina di sudore.

Oltre una tua spiccata predisposizione per i soggetti singoli, quando però è spuntata la foto di Jacopo dei FBYC con il pubblico l'effetto corale mi è sembrato estremamente pittorico, tanto da riportandomi alla mente la Presa della Bastiglia di Charles Thevenin e Convito di Absalon, capolavoro di Niccolò Tornioli. Quanto il discorso artistico si fonde con quello musicale nella tua idea di fotografia o a te, come direbbe Banksy, sei là solo per la violenza?

Io prima che un fan dell’hardcore sono un fotografo, per cui la mia necessità principale è tradurre quello che vedo e quello che sento in una foto, con tutti i limiti che questo medium ha. Le foto non devono essere per forza belle o avere un'atmosfera epica, ma devono comunicare quello che sentivo io nella mia testa in quell’istante. Per fare quella foto di Jacopo ero davvero a 10 cm dalla scena, e come sovente accade, scattavo senza guardare, perché nel delirio devi prima di tutto stare attento che non ti spacchino la testa o peggio la macchina. Le foto sono il momento carnale, di azione, di sangue e di sostanza. Nella fase di editing invece si arrivano la riflessione, il pensione la mente e la sostanza. E’ cosi che mi sono proposto di fotografare il punk.

Ho letto che la fotografia erotica abbia influenzato il tuo stile attuale, ce ne vuoi parlare?

Sono diventato fotografo dopo aver fatto da assistente alla regia per un documentario sulla malavita a Milano negli anni 80. Sui set ho conosciuto molti fotografi, e uno di questi, Luca Matarazzo, aveva e ha un progetto erotico di nome Eromata, che si compone di fotografia tutta flashata. Luca un giorno mi ha sbloccato il flash della minuscola macchina fotografica che possedevo e mi ha cambiato la vita. Ho pensato che fosse davvero una figata usare il flash, e da lì anche io mi ero messo a fare fotografia erotica per un periodo, poi il punk ha preso il sopravvento ed eccomi qui. Se volete beccarvi una foto davvero bella vi consiglio il numero 3 di Badseed Magazine, una rivista porno curata proprio da Luca Matarazzo, in cui c’è una mia foto di cui vado molto fiero con soggetto la cara Alice Genzai. Dico solo che il tema del numero era il pissing.

C'è un episodio particolarmente curioso o divertente che ti è capitato fotografando?

Esiste nel mio feed una foto fatta ad un concerto all’Ink Club di Bergamo con Jorelia, Rescue Cat e Thorn in cui sono riuscito a fotografe il preciso istante in cui mi è arrivato un calcio sull'ottica della macchina fotografica, per poi farmela cadere rovinosamente a terra. È una delle foto di cui vado più fiero, perché nel mio piccolo, mi sembra di avere colto quello che altrimenti sarebbe stato irrappresentabile. Poi ovviamente mi hanno chiesto mille volte scusa ma onestamente sapevo che non sarebbe stata né la prima né l'ultima volta in cui mi avrebbero preso a mazzate la macchina fotografica. Guardando lo scatto posso tranquillamente dire che ne è valsa la pena. Quella volta, come tante altre, il disastro siamo stati noi e questa è la cosa che spero rimanga per sempre.

Da Chaos is Us
Da Chaos is Us

Prossimo concerto che vedrai?

Essendo il VEHC una grande vetrina per noi ragazzi dello screamo, quest'anno sarò presente! E poi dopo ci saranno i grandi appuntamenti estivi: Life is Strage a Selva di Trissino, Italian Party e Alle Foglie a Parma.

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L'articolo "Noi che a ogni concerto facciamo il disastro": la scena hardcore punk si mette in posa di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-05-15 12:52:00

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