Non c'è un'altra città come Padova per la musica italiana

La storia del "Bacchiglionebeat" e di una scena unica, che dal prog degli Eneide al punk dei Moravagine, fino ai nomi di oggi, incarna tutto ciò che è vero e l'underground

I ragazzi dai capelli verdi
I ragazzi dai capelli verdi

Curioso destino quello della città di Padova: a questa piccola e periferica provincia italiana – poco più di duecentomila abitanti per due milioni di vigneti, assieme alle note galline, autentico simbolo locale – frotte (si fa per dire...) di underground rockers guardano come all'ultimo baluardo della musica suonata e delle grandi dilatazioni che essa comporta, i cui paladini (non si fa per dire questa volta...) portano i nomi di Delfini, Eneide, Hero, oppure in tempi recenti KelvinPetrina e Putiferio.

Eppure c'è una comune consapevolezza, seppur remota, per cui Padova significa prima di tutto rock. Un rock certo a tratti irregolare e perché no audace, casalingo e rigorosamente in bassa fedeltà, ma nondimeno capace di sciorinare lampi d'ingegno, conditi di sfrontatezza pop o, laddove serva, sano approccio punk. Del resto nel sangue padovano scorre l'epopea '80 hardcore dei Link Larm e gli anni '90 dei Moravagine che facevano il verso ai Millencolin, fino a esser traghettati all'avanguardia di Ephel Duath, finiti poi su Earache Records, e alla dance d'alta classifica dei DB Boulevard. Tutta gente che ha lasciato in eredità pochi dischi, ma di quelli buoni per fare nascere e rinascere ancora una (diciamolo pure) “scena padovana”.

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I protagonisti di questa strampalata saga veneta non portano quasi mai nomi e cognomi ben precisi: laddove in altri posti ci sono state singole figure di riferimento, al di là dell'idea stessa di gruppo, a creare un proprio pantheon di iniziatori a un dato movimento (pensate a Freak Antoni a Bologna o Pelù a Firenze, da sempre – volenti o no – al pari e più del proprio gruppo d'appartenenza), le sorti dell'underground patavino sono legate da sempre a nomi collettivi il cui tratto però è stato incisivo quanto basta da protrarre gli effetti di quella formula ben oltre il decennio in cui si è sviluppata, al punto che l'eco della loro idee non può dirsi estinta nemmeno ora.

Pensiamo alla mitologica scena del Bacchiglionebeat, a cui si deve non soltanto la nascita di un suono distintivo, seppure e ovviamente declinato negli anni alle evoluzioni musicali dell'epoca, quanto più alla messa a punto di un'attitudine intera, tremendamente invidiabile  ben al di là dei ridottissimi confini locali. A costo di passare come i boomer della situazione, parliamo della metà dei Sessanta (per qualcuno di voi come dire il Paleozoico). Quando l'ispirazione giungeva dalla Liverpool dei Beatles, la tipica audacia di ogni antesignano che si rispetti fece credere a qualcuno che se lì c'era un “Mersey sound” e un “Merseybeat” per via del fiume Mersey, a Padova poteva pure esserci un “Bacchiglione sound” o, appunto, un “Bacchiglionebeat”.

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Con tanta ingenuità, in men che non si dica la schiera di gruppi che si formò fu ben più che nutrita e andò ben oltre i già citati Delfini. Dai Royals ai Ranger Sound, passando per Puppys, gli Strangers e i Craaash, tutti quanti in cerca di crearsi una fama di infausta e temutissima attrazione (quanto meno) cittadina: il sound è classico beat a grana grossa e decadente, fatto di cover più o meno ricercate e sferzate garage-psichedeliche (da sentire i Diapason) come da apprezzabile moda del '68, mentre le cronache d'epoca dicono del solito corredo di concerti sospesi dall'arrivo delle forze dell'ordine e amplificatori valvolari distrutti.

Poco importa se l'originalità e la perizia musicale fossero peggio che approssimative, e le foto così pittoresche (sebbene ai Ragazzi dai Capelli Verdi si deve un guizzo estetico punk anni prima del punk) oggi fanno sorridere. Per il pubblico di pocopiù-che-adolescenti di allora e per l'imprinting cittadino questa deve esser stata la proverbiale rivelazione: a Padova non c'è spazio per i leader carismatici, veri o presunti, a Padova ci si muove in gruppo. Segnando così un vero punto di rottura, i cui esiti si manifesteranno negli anni a venire secondo i classici crismi della cascata.  

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Come sempre accade, passano gli anni, cambiano le mode e gli stili espressivi ma il sound sulle rive del Bacchiglione non ha mai cessato di esistere. Fermo nel suo ruolo di fomentatore e catalizzatore dei fermenti giovanili locali, come indiretto omaggio a tutti i protagonisti di quell'atavica intuizione o, più in generale, come realizzazione concreta dell'intera scena underground made in Padova, senza per questo intravedervi nessuna sorta di guida spirituale. Il motivo è nella fugace esperienza scena beat: durata una manciata d'anni appena, prima che buona fetta dei suoi componenti inizi a coltivare altri interessi musicali o semplicemente fare altro. Il nuovo decennio, quello dei Settanta, si adagia così più sull'amore per il progressive che su capelli a caschetto, e già nel 1970 gli Eneide nascono come evoluzione del complesso Sensazioni.

I componenti, come spesso succede, sono giovanissimi, con un'età media di 16 anni, eppure già incredibilmente sul pezzo. Il gruppo era sotto contratto con la Trident, ma il suo fallimento li portò a restare soprattutto una live-band di supporto a mostri sacri come Genesis di Nursery Crime e Van Der Graaf Generator di Pawn Hearts (e bisognerà aspettare il 1990 per vedere riesumato quel disco mai uscito). Altra costola prog del fermento beat furono Le Nuvole di Paglia della suite (13 minuti) Strange Road, mentre, tra i vari modelli ripresi dagli altri gruppi, i Jethro Tull erano il sale de Le Impressioni dell'enfant prodige Leonida Ghedini, mentre gli Hero del batterista Umberto Maschio erano più figli delle insolite commistioni dei King Crimson.

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Del resto “Padova, come Bologna, era una città grossa dove accadevano concerti e si organizzavano raduni, una città universitaria e a portata di treno, non è affatto un caso che i giri giusti fossero lì”, come ricordava Marco Pandin, firma di Rockerilla e autore della fanzine Rockgarage. Dal 1982 la si trovava facile al Crash Records, negli anni in cui ai vinili iniziarono a essere sostituite le cassette. Demotape e mix-tape caratterizzeranno buona parte degli anni '80 e '90 a Padova come nel resto d'Italia. Sono anni anarchici, etimologicamente romantici e cazzoni. Gli anni dove si va a fare il “deghejo” al Banale, nel quartiere Portello – neanche a farlo apposta, a pochi passi (eh già..) dalle rive del Bacchiglione.

Gli anni di È Arrivato Ah Pook (1986) e Nessuna Speranza Nessuna Paura (1988) dei Contropotere, nati dai detti Link Larm di Troppo Tardi? (1984) e i campani Elettrokrazia; gli anni dei Frutteti Riarsi di Sentimenti Rubati (1992) in giro (beati loro) con i Negazione e Fugazi; gli anni dei Nerdz (poi Inerdzia) di Io Sarò Odiosa Ma Tu Sei Una Gran Troia ‎(1995); e gli anni dei mitici Antisgammo, degli S/contro, dei Creepshow di Ne Ho Mangiata Una Fetta Sola Mamma, del Gruppo Trasversale, degli Electric Bayons, degli Evol e delle mille mila compilation Disincarnate, spedite da Nicola Costantini in tutta Italia. Walter, all'epoca chitarra con gli Antisgammo e ora boss dell'etichetta Macina Dischi con Anna, lo ricorda come “un periodo di grande aggregazione, sincero affiatamento tra le band anche se suonavano generi diversi, molti concerti nei giardini della gente, pochissimi mezzi ma una grande energia”.  Begli anni, insomma, vissuti come sempre qui in gruppo e belli anche solo per titoli – memorabili, da citare ancora oggi.

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Così i rubinetti si sono aperti e l'acqua esce impetuosa. Se un tempo i concerti si organizzavano nei salotti, come da lezione di Pino degli S-contro/Biba Records, dai 2000 i posti dove suonare nascono e muoiono come funghi. L'Hub e poi Nadir in piazzetta Gasparotto, Gramigna e poi Marzolo, e poi di nuovo Gramigna, il solito Pedro in Via Ticino, il Tube e poi il Plan 9, finché hanno resistito a Limena, il GrindHouse, il Buscaglione in pieno centro. Per non parlare della musica. Solo Walter nel nuovo millennio s'è mosso con almeno tre gruppi degni di nota: Kelvin, Ultrakelvin e i Lodio, con Giulio Ragno Favero del Teatro degli Orrori/One Dimensional Man alla batteria.

Con lui una compagine che dovrebbe essere ripetuta a memoria come si faceva da piccoli con le squadre di calcio. Jennifer Gentle, Putiferio, Speedy Peones - John Woo, Radio Lubjana, Veneto Noise Crew -  Fierce, Antisexy, LorØSant'Antonio Stuntmen e Red Worms Farm (e questi due anche solo per il nome). Va da sé che l'80% non ha che fare con nessuno scoppio sonico-culturale possiate ricordare, e pure il restante 20% non lo troverete nei racconti di una diversa rivoluzione “chiassosa”. Il perché è ovvio: come in ogni altra catalogazione, anche la parola “scena” comprende un universo a sé.

Per questo che gli Orange Car Crash e Petrina, che hanno avuto recensioni di un certo spessore, qui in fondo non stonano a fianco del hip-hop dei North Faces o della trap a km zero di Cogito. Altresì: i First Black Pope, ennesima incarnazione di chi un tempo suono nei Frutteti e che tutto sono meno che pop, o gli Sposa In Alto Mare su Gusto Rana! Records ci stanno ugualmente perfettamente dentro. Perché l'indole resta quella. L'attitudine non cambia. I generi sono solo un'etichettatura snob quando il fine è comune. Come giudicare i libri dalla copertina. E ad ascoltare i Beelzebeat ci si rende conto che è l'approccio rock a funzionare bene, ancora oggi come all'inizio di questa storia. Come dire, tutto torna. Come dire: It's only Bacchiglione but I like it

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5 nomi da tenere sott'occhio 

Mentre il passato della scena padovana somiglia molto, come abbiamo avuto modo di analizzare, a una caccia al tesoro, non per questo meno ricca di sorprese e interessanti soluzioni, la scena odierna vibra e pullula di svariati di nomi. Ci sembra quindi giusto lasciare una brevissima guida ai cinque da tenere sott'occhio, prima che sia troppo tardi.

TALK TO HER

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Riprendono la festa dove l'avevano lasciata gli Editors, ossia sul più bello. Se Tom Smith si mise a scimmiottare Chris Martin, i Talk To Her proseguono con cipiglio attuale il giusto tiro post-punk.

JESSE THE FACCIO

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Progetto che, oltre a unire lo-fi a cantautorato, si vede davvero girare in città. Facendo un sacco di strada – anche come rider – prima di salire su un palco. Simbolismo perfetto di "chi la dura la vince".

IL FULCRO

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Quattro post-adolescenti e uno psichedelic-punk collettivo e vulcanico, figlio più dei King Gizzard che dei Pink Floyd. Tanto ingestibili fuori dal palco quanto incontenibili con gli strumenti in mano. 

WINTER DUST

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Un suono che sa essere onirico e altrettanto concreto, sicuramente emozionante. Anni fa si sarebbe detto subito post-rock o post-hardcore, oggi ci troviamo di fronte a qualcosa di molto più personale. 

POST NEBBIA

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Se l'anno scorso erano impegnati con la maturità, quest'anno sono impegnati con La Tempesta. Fate un po' voi. Quattro adolescenti con Arctic Monkeys su Spotify e gli American Football nel cuore.

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L'articolo Non c'è un'altra città come Padova per la musica italiana di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-04-10 11:37:00

Tag: opinione

COMMENTI (3)

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  • giotex9 4 anni fa Rispondi

    john woo erano veneziani.
    Tutto il giro punk anni 90/00 ...in veneto vicenza a venezia asfaltavano padova 100000 a 0...padova, a parte qualche gruppo, erano troppo hippy!!!

  • alfredo.sgarlato 4 anni fa Rispondi

    Wow che bello ricordare i Link Larm e gli anni dei concerti nei parchi e alla casa dello studente

  • Carlofrontini 4 anni fa Rispondi

    Ma una bella playlist su Spotify Giorgio Moltisanti non ce la fa?