Paolo Schiamazzi è un musicista romano che da tempo vive a Torino. Oltre alla sua militanza nella band Disturbo della quiete pubblica, Paolo ha un progetto solista con cui finora ha pubblicato tre album. Il secondo di questi, intitolato Guasto totale comunicazione, è stato rimosso qualche giorno fa da Spotify - contro la sua volontà - a causa di alcuni ascolti anomali ricevuti dal disco dopo l'inserimento in una finta playlist editoriale. La cosa bizzarra è che la situazione era stata segnalata proprio dallo stesso Paolo, che dopo aver avvisato dell'irregolarità si è trovato a pagarne le conseguenze, nonostante fosse totalmente estraneo alla vicenda. Una situazione a dir poco fastidiosa, che ha già colpito vari musicisti incolpevoli sia dalle nostre parti che all'estero. Paolo ci ha scritto un testo per raccontarci com'è andata.
Ad aprile noto che una delle mie canzoni, Interessante (traccia contenuta nel disco Guasto totale comunicazione di Paolo, ndr), stava ricevendo una quantità insolita di ascolti. Con un semplice controllo mi accorgo che era finita contro la mia volontà in una di quelle playlist fasulle che chi è su Spotify da un po' di tempo ha imparato a conoscere. Aveva uno di quei nomi generici tipo "BEST HITS 2025" e un messaggio promozionale in descrizione. Constatata la situazione, ho fatto quello che faccio sempre in questi casi: segnalare la playlist a Spotify, che la rimuove praticamente il giorno dopo e, qualche ulteriore giorno dopo, sottrae dalla traccia il conto degli ascolti arrivati da quella playlist.
Sembrava tutto risolto fino a che Distrokid (il distributore che uso per portare la mia musica sui servizi di streaming) il 4 giugno mi avverte che il mio disco verrà rimosso da Spotify perché "ha rilevato che la maggior parte delle riproduzioni del tuo brano o di alcuni dei tuoi brani sono artificiali". Avendo già fatto la mia segnalazione come indicato sia da Distrokid che da Spotify non sapevo cos'altro fare, visto che non mi viene fornito nessun modo per dare spiegazioni o appellare la decisione. Il giorno dopo il disco viene rimosso e così arriviamo la parte davvero deprimente, ovvero l'approccio al servizio clienti. Dopo aver insistito con il chatbot robotico, riesco a parlare con un umano, credo, di Spotify che alla mia richiesta di spiegazioni mi rimanda semplicemente al distributore, Distrokid, dicendo che spetta eventualmente a loro rimettermi il disco online.
Sento allora Distrokid, questa volta per mail, che dopo 24 ore mi chiede un codice identificativo della release. Glielo do e dopo altre 24 ore “un addetto” mi manda una mail in cui viene semplicemente copiato il materiale informativo già presente sul sito e in cui mi ammonisce, più volte e in grassetto, contro l'uso di servizi promozionali a pagamento. L'unica soluzione offerta è ricaricare il disco con loro, quindi recuperando i master, artwork e compilando tutte le informazioni; senza certezza - per loro ammissione - che verranno recuperati salvataggi e stream dalla release precedente. Il coronamento di questa esperienza arriva qualche ora dopo, con una mail in cui mi viene richiesto di valutare il loro servizio clienti.
Dopo lo sconforto e l'irritazione, adesso sono nella fase apatica dell'elaborazione e ciò che è più assurdo è che l'accusa di utilizzare dei bot mi sia stata rivolta praticamente solo da bot e sistemi automatizzati. Cercando online è pienissimo di gente che lamenta questo fenomeno. La cosa peggiore è che quello che è un problema di natura informatica non viene risolto come tale, ma addossando il peso e la responsabilità su artisti ed etichette.
E le soluzioni a questo problema informatico ci sarebbero, sia a livello pratico che di metodo: ad esempio, basterebbe dare agli artisti la possibilità di rimuoversi autonomamente da qualsiasi playlist in modo da staccarsi da quelle maligne, potrebbero fare che prima di toglierti il disco te lo “congelino” e ti parlino per darti tempo di capire cosa stia succedendo e porre rimedio alla situazione, o anche semplicemente che dessero peso alle segnalazioni che già è possibile fare e che nel mio caso è stata ignorata.
Per adesso Guasto Totale Comunicazione non è su Spotify e vedo di nascosto l’effetto che fa. La tentazione di togliere tutto il resto c’è. Alle persone che già mi conoscono e mi vogliono bene non cambierebbe nulla, altri modi per ascoltare i miei dischi ci sono. La variabile inquietante e non trascurabile è che la maggior parte di queste persone sono qui perché mi hanno scoperto su Spotify. Il servizio (vastissimo e a basso costo) che offre agli ascoltatori rapportato al disservizio che dà agli artisti crea una competizione involontaria tra i due, dove se gli ascoltatori fossero più coscienti di questo genere di dinamiche forse potrebbero favorire alternative che danno maggiore autonomia - e guadagni – agli artisti.
I concerti e le copie fisiche esistono ancora ma ho la percezione che la domanda sia sempre più bassa. Non sempre tendo ad accollare le responsabilità al consumatore, perché spesso mille fattori esterni concorrono a minarne la libertà, le energie e la disponibilità di spesa; ma, in questo caso, forse buona parte del potere è in mano a chi ascolta e al rapporto che decide di avere con la propria musica. A chi produce e distribuisce musica resta l’onere di sperimentare, suggerire nuove pratiche di consumo e non dare nulla per scontato.
---
L'articolo Cosa succede quando l'algoritmo ti cancella un disco di Paolo Schiamazzi è apparso su Rockit.it il 2025-06-10 16:36:00
COMMENTI