Perché "17 Re" dei Litfiba non ha perso un grammo della propria potenza

Il disco più "eccessivo" e controverso dei Litfiba usciva 40 anni fa e nei prossimi mesi tornerà in tour per una reunion della formazione (quasi) originale. Lo abbiamo riascoltato e commentato per voi per sentire come suona alle nostre orecchie di oggi (spoiler: bene)

I Litfiba
I Litfiba

Litfiba, tornate insieme! Vi ricordate di quell’epoca che fu? La preghiera di Elio e le Storie Tese è stata esaudita: i Litfiba sono tornati insieme sul serio. A dire il vero non è la prima volta (con ogni probabilità, nemmeno l’ultima), ma volete mettere? Si riunisce la formazione (senza Ringo De Palma) che, nel 1987, diete vita a un pezzo di storia del rock tricolore come 17 Re. Antonio Aiazzi, Gianni Maroccolo, Piero Pelù e Ghigo Renzulli si esibiranno dal vivo con Quarant’anni di 17 RE – Tour 2026 a partire dall’estate prossima: venti date (almeno per il momento) da affrontare, con partenza il prossimo 27 giugno da Perugia.

Sarà l’occasione per riscoprire un album controverso, eccessivo (non solo perché doppio), ma dalle sonorità oscenamente accattivanti e parecchio avanti per l’epoca. Non rimaneva che riascoltarlo, canzone per canzone, per accorgersi che 17 Re non ha perso un grammo del proprio fascino.   

RESTA

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Una sferragliata di Ghigo, un urlo, quasi soffocato, di Piero. 17 Re parte così, con un riff potente, sostenuto da un basso spericolato e da un testo che rimanda alla tragedia di Chernobyl. Puro rock’n’roll puntellato da venature punk. Resta verrà scelta come brano di apertura dei concerti dei Litfiba di quel periodo, quasi un invito a pogare senza soluzione di continuità. 

RE DEL SILENZIO

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Se mai dovessimo stilare una playlist con le canzoni più belle scritte dai Litfiba (prima o poi arriverà, è una minaccia…), Re del silenzio ne farebbe parte senza se e senza ma. Tutto funziona, dai tocchi di Aiazzi alla ritmica potente di Maroccolo e De Palma fino alle svisate di Renzulli e le arrampicate vocali di Pelù. Che scrive il testo sull’onda lunga di un a storia d’amore giunta al capolinea.  

CAFÈ, MEXCAL E ROSITA

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Morlaix, Bretagna, profondo nord francese. Piero si trova lì non si sa come e perché quando si imbatte in un localino chiamato Coatelan, gestito da una coppia di vecchi fricchettoni. “Tieni, assaggia, è Mezcal”. Nient’altro che un potentissimo distillato di origine messicana che al confronto l’assenzio sembra chinotto. È amore a prima vista per il frontman dei Litfiba, che tra una sbevazzata e l’altra tira fuori un testo lisergico nel quale inserisce Rosella (Rosita, appunto), la sua fiamma di allora. Il resto lo cuce Ghigo, guidato dallo spirito degli Stranglers.  

VENDETTA

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Si parla di Dio, e non sarà l’unica volta tra i solchi di 17 Re. Un Dio che gioca con il cielo “dimenticando l’aria, il fuoco e il giorno”. Giocano anche i Litfiba sfruttando differenti linee melodiche: c’è un po’ di tutto nella struttura di Vendetta, persino un accenno di flamenco, merito di Francesca Breschi (già nel quartetto vocale di Giovanna Marini) che all’epoca rimpinzava Piero di cassette di musica gitana. 

PIERROT E LA LUNA

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Influenzata dalle follie del Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg,Pierrot e la luna è uno dei pezzi più pieni di pathos contenuti in 17 Re. Il testo si affida alle sensazioni della nuova vita di Piero, staccatosi dal caos della città e coinvolto nei silenzi e nelle oscurità della campagna, mentre la musica è un patchwork di residui new wave e tocchi mediterranei. Affascinante e delicato il violino dell’ex Whisky Trail Velemir Dugina, forse al suo ultimo giro di giostra prima di prendere la decisione di dare l’addio al mondo.   

TANGO

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Pezzo dal sapore barocco, e con troppa carne al fuoco, che non ha nulla a che vedere con il più tipico dei balli argentini. Anche se un accenno al Paese sudamericano sembra comparire nel testo: come ricordato da Pelù in diverse occasioni, l’ispirazione arriva dalla guerra delle Malvinas, o Falkland che dir si voglia, le isole contese tra il regime dei generali e il Regno Unito, una disputa risolta dalla solita guerra. 

COME UN DIO

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Uno dei brani di maggior presa di 17 Re, che non avrebbe sfigurato tra la solidità di Desaparecido. La parte testuale gira attorno alla presunta esistenza di un essere superiore e alle incongruenze della cosiddetta creazione (“Gli uomini li rifarei come ora: occhi per non vedere, bocche per non parlare. Meglio così!”). Poi c’è quel trallallerollà/trallallellerollà che lascia un po’ perplessi, ma tant’è…

FEBBRE

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Possibile che in un doppio album composto da sedici canzoni non ci sia un (presunto) riempitivo? Sì, e il sospetto cade giocoforza su Febbre. Poco meno di cinque minuti ma pesanti, con l’Emulator manovrato da Aiazzi che entra a gamba tesa e un Pelù costretto a vomitare un testo parecchio insignificante tra qualche ululata di troppo. Con gli anni diventerà una (esecrabile) abitudine… 

APAPAIA

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Pelù ha raccontato che molti dei testi di 17 Re furono scritti sfruttando il poco tempo a disposizione. Ecco spiegato il perché di Apapaia, un termine che non significa nulla, come confessato dallo stesso Piero, ma che fa tanta metrica. Al di là di un titolo criptico (si fa per dire) siamo alle prese con il pezzo più popolare del lotto, uno di must dei live dei Litfiba. Merito dell’orecchiabilità del ritornello e di un testo a dir poco incazzato.   

UNIVERS

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L’istinto sarebbe quello di liquidare la questione Univers limitandosi a un “vedi alla voce Febbre”, ma l’operazione riascolto dopo un bel tot di anni porta a conclusioni diverse. Sarà per quel crescendo, per quella atmosfera onirica, per la prova vocale di un Pelù particolarmente ispirato, o forse perché una ballata la metti dove vuoi. Certo, poi il testo sembra un po’ raffazzonato, ma va bene lo stesso. 

SULLA TERRA

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Forse il brano meno memorabile dell’album, l’impressione è che si tratti di un assemblaggio di vari spezzoni abbandonati qua e là. Anche in questo caso troppa carne al fuoco, ma il testo di Pelù, che abbraccia i temi dell’amicizia, della guerra e della crudeltà della razza umana, lo salva in calcio d’angolo.

BALLATA

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Da un episodio più o meno dimenticabile a un altro particolarmente ispirato. Una ballatona registrata a tempo di record, ricca di echi morriconiani nonché impreziosita da un bel giro di basso posto a metà percorso. Bello anche il testo, che si rifugia tra le braccia di quell’utopia inseguita da chi si sente solo e trova la soluzione di un paio di ali di cera.  

GIRA NEL MIO CERCHIO

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Parte il quarto e ultimo lato del disco e l’energia straborda. A partire da Gira del mio cerchio, con i suoi tanti e inequivocabili legami con l’alcool. “Sul corpo macchie blu” fa pensare a un fegato a pezzi, d’altra parte il riferimento alla gradazione d’alcool che “mi distrugge un po’” sembra tutto tranne che un giro di parole. Mentre la band martella a più non posso.    

CANE

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L’ispirazione arriva da un racconto di Michail Bulgacov, Cuore di cane. I Litfiba immergono il mood dello scrittore russo tra clangori di ispirazione punk e un testo non proprio da educande (“Ululo di notte ai vicoli pisciando sulle vostre carezze”). Secondo l’opinione di Piero Pelù, si tratta del pezzo più "iggypoppiano" dei Litfiba.   

ORO NERO

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Il pensiero va a Istanbul, pezzo forte diDesaparecido se non a Onda araba, ovvero la preistoria dei Litfiba. L’Oriente al centro, Gerusalemme terra promessa ma sporca di sangue. L’atmosfera strizza l’occhio alla world music, in particolare alla tradizione araba, pur sempre in un’ottica di energia e spirito rock.   

FERITO

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L’incarico di chiudere gli oltre sessanta minuti di 17 Re è affidato a Ferito. Un brano dall’andamento fiero, epico, una marcia attraversata dagli spasmi elettrici di Ghigo Renzulli e dalle corde del violino di Dugina. Testo, come al solito vergato da Piero Pelù, dall’esplicito sapore antimilitarista. Un finale degno di un grande album. 

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L'articolo Perché "17 Re" dei Litfiba non ha perso un grammo della propria potenza di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2025-12-05 10:59:00

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