Cantante, poeta, drammaturgo, editore, sceneggiatore, regista, umorista, vocalist, show-man, attore, fumettista, vignettista, critico d’arte, gallerista, web-star, influencer e quant’altro.
Recita così la bio di Pietro Mio, nom de plume di Pietro Maria Mazzoli, eppur deve essersi dimenticato qualcosa. Perché è molto di più questo ragazzo nato a Milano esattamente 25 anni fa, che fa musica da quando ne ha meno di 20, ma nel frattempo non smette di vivere. È un personaggio davvero unico, come avrà notato chiunque lo abbia visto su un palco, grande o piccolo che sia. Come quello di MI AMI 2024, o quello dell'Arci Bellezza per il matinée che ha concluso l'ultima edizione del Festival dei Baci. È qui che Pietro dà tutto e si porta via il tuo cuore, con uno show surreale e irresistibile.
Il 18 luglio esce un nuovo pezzo, Lyda Borelli (qua se, come probabile, non sai chi sia). Che dice tutto di lui, del suo stile, di un percorso inafferrabile. Un sound sinteticone e preso bene per un pezzo dolente dedicato a una diva del film muto. Perché Pietro Mio è così: sintesi allucinata di contrasti, tenerezza e nevrosi assieme. Noi ce ne siamo innanorati, concedetevi la stessa possibilità.
Partiamo dal principio. Parlaci di Lyda Borelli.
È un'attrice italiana del cinema muto. Ha un nome al quale mi sono affezionato subito quando l'ho sentito perché lo trovo molto evocativo dell'epoca a cui appartiene, è capace di impostare un’atmosfera da solo. Volevo scrivere un pezzo che scintillasse nei toni ma fosse piuttosto cupo nel contenuto. Il senso di decadentismo intrinseco al nome della diva mi ha offerto lo spunto per sviluppare il testo da entrambe le direttrici. Cantarla è anche un'occasione per scherzare sull’usanza diffusa, nella musica ma un po’ ovunque, di ricorrere frequentemente a stilemi e suggestioni mutuati da un certo passato, più o meno idealizzato: si fa la roba anni ’80, ci s’ispira allo stile anni ’70, ecc. E io la sparo ancora più grossa, con gli anni ’10.
Da dove nasce la ricerca di questo clash?
Non mi vanno a genio certi atteggiamenti di lusinga nei confronti del tempo, sia esso passato presente o futuro. Preferisco illudermi dell’idea di poterlo fregare, farlo mio, trasportarlo in una nuova personale dimensione: letteralmente, ridimensionarlo all’interno della mia fantasia. Se sul tappeto strumentale anni ’80 ti sfila una Lyda Borelli direttamente dagli anni ’10, la macchina del tempo se n’è già andata in tilt, per dire.
Lyda dopo Florinda (Bolkan). Mentre gli altri citano Tony Montana, o Hello Kitty, tu hai una fascinazine per queste figure...
Sono lo specchio di condizioni d’animo contradditorie. Lyda Borelli mi suggerisce una sorta di vitalismo malinconico, un’impressione ossimorica che ha un po’ dell’inverno di quando ho scritto la canzone e un po’ dell’estate di quando l’ho pubblicata. Nel testo c’è tutta la stridente dialettica tra il dramma di un mondo disperato e l’agognata leggerezza di chi non vuole rassegnarsi al pianto, spingendosi a indossare la maschera della spensieratezza ostentata, spudorata, opaca, ottusa. Florinda Bolkan è una musa non meno critica: mi canta del senso di sconfitta che si prova dopo un rifiuto subito, nonché del conseguente tentativo di autoconvincersi della superiorità rispetto all’obiettivo mancato. Pavoneggiamento patetico, utile giusto a ramazzare un briciolo di simpatia e compassione. L’inetto messo alla berlina che si difende come può, con tutta la tenerezza che una scena del genere può trasmettere: è una dinamica utile per comprendere Pietro Mio.
Che cinema guardi?
Sono fan del filone del giallo-thriller italiano. Tra quelli meno noti rispetto ai classici, consiglio: Morte sospetta di una minorenne di Sergio Martino, E tanta paura di Paolo Cavara, La donna del lago di Luigi Bazzoni. La mia tesi di laurea triennale tratta della distribuzione in America del cinema di genere italiano negli anni del Boom.
È ora che ci dici davvero da dove salta fuori Pietro Mio.
Sono nato a Milano nel 2000. Ho fatto il liceo scientifico Volta e poi mi sono trasferito per quattro anni a Bologna dove mi sono laureato al Dams (seguono risatine). Da gennaio di quest’anno sono di nuovo fisso a Milano. Oltre a spaccare i beat, sono iscritto in Statale alla magistrale di Editoria e da qualche mese lavoro in una biblioteca.
Produci roba tua dal 2019. Ma in una maniera che appare completamente personale e scollegata da logiche di mercato. Come ti muovi e che obiettivi hai?
In questi sei anni ho agito in tanti modi e con tanti mezzi diversi. Ciò mi ha portato naturaliter a compiere scelte autoriali e editoriali quasi sempre distinte dalle precedenti o, da una prospettiva un po’ forzata ma ben più affascinante, a seguire una e una sola linea ma del tutto cangiante e mutaforma: praticamente, ogni mio singolo progetto ha avuto il suo specifico assetto produttivo e promozionale. Presumo che questo approccio s’inserirebbe a fatica in qualsiasi prescritta logica di mercato, che predilige la riconoscibilità. Un paio d'anni fa, intorno al lancio di Arriva... Pietro Mio!, nettamente il più ambizioso tra i miei lavori, si è formata un’équipe dai ruoli un po' meglio definiti: Robi (Dieci in arte) si occupava delle produzioni musicali e di trovare le prime date e Marco, mio caro amico e coinquilino per due anni a Bologna, ha fatto il manager e il factotum.
Come dobbiam definire la tua musica?
Weird pop. Il termine "weird" mi piace perché riesce a definire qualcosa di indefinibile, rappresenta bene quel senso di imprevedibilità di cui sopra. "Pop" più che altro per la struttura delle canzoni.
A chi ti ispiri?
La lista è lunga. In questo momento, soprattutto agli Squallor.
Ti ritrovi nella musica di oggi?
Mi sembra che si faccia maggiore attenzione, rispetto a qualche anno fa, alla qualità delle produzioni e alla buona resa dei concerti live. Noto più cura, e questo mi fa piacere. Ammetto, comunque, di non tenermi aggiornatissimo sulle uscite, e quello che sento è raro che mi entusiasmi profondamente. Se penso agli ultimi anni, l'unico artista che mi ha conquistato è Tony 2Milly. Un altro grande è TonyPitony, talentuosissimo, sono sicuro che raggiungerà un certo successo e che porterà con esso un po’ d’aria fresca: può sembrare soltanto un meme, ma il suo messaggio è serio e valido. Ne approfitto per fare i nomi di alcuni miei amici che meritano attenzione. Giargo (& i Baia Zaiana, la sua band) e Lumiero: due progetti ambiziosi e ben strutturati. I Grill Boys, in particolare l’ultimo disco: freschezza. Fettuccine, unico mio featuring all’attivo.
Che rapporto hai con i metodi della discografia oggi?
Sicuramente c'è una cosa che mi infastidisce (della discografia mainstream come di quella indipendente, e spesso anche dei singoli artisti) ed è la comunicazione sui social, capace di trasformare chiunque e qualunque cosa in un oggetto pallido e bidimensionale, quando non proprio grottesco e rigettante.
Come hai creato il tuo personaggio da one-man-band sul palco?
Per quanto riguarda i momenti di performance “pura”, ossia mentre canto e ballo, sono molto spontanei: non c’è ancora mai stata una preparazione dietro. Tra un pezzo e l’altro ci butto qualche sketch quando mi va; questi di solito li penso prima. A ogni modo, mi esibisco da poco più di un anno e sono consapevole che il mio show è ancora acerbo. Mi piacerebbe renderlo più organico. Premetto che io tendo a prendere me e ciò che mi circonda molto sul serio. Penso che questa sia una buona risorsa, ma a volte mi annoia e mi appesantisce. L’ironia in me si è sviluppata come un anticorpo: è, al principio, l’impulso di parodizzare i miei lati più severi e coscienziosi. È refrigerio e lubrificante e me ne servo per rendere più sexy e permeante ciò che ho da dire.
Dove vuoi arrivare?
Gli obiettivi che mi pongo sono piuttosto vaghi. Come accennavo prima, mi piacerebbe creare uno spettacolo che si avvicini a un’emanazione pura delle mie fantasie, un prolungamento dei miei processi creativi. Suonando con la band, mi è venuta voglia di inserire anche questo aspetto qui. Se devo pensare a una prospettiva di successo, mi ispira di più la possibilità di una “community” di appassionati intorno al progetto anziché l’alternativa opposta, quella di ampliare oltremodo il bacino d’utenza, se il costo fosse perdere di appeal nei confronti della frangia più attenta. Penso che m’intristirebbe. Poi boh, lascio sempre largo spazio al caso.
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L'articolo Pietro Mio: "La musica è un'emanazione della mia fantasia" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2025-07-18 11:00:00
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