Il nuovo disco di Rkomi arriva senza eccessivo clamore, mentre l'attenzione pubblica è rivolta altrove. Eppure, fin dai primi ascolti, decrescendo. si impone come un'opera destinata a incidere un cambiamento, segnando un punto di svolta per l’artista. Dopo la seconda partecipazione a Sanremo, dove si è classificato in fondo alla classifica con Il ritmo delle cose., e il successo multiplatino di Taxi Driver, l'artista di Calvairate entra in una fase di decompressione e riconciliazione. In decrescendo., Rkomi abbassa i volumi della propria vita, si impone una disciplina e fa i conti con tutto ciò che ha vissuto, le proprie scelte e il tempo trascorso dal lontano 2016. Questo album racchiude tutti questi elementi e altri ancora, che si sveleranno con il tempo, a chi gli vuole dedicare attenzione.
Che si sia conosciuto Rkomi nei suoi esordi rap, quando sembrava il più promettente tra i bimbi-di-bimbi, o durante la sua fase più popolare, in cui ha dimostrato una sorprendente versatilità, in ogni caso si può essere certi: Rkomi è riuscito a condensare tutte le sue anime senza ripetersi. Lo aveva già anticipato nel disco precedente, No Stress:
Tu fai quello che non cambia perché non sai fare altro
Se ci penso, sarebbe molto peggio parlare del quartiere coi milioni nell'home banking
Non era vendere, il punto era non sedersi per fare lo stesso album, ripetersi quindici anni
(Figlio unico, 2023)
È difficile definire con precisione e completezza tutti i temi che Rkomi affronta in questo album. Si tratta, di fatto, di un universo fatto di momenti, episodi e ricordi che ruotano attorno alla sua figura, e che lui riesce a tenere insieme con coerenza. Rkomi unisce le sue molteplici anime musicali: si sentono chiaramente le diverse influenze che ha scelto di usare in questo progetto, ma nessuna prende il sopravvento. È per questo che l’unico termine che è davvero adatto a descrivere questo disco è: cura.
È un album pensato musicalmente in ogni dettaglio: ogni traccia ha una propria identità ma si inserisce in un insieme coeso, grazie all’interpretazione vocale che funziona, al suo flow parlato ma sempre riconoscibile e controllato. Ma la vera attenzione sta nella capacità di realizzare un progetto di ben 18 tracce senza risultare mai pesante o ridondante, riuscendo a giocare molto bene sulle basi prettamente pop-elettroniche.
È in questo percorso in discesa che si sente il desiderio di Rkomi di accompagnare l’ascoltatore un passo alla volta dentro la propria interiorità. È un cammino che ripercorre anche il suo stesso processo creativo, quasi una mappa del suo modo di arrivare alla realizzazione del disco. Un disco del genere non si compone in pochi giorni, così come un ascoltatore non può penetrarne davvero la complessità dopo un solo pochi ascolti. Ma Rkomi si è preso cura anche di questo: già dalla prima traccia, L’ultima infedeltà, ci viene offerto un concentrato di tutto ciò che lo ha spinto a soffrire e a scrivere altre diciassette canzoni.
La cura si manifesta anche nella scelta degli ospiti. Questo è un disco “in famiglia”: Rkomi ha coinvolto artisti che conosce da anni, con cui ha condiviso case, momenti di crescita, difficoltà e i primi successi - tutte le fasi della vita che ci racconta nel disco. Fa eccezione Nayt, con cui non aveva mai collaborato, ma che ha scelto per una traccia dal tono esplicitamente sociale e politico, 10 secondi. La sua presenza è tutt’altro che casuale: vista la direzione che Nayt ha preso negli ultimi anni, con progetti che criticano in modo lucido il sistema capitalista e asfissiante in cui viviamo, il suo apporto risulta fondamentale.
Tra gli altri featuring, merita una menzione speciale Ernia, presente in due tracce. La loro è una collaborazione ormai consolidata: da Madonna e il tour nella Yaris fino a Dieci ragazze, hanno saputo evolversi nei temi e nell’approccio, ma sempre insieme, rinnovando la loro amicizia. Tuttavia, il featuring più potente - anche in prospettiva futura - è senza dubbio quello con Izi. Il rapper, in silenzio discografico da circa cinque anni, continua a regalare strofe nei dischi altrui che valgono l’attesa. La loro generazionale Aeroplanini di carta torna idealmente in orfani., dove i due riescono a raccontarsi l’un l’altro con una profondità rara. È una traccia commovente, in cui si fanno forza a vicenda. Come in una famiglia. Per prendersi cura l’uno dell’altro.
Ed è proprio questo il secondo senso della parola “cura”. Oltre alla precisione musicale e artistica che ha messo in questo lavoro, Rkomi ha usato questo disco per riconciliarsi con ciò che è stato e che l’ha fatto soffrire. Ascoltandolo tutto, si percepisce con chiarezza quanto profondo sia il percorso di autoanalisi che ha compiuto: ha raccolto i pezzi sparsi lasciati negli anni, li ha rielaborati, li ha ordinati, trasformandoli in qualcosa di nuovo e consapevole. Rkomi sembrava stanco di essere tante cose tutte insieme, disordinate, senza una direzione. E allora ha riorganizzato il tutto: ha preso tutte le sfumature che ci ha fatto conoscere in questi anni e le ha composte in un quadro più ampio, più maturo. In questo senso, questo disco è - finalmente - il vero seguito di Io in terra (2017), un album in cui, in un contesto molto diverso, Rkomi era riuscito a esprimere tutto ciò che lo teneva sospeso, in apnea. Come raccontava in quei versi:
La verità è che non ho più gli stessi sbatti di prima
Tornassi indietro farei tutto quello che ho fatto prima
Noi non avevamo sogni, solo restare in vita
Fare fuoco, Guernica, fare foto, respira
(Apnea da un po’, 2025)
Se ci senti fammi un fischio, dai, non scordarti la pillolaCi mangiamo le viscere a vicenda per l'affitto
Fai che non ero in me, sì, certo, polvere di te al setaccio
I tasti che schiacciavo al cell, ci sto per quanto serva
(Apnea, 2017)
All’ombra dei trent’anni, Rkomi ci dice che, finalmente, ha iniziato davvero a respirare. Che ha trovato almeno alcune risposte alle domande che si portava dentro fin dai tempi di Io in terra, domande a cui allora lui non sapeva rispondere. Questo è un disco con cui ha fatto pace con sé stesso, e ce lo racconta. La traccia che rappresenta al meglio tutto ciò è senza di te. Innanzitutto perché riesce a mantenere coerenza artistica e vocale tra strofa e ritornello - forse l’unico aspetto in cui alcune tracce dell’album mostrano qualche sbilanciamento. Ma soprattutto perché riesce a creare un equilibrio perfetto tra il Mirko più “di quartiere” e quello più profetico e onirico degli anni successivi. Lo dimostra il pre-ritornello: "Io voglio una scusa, ossigeno puro, ti porto la luna, prima era un tocco di fumo". Il tutto si stende su una base musicale perfettamente cucita addosso alla voce, arricchita da uno strumento a fiato che, verso la fine, emerge con forza, evocando l’hip-hop degli anni ’90.
In questa nuova versione di sé, Rkomi sembra aver trovato un equilibrio tra tutti i petali che ha scelto di raccogliere lungo il suo percorso (parafrasando 10 secondi.), e ha finalmente deciso la direzione da intraprendere. Sarà un disco importante per il panorama musicale italiano, soprattutto per chi fa rap. Trovarsi davanti al progetto di un artista che ha abbandonato approcci, riferimenti e attitudini ormai abusati e ripetuti fino alla saturazione, è una scossa salutare.
Non è necessario che ogni rapper segua la strada tracciata da Rkomi, ma sarebbe auspicabile che ne assorbisse almeno le modalità: la capacità di posizionarsi con consapevolezza, innanzitutto verso sé stessi, e di prendersi la responsabilità di ogni parola scritta, di ogni immagine evocata, di ogni emozione suggerita. Rkomi dimostra che è possibile costruire un linguaggio pieno, denso, stratificato. Il punto focale del disco è proprio il ritorno a una complessità semantica che, dopo Ossigeno, sembrava essersi attenuata in favore di una maggiore accessibilità. Scelta che, per quanto efficace, aveva inevitabilmente limitato lo spazio per la profondità e l’astuzia lirica che da sempre caratterizzano la sua scrittura. In questo disco, invece, Rkomi torna a interrogarsi, a mettere in discussione se stesso e il mondo, senza accontentarsi di raccontare la realtà in modo frammentario o decorativo.
A volte ancora si percepisce nostalgia per il rap più crudo o per l’Rkomi più rocker, ma sembra proprio che in fondo non si piaccia più così. Questa sua consapevolezza e lucida introspezione, questa volontà di scavare e di non lasciarsi sfuggire nulla, che rende il disco così necessario. È la dimostrazione che la musica rap, per risollevarsi dalla stagione di inverno e ripetitività in cui sembra intrappolata, ha bisogno di artisti che osano e di artisti che si prendano cura della propria scrittura, del proprio immaginario, del proprio tempo. Rkomi ha scelto di curarsi, e così facendo ha offerto la miglior ricetta possibile a chi vorrà coglierla. Basta ascoltarlo con attenzione.
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L'articolo Più Rkomi diventa bravo, meno viene capito di Nicolò Benassi è apparso su Rockit.it il 2025-05-28 14:56:00
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