Essere un accumulatore seriale su Spotify è un incubo

“Essendo stato per anni un accumulatore seriale di canzoni mi sono trovato sommerso, sotterrato da una valanga di brani che ora non ho più la voglia di ascoltare. Ho trovato una soluzione.”

- Immagine tratta dal film "Scrivimi una canzone"

La vita ha bisogno di punti fermi, e a volte questo implica delle complicatissime separazioni: saranno proprio quelle che ci faranno ripartire e respirare aria nuova. O almeno questo è valido per me, e il mio rapporto con Spotify.

Da quando l'ho scoperto sono diventato un accumulatore seriale di canzoni. Dopo anni di "aggiungi ai preferiti" mi sono trovato sommerso, sotterrato da una valanga di brani che ora non ho più la voglia di ascoltare: erano più di settecento.
La sensazione che mi aggrediva ogni volta che aprivo la playlist era simile a quella che si prova quando ci si trova di fronte al proprio armadio stracolmo, pieno di cose che non si usano più: a un’occhiata superficiale la mia playlist dei preferiti sembrava un ammasso di cose inutili. Spoiler: era tragicamente vero. 

Il primo passo è stato rendersi conto di avere troppe canzoni per poi scegliere la via più facile e immediata da percorrere: illudersi del fatto che queste sarebbero diminuite cancellando i doppioni. Dopo aver provato questa inutile prima soluzione, di solito quando si è alle prese con armadi e cassetti si decide di rovesciarli sul letto per capire cosa tenere e cosa no, tirando linee immaginarie che formano graticolati etichettati come “Imprescindibile”, “Buttare”, “Boh”.

Alla fine dello smistamento ci si rende conto che la maggior parte delle cose sono state inserite nella categoria del dubbio. Abbiamo tentato, ancora, di allontanare il più possibile il momento della loro dipartita.
La vera speranza che si rinnova anno dopo anno, per i vestiti come per le canzoni, è quella di ripensarci un giorno (lontanissimo) e innamorarsene di nuovo. Non accadrà. E se accadrà sarà perché sarà passato così tanto tempo che ci siamo dimenticati di averle. E a quel punto quel che conta non è il valore estetico di una canzone, ma più verosimilmente la nostalgia o il suo valore affettivo.

("Tutto il mondo è Spotify". Immagine via)

Tornando alla mia playlist dei preferiti, ero sicuro di avere parecchie perle nascoste in quel caos, e plausibilmente era così. Il vero problema, però, rimaneva quello di trovarle.
Dopo aver rimpiazzato la radio con Spotify perché permette di ascoltare esattamente quel che vogliamo, abbiamo creato su misura le nostre playlist con la falsa speranza di ascoltarle tutte, senza mai saltare un brano. Niente di più sbagliato! Presi singolarmente i brani ci possono piacere fino a farci innamorare, impazzire. Ma ciò che ci trae in errore è la cornice in cui li poniamo, finendo per sminuirli e minimizzare il significato che abbiamo dato loro.

Siamo giunti quindi al grande limite dell'accumulatore seriale: la decisione finale di dare un taglio netto. Per troppo tempo sono rimasto aggrappato a qualcosa giusto perché ho fatto fatica a crearlo, e anche se ora è una vera merda è pur sempre frutto dei miei sforzi. Nella mia erronea idea ritenevo che cancellare tutto equivalesse quasi a screditare il mio ego, demolendolo mattone per mattone. Canzone per canzone.
Ma la scelta più giusta è anche quella che fluttua sospesa in un limbo tra l’estrema facilità e il massimo errore che possiamo commettere: tabula rasa. Ripartire da capo, dopo un ultimo play in modalità casuale. Difficilissimo ma liberatorio.

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L'articolo Essere un accumulatore seriale su Spotify è un incubo di Alessandro Spagnolo è apparso su Rockit.it il 2017-02-15 10:25:00

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