"NOOOOOOOOOOOO!". L'urlo che esplode alla mia destra - si dice il peccato, non il peccatore (o peccatrice, in questo caso) - arriva in mezzo a una serie di colpi rullante-cassa di batteria, appena alle spalle di un contenuto pubblico in preda a una sorta di rapimento mistico. È la verbalizzazione più pura della reazione che sento innescarsi dentro di me all'attacco di Come Vera Nabokov, canzone che per me è una catapulta alle fughe di "fine giugno, maturità" - per citare un altro brano del protagonista di questo articolo - a bordo della Fiat Uno con cui Luca, all'epoca unico patentato della mia classe, ci scarrozzava in giro. E che il manipolo di fedelissimi chiamato a raccolta al Live Music Club di Trezzo sull'Adda non sentiva dal vivo da 9 anni, nel migliori dei casi.
Probabilmente tante delle persone che vedo davanti a me, in questo mercoledì sera di pioggia che chiamerebbe a gran voce una tisana zenzero e limone a casa, hanno questo stesso sobbalzo di incredulità nello sbattere davvero la faccia contro ciò che ci ripetiamo ormai da aprile, ma che forse non avevamo davvero metabolizzato del tutto fino a questo momento: I Cani sono tornati.

Quella in cui ci troviamo viene presentata come una "prova generale", una data aperta al pubblico appena un paio di giorni prima dell'inizio ufficiale del tour (quasi tutto sold out). E sarà che questo concerto è stato annunciato un po' all'ultimo minuto, sarà che in giornata l'accoppiata "morte di James Senese" e "reunion dei C.S.I." ha portato la mente altrove, sarà lo sbattersi per recuperare un passaggio fino a Trezzo, sta di fatto che la presa di coscienza su quello che succederà in questa serata non arriva neanche quando Contessa e i suoi si palesano - si fa per dire, vista la volutamente scarsa illuminazione che li accompagna - sul palco, qualche minuto prima delle annunciate 21:30.
Ad accoglierli non c'è il pienone che si prevede per il resto del tour. Tra chi aveva già preso il biglietto per le date successive e chi non riusciva a organizzarsi con così poco preavviso, il pubblico si aggirerà a occhio sulle 500 persone. Questo dato, aggiunto al divieto assoluto di usare i telefoni per filmare o fotografare ciò che succede all'interno del locale, rende questo concerto dei Cani 1) splendido, per l'atmosfera intima che si crea, 2) quanto di più vicino a uno dei loro primissimi live, che oggi sembra distante almeno qualche era geologica. L'unico elemento che svela l'inganno è il peso della produzione dell'evento. Sopra il palcoscenico aleggia un cerchio di luci, alle spalle della batteria ci sono tre enormi ledwall, che dietro questo live ci sia un lavoro mastodontico è evidente.
Al momento dell'inizio, la sensazione di straniamento è palpabile. Si comincia con Io, estratto dal disco uscito lo scorso aprile a sorpresa, Post mortem: è un ingresso rallentato, come se ci fosse bisogno - e ce n'è eccome - di orientarsi. Ma non per la band, un quintetto che appare fin da subito bello solido nel suono e premiato dall'ottima acustica del club. È il pubblico che deve riprendere contatto con un qualcosa che desiderava da troppo tempo, e ora ce l'ha di colpo di fronte. E quel lamentoso '"io" che Contessa pronuncia sembra detto per convincere tanto sé stesso quanto i presenti che sì, è proprio lui quella figura smilza che sta cantando al microfono.

Seguono poi Buco nero, dove le luci svelano meglio Contessa e i musicisti che lo accompagnano, e Colpo di tosse, il brano più vicino all'idea di singolo che un disco di cupa ed esistenzialista introspezione come Post mortem può contenere. Fin qua c'è ancora un po' di ingessatura nei fan, forse timorosi che un ritorno dal vivo così atteso possa prevedere la mancanza di "quei" brani, quelli dai dischi che formano una sorta di trilogia della formazione, ciascuno perfettamente calato in quegli anni '10 pre-Covid e, fino ad adesso, rimasti cristallizzati là. Poi, appunto, parte Come Vera Nabokov, e la catarsi collettiva si compie in uno schiocco di dita.
"Come va? Da quanto tempo. Ora facciamo un altro pezzo di qualche anno fa". Questa è una delle poche interazioni che Niccolò Contessa si concede con il pubblico alla fine del brano, appena prima di attaccare Hipsteria, il pezzo che meglio cattura quell'immaginario indie oggi perso nel tempo. Ed è proprio questa la forza di quei primi brani dei Cani: restituire un mondo che non è - o almeno, non è solo - la nostalgia dell'adolescenza/dei vent'anni, ma un'epoca intera, da cui ora siamo abbastanza fuori per guardarla senza trovarci invischiati troppo dentro. Come la posa di maschio performativo ante litteram del "post in più su Facebook con Daniel Johnston alle 4 del mattino", fotografia di un carattere sociale così a fuoco che è ai limiti del documentarismo.
Con Questo nostro grande amore, si arriva al 3 a 3 nei primi sei brani di scaletta: metà dall'album appena uscito, poi uno per ciascuno dei dischi prima di Post mortem. A questo punto gli argini inibitori si sono sfaldati, il cuore raggiunge il cervello e ci si trova, ora con tutti i sensi risvegliati, a un concerto dei Cani.
A godere di ciò sono in primis i brani di Post mortem, che reggono benissimo il banco di prova del live. Come Nella parte del mondo in cui sono nato, turbine di bassi e sintetizzatori, mentre la storia dell'Occidente prende forma nei visual assieme alla sola parola NATO - immagino per strizzare l'occhio al patto atlantico - in 250 font e colori diversi; o F.C.F.T., che si concede delle belle parti strumentali di elettronica distorta ai confini con la psichedelia.
A cui risponde una buona parte di brani che arrivano da lontano. Corso Trieste, I pariolini di diciott'anni, Post punk, Sparireriarrangiata alla chitarra elettrica o Nascosta in piena vista versione piano e voce sono tutte canzoni che la mancanza dei live fanno vivere come un regalo gigantesco, a ritrovarsele così di colpo a disposizione. C'è poi Velleità, dove al posto di Vasco, Brondi "appoggiato sul muro parla con la ragazza di qualcuno", viene citato, Lucio, Corsi, come riprova che siamo davvero nel 2025 e specchio delle mille evoluzioni che il microcosmo indie ha subito negli ultimi 15 anni.

Il concerto, anche togliendosi il filtro del fan adorante dagli occhi, è un signor live. Contessa sembra tutto sommato a suo agio, la band - di cui fanno parte anche Valerio Bulla e Andrea "Suri" Suriani - si adatta benissimo alle fasi che corrispondono ai dischi de I Cani, c'è una forma di sommessa generosità in tutto questo che passa anche nel lavoro incredibile fatto da luci e visual. La componente visiva è tutta in mano a loro, mentre i membri della band stanno perlopiù fermi sul posto, ed è questo che è sorprendente: i volti passano dall'essere leggermente deformati a illuminati in pieno, per poi venire di nuovo oscurati del tutto, mentre alle spalle scorrono immagini che vanno da stralci di cinema di primo Novecento pescati con il gusto di Terry Gilliam alle lontre di Le coppie.
Nel corso del live è un continuo confrontarsi con l'assenza, col mondo che è cambiato in mezzo, sia al di fuori che per le persone stesse presenti. "Io non ero pronta a una cosa del genere", dirà l'autrice del "NOOOOOOO" di cui sopra, raccontandomi poi del suo legame ossessivo con Aurora, uscito quando lei aveva vent'anni e a Milano ancora non conosceva nessuno. Credo che questo discorso valga per buona parte dei fan presenti e non, perché questo punto di contatto tra una canzone e il momento in cui uscita è evidente in una maniera molto più profonda di quanto possa essere per altri artisti che si possono apprezzare altrettanto, se non anche di più. Si tratta di un legame talmente forte che è impossibile non farsi travolgere dalle connessioni mentali che aprono.

E allora prendiamolo, questo travolgimento. A chiudere il live c'è una risalita dallo struggimento più puro, in quel piccolo capolavoro spaccacuore che è Il posto più freddo, alla timidezza che congela le parole in bocca di Una cosa stupida, fino alla rincorsa della "nostra stupida, improbabile felicità": Lexotan. Tripudio totale. La gente poga sotto il palco, c'è un impazzimento generale che mi stampa un sorriso idiota in faccia, pure Contessa si concede un breve ma significativo momento di crowdsurfing. Tutto il concerto è stato un processo di materializzazione ed ora ecco, la barriera tra l'artista per anni nascosto e irraggiungibile e il suo pubblico cade con facilità. Altroché "NOOOOOOOO". Sì, sì e ancora sì.
Scaletta:
Io
Buco nero
Colpo di tosse
Come Vera Nabokov
Hipsteria
Questo nostro grande amore
Carbone
Nella parte del mondo in cui sono nato
Nascosta in piena vista
Le coppie
Post punk
Aurora
Sparire
Corso Trieste
Fare come fanno tutti
Felice
Davos
Un'altra onda
I pariolini di diciott'anni
Velleità
Calabi Yau
Il posto più freddo
Una cosa stupida
Lexotan
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L'articolo Una prova da Cani: il racconto del live che apre il tour di Niccolò Contessa di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2025-11-02 00:30:00

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