Rainbow Club - Milano

(Ojm - foto da http://www.ojm.it/)

L'interesse per il rock 'n' roll sta scemando o è stata solo una data sfortunata? La Go Down Records ci prova e mette in scena al Rainbow di Milano una di quelle serate da non perdere... e in molti se la perdono! Un cast prestigioso con molti nomi della label e qualche faccia nuova. Una notte per (hard)rockers incalliti, il nostro Faustiko racconta.



In Italia, si sa, il rock‘n’roll è questione di pochi, a volte di pochissimi. Ed è un vero peccato constatare che in occasione della prima edizione del “Go Down festival”, tenutasi al “Rainbow” di Milano, il pubblico non abbia risposto nella maniera adeguata, ovvero numeroso.

Non aiutava certo l’orario d’inizio, fissato inflessibilmente alle 20 e affidato, come di consueto succede, alla band esordiente del lotto, gli Shoestripsilence, quartetto dedito ad un punk di scuola californiana che riesco a godere a malapena in quanto conclude il set giusto due canzoni dopo aver varcato la soglia della platea intonando “Rockaway beach”. Per cui mi guardo in giro e constato che le lancette del mio orologio hanno superato da poco le 20.30, per cui a pensarci bene neppure il Tg1 è ancora finito. Quindi il popolo di Milano ci metterà un po’ a farsi vivo, e nel frattempo i Torquemada si preparano sul palco per la loro esibizione, avendo a disposizione una mezz’ora scarsa. Che sfruttano bene senza però strafare, con la loro miscela di noise ancora troppo derivativa - a ricordare One Dimensional Man - ma di certo intenti a imbeccare soluzioni inedite nel limite del possibile. Tuttavia suonano senza timore e dimostrano notevoli margini di crescita, a patto che si mettano a scrivere canzoni sempre più farina del loro sacco.

Subito dopo è il turno dei Veracrash, prima formazione a rappresentare l’etichetta romagnola protagonista della serata. Il pubblico comincia ad assieparsi verso le prime file e i quattro (che stasera giocano in casa) presentano i brani dal loro ep d’esordio, dimostrando che sono capaci in fase compositiva, ma - a differenza di coloro che li hanno preceduti sul palco - una volta on-stage mostrano evidenti lacune di resa sonora, tanto da far sembrare le canzoni tutte uguali. Il problema più grosso in questo caso ci sembra sia legato al vocalist, decisamente poco adatto nel ruolo e molto al di sotto delle aspettative rispetto a quanto già sentito su cd. Perciò, al terzo pezzo in scaletta, la necessità è quella di trovare qualche spazio dove potersi riposare in attesa del prossimo gruppo. Ciò non significa che i milanesi facciano sbadigliare - cosa in sé difficile visto che bazzicano dalle parti di uno stoner melodico - ma è palese la difficoltà a farsi notare.

Seguono a ruota gli Electric 69, veterani delle scene - anche se sotto spoglie diverse - rispetto ai predecessori e sicuramente a loro agio nella parte di (hard) rockers incalliti e fedeli al verbo. Per cui i 30’ abbondanti a disposizione li sfruttano nella maniera migliore, dimostrando tutto ciò che di buono sanno fare; ma é troppo poco per sorprenderci e appassionarci fino all’ultima canzone, un po’ come già successo poco prima con i già citati Veracrash. Tuttavia, a discolpa delle varie band che finora hanno solcato la scena, va detto che la poca affluenza non favorisce certo quel coinvolgimento che ti aspetteresti in occasioni del genere. Fortuna, però, che ci pensano gli Small Jackets a destare gli animi e a riscaldare l’atmosfera, forse perché consapevoli dell’andamento un po’ fiacco dello show. Aprono perciò il loro set con “Ranch‘n’roll”, affidandosi quindi ad un “cavallo di battaglia” per svegliare una platea assopita. D’altronde lo spettacolo che i quattro portano in giro è una riproposizione dell’ideologia (hard)rock talmente fedele che allo spettatore non viene mail il dubbio di una “messa in scena”. E anche stasera, in condizioni non certo ottimali, le aspettative non vengono deluse, a dimostrazione che gli SJ hanno quella marcia in più che pochi possono vantare.

Peccato non si possa dire lo stesso degli OJM, headliner della serata non a caso, essendo qui per presentare “Under the thunder”, il nuovo lavoro realizzato con Michael Davis degli Mc5 in cabina di regia. Non manca la presenza scenica, trovandoci anche in questo caso di fronte a quattro loschi ceffi che sanno rappresentare degnamente la parte dei rocker; eppure stasera manca la sfumatura incandescente, le “colate laviche” di stoner e le cavalcate hard che da sempre caratterizzano i live della band veneta.

Insomma, anche i protagonisti principali dell’evento non riescono a lasciare un segno tangibile, forse perché condizionati dalla scarsa affluenza di pubblico. E ci dispiace che sia andata così, perché la Go Down avrebbe meritato più attenzione, a prescindere dall’(improbabile) orario d’inizio.



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L'articolo Rainbow Club - Milano di Faustiko Murizzi è apparso su Rockit.it il 2006-11-24 00:00:00

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