Nelle foto è ritratto sempre sfuggente, fuori fuoco, come se fosse impossibile per lui rimanere abbastanza fermo da immortalarlo in uno scatto. È in questa sorta di incorporeità che Lodovico Rossi, in arte Riverso, porta avanti la sua ricerca interiore: per poter guardarsi dentro davvero bisogna prima smaterializzarsi, perdere la dimensione fisica e lasciare che sia quella spirituale a prendere il sopravvento.
Riverso compie questo processo in un disco ambizioso, diviso in tre parti distinte e intitolato Non so nulla degli Dei. È il suo debutto con questo nome, dopo aver pubblicato alcuni lavori a suo nome e aver collaborato con diversi artisti della scena indipendente italiana: tra tutti basta citare Paolo Benvegnù, che ha partecipato alla scrittura e agli arrangiamenti della prima band fondata da Lodovico, i Mulholland Drive. La trasformazione in Riverso arriva dopo un percorso iniziato nel 2020, quando ricava uno studio di registrazione nella casa dov’è cresciuto, in Umbria. Ad affiancarlo c’è l’amico e tecnico del suono Giacomo Cal, membro del collettivo di Music e Sound Production attivo tra Italia, UK, America e Asia 42stems.
Fatte le dovute premesse, arriva il momento dell’immersione nel disco. Che, in questo caso, sembra quasi letterale: l’intreccio di synth nebulosi con cui si apre Arriva l’alba dà proprio la sensazione di un ingresso in un territorio melmoso e oscuro, in cui è necessario calarsi totalmente dentro, cosa che diventa più facile senza l’ingombro di un corpo a renderci difficoltosi i movimenti. La cassa si palesa per dare un ordine a queste ombre sintetiche, fino a lasciare spazio alla voce di Riverso, mostrandoci la vera natura cantautorale della sua musica.
Questa prima parte è un dormiveglia in cui prendere lentamente coscienza di sé, ancora disorientati dai tumulti di una notte insonne di cui non ci si ricorda granché. È lo stesso smarrimento di chi si trova a vagare in un presente disordinato come il nostro, così frenetico e soffocante da non lasciarci grossi strumenti per trovare un nostro equilibrio. Per questo diventa necessario crearne un’altra, rifugio dello spirito in questi tempi complessi: il passaggio è dettato dalla strumentale dalle venature noise La stanza.
La seconda parte, quindi, fa montare l’inquietudine, lascia che l’angoscia si stagli sui brani con la sua ombra minacciosa, fino a mostrare quanto può davvero paralizzare la paura, nonostante i suoni si ammorbidiscano e virino più verso il classico. È tutta una preparazione per la terza e ultima parte, il finale del disco: qui ricordi autobiografici si accavallano tra di loro, diventano appigli a cui aggrapparsi, anche se possono essere dolorosi o aprire ferite non del tutto rimarginate nel cuore. D’altronde è questo che ci fa sentire davvero vivi. Non so nulla degli Dei, ma parecchio del genere umano.
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L'articolo Riverso tra anima e corpo di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-04-19 10:59:00
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