La scorsa settimana sono iniziate le proiezioni in diverse città emiliane di "Offlaga Disco Pax", il documentario di Pierr Nosari dedicato al trio reggiano. Sara Scheggia l'ha recensito, mentre Filippo Cicciù è andato alla prima di Ferrara per scambiare due chiacchiere con la band e il regista. Ne è uscito un lungo articolo che cerca di analizzare il fenomeno Offlaga sotto diverse angolazioni, un modo diverso per domandarsi - e magari trovare qualche risposta - perchè il loro "piccolo mondo antico" ci è piaciuto così tanto, e come mai ci emozioniamo ancora nel sentire storie di pompini, di macchine rimosse dai vigili, di gomme alla cannella.
IL FENOMENO TASCABILE
La paura di Max prima di salire sul palco, lo stupore di Daniele per le duemila copie del primo disco vendute in due mesi, la crisi da fretta di Enrico per il completamento di "Onomastica". E poi, t-shirt di ascolti vecchi e nuovi, bottiglie di vino in sala prove, flipper durante le registrazioni. Sono alcuni flash di "Offlaga Disco Pax": un video-racconto dedicato alla band reggiana che viene presentato in questi giorni all'interno di "DocInTour 2009", rassegna della Regione Emilia Romagna che promuove la diffusione del documentario nelle sale.
Se lo meritavano un vero rockumentary, gli Offlaga. Uno sguardo esterno che ci raccontasse chi sono e perché un gruppo che parla di case popolari e gomme alla cannella riuscisse ad avere tanto successo, senza cantati melodici e con basi analogiche per molti isteriche e ripetitive. Dietro potrebbe esserci davvero una certa sete di rappresentanza: quella che la politica di oggi non dà e per la quale tocca sempre guardare al passato. Pierr Nosari si è fatto tutte queste domande: ad alcune ha dato risposte convincenti, a molte non ha trovato seguito. Forse perché se le è poste male o poco. Probabilmente perché il puzzle è fin troppo complicato.
"Offlaga Disco Pax" dura poco più di un'ora e si divide in due parti: una vera e propria biografia cronologica della band, e una testimonianza della genesi di "Bachelite", dalla sala prove di Cavriago agli studi bolognesi dell'Alpha Dept. La firma ce la mette Nosari, che nel 1998 aveva già realizzato un lavoro simile per i Massimo Volume.
Il regista li fa parlare: del nome che si sono dati e dei titoli del primo disco, di come si intrecciano le storie scritte da Max con gli strumenti di Enrico e Daniele. Delle loro crisi al momento di mettere la parola fine ad un pezzo, di quanta gente c'era al Covo di Bologna svariati mesi prima dell'uscita di "Socialismo Tascabile". Soprattutto nella prima parte, li usa come quadrati da far comparire sullo schermo, che si incastrano sul filo narrativo dettato dal "fiero comizio d'esordio". Un filo quasi da cliccare, tanto assomiglia all'impaginazione web la grafica delle titolazioni a comparsa e delle interviste. La seconda parte è invece più statica e a tratti noiosa: fotografie rubate ai giorni in cui "Bachelite" prendeva forma, con infinite discussioni su effetti o parti da togliere.
Il fenomeno Offlaga, dunque. I premi, il passaparola. La copertina di Rumore, la prima dedicata ad un gruppo "emergente" nazionale. Pierr Nosari ha voluto capirci qualcosa, con un ulteriore intento: raccontare le radici di un socialismo tascabile, ormai da personalizzarsi, e lo stato di "quella parte di popolazione che si sente senza rappresentanza – come si legge nella presentazione del documentario – esplosa dopo le elezioni politiche dell'aprile 2008".
Obiettivo ambizioso, che però non sembra essere stato centrato in pieno: dal racconto, infatti, questa parte d'Italia che ascolta gli Offlaga perché al governo c'è sempre Berlusconi, non emerge. Non si vede nel cartello delle poste cecoslovacche (Ceska Posta, lo attaccano spesso anche sul palco, NdR), non si legge sui sottotitoli dell'onomastica regionale, non si percepisce dalle poche immagini della strage del 2 agosto. Perché oltre al fotogramma dell'orologio della stazione di Bologna, forse bisognerebbe anche interrogarsi sul 25 aprile, o sui circoli Arci. Sui vecchi IACP che ora si chiamano Acer. Sul fatto che anche in una minuscola frazione della Romagna c'è piazza Carlo Marx.
Il consociativismo, le associazioni di quartiere che non si stancano di denunciare malfunzionamenti, l'università che anche ai fuori sede convenziona il medico della mutua. Il sindacato ieri e i cassa integrati di oggi, le pagine locali dell'Unità che ancora vengono attaccate alle bacheche vicine alle fermate degli autobus. Punti di partenza in cui non si cercano certo messaggi di militanza: gli Offlaga non ne hanno mai mandati, e lo dimostra il fatto che nei loro testi siano rarissimi gli agganci all'attualità. Che sia solo fascino per quel "piccolo mondo antico" che ci hanno tolto o che non abbiamo mai visto? Un po' come tutti i revival, che magicamente trasformano in figata il peggior trash del decennio precedente.
Chiaro che non è solo buon odore da revival, e che fino a vent'anni fa era tutto più semplice: DC vs comunisti, linguaggio politico e obiettivi diversi ma chiari. Le ideologie semplificano la vita, da secoli, oggi fanno fatica a nascerne di nuove e quelle vecchie sono talmente desuete che non interessano e confondono. E allora vale il discorso sull'epica dell'Emilia Rossa che aveva fatto Max tempo fa: "la sente in maniera forte solo chi non l'ha vissuta realmente. Da fuori sono viste come cose straordinarie e particolari, per noi è vita quotidiana".
L'attrazione verso qualcosa che non si è vissuto e che assume connotati mitici. C'è qualcosa in più, ed è la stessa voglia di riscoprire luoghi, odori e storie vere che c'è, per esempio, dietro al boom de Le luci della centrale elettrica. Perché Vasco Brondi ha avuto un simile exploit? Perché riempie i locali anche dopo due anni di tour? Perchè parla di Ferrara, di strade, di panorami che riportano l'ascoltatore in una dimensione tangibile, riconoscibile e magari già sperimentata. Non è eterea, non tratta il malessere con toni immaginifici. Ecco, gli Offlaga ci riportano per strada. In una strada che molti di noi non conoscono perché non ancora nati o perché, invece che in Emilia, siamo cresciuti a Roma, Milano o Palermo. Danno coordinate precise: vie, persone che si chiamano Maude o Morgana, storie, se volete, anche banali (mi rimuovono una macchina usata e me la vado a riprendere).
Città e luoghi sono un po' spariti dai testi delle canzoni che ascoltiamo, a Sanremo come al MI AMI. E quando qualcuno ce li riporta in superficie ne siamo attratti, al di là del genere. Un po' come ritornare nel mondo vero in cui ci si tocca e non c'è nessuno status da aggiornare. In cui può anche capitare che una ragazzina ti faccia un pompino per ringraziarti di averle dato un pezzo di cioccolato.
Credo sia questo il punto, al di là di gusti e giudizi musicali. Gli Offlaga hanno venduto 7000 copie in un anno, e il documentario è un'interessante monografia d'autore che ce li fa conoscere meglio. Sacrosanto far parlare i testi e i protagonisti, ma forse l'errore è anche nostro, di chi di musica se ne occupa dall'altra sponda. Perché per andare più a fondo tocca farsi altre domande. E, soprattutto, toccherebbe farle a chi 'sti dischi li compra, li ascolta e li digerisce. Ognuno a modo suo, in versione tascabile. // Sara Scheggia
(Un estratto dal documentario)
Offlaga Disco Pax, Zuni di Ferrara
Proiezione dell'8 aprile
Quando iniziano a scorrere le prime immagini del rockumentary sugli ODP sono passate da poco le dieci e lo Zuni è stipato. Il chiasso che accompagna l'ennesimo brindisi e le chiacchiere del dopocena sfumano lentamente, mentre in fondo alla sala comincia a prendere forma lo sguardo del regista Pierr Nosari sul lavoro di uno dei soggetti musicali più interessanti degli anni zero, e non solo.
"Avevo molta curiosità nei confronti degli ODP da quando, nel giugno del 2007, ho ascoltato "Tatranky" che mi ha veramente lacerato": Pierr ci tiene a dire che l'idea di questo documentario è stata una sua esigenza per cercare di spiegare, anche a se stesso, il 'caso' ODP. "Volevo capire perché proprio loro avessero rappresentato questo tipo di caso all'interno della musica indipendente italiana – continua - ma non ho alcuna pretesa di spacciare questo lavoro per un documentario antropologico o sociale". Il pubblico è attento e inaspettatamente silenzioso mentre gli Offlaga raccontano sé stessi alla telecamera, fotografati dentro la grafica di "Socialismo Tascabile": "Per quanto riguarda l'estetica del documentario il catalogo è stata una delle linee direttrici – dice il regista - avevo notato che negli ODP c'era un progetto dal punto di vista musicale e della scrittura, ma anche un progetto molto importante dal punto di vista grafico, si sono sempre ispirati alla Factory Records, l'etichetta dei Joy Division che catalogava tutto, dalle buste paga agli ordini dei materliali, quindi ho seguito la grafica e il concetto del catalogo. Il documentario è fatto come se fosse impaginato più che girato".
Complice un impianto audio che non sempre funziona come dovrebbe, dopo una mezz'oretta l'attenzione del pubblico comincia a perdersi, proprio quando la telecamera si intromette silenziosa nello studio di registrazione durante la lavorazione di "Bachelite". "Guardando le riprese questa sera mi sembra che raramente possa trasparire dalle nostre facce il fatto che siamo osservati – confessa Max Collini - personalmente non mi sono quasi accorto che la telecamera fosse accesa, ormai faceva parte della tappezzeria, non gli davo più tanta importanza a tal punto che non condizionava più il mio comportamento, potevo tranquillamente dormire sul divano o giocare a flipper. Probabilmente l'ha fatto con intenzione, ha sempre lavorato da solo cercando di non disturbarci, rendendosi il più possibile invisibile, proprio per non condizionare con la sua presenza il nostro lavoro".
L'ultima parte del video è una parentesi sul brano "Sensibile", e risveglia i presenti che non sono ancora usciti a fumare. A fine proiezione scambio due parole con Max su quel brano: "Ho scritto quel testo credo nel 2002, dopo aver letto "A mano armata", il libro di Giovanni Bianconi che ripercorre la storia dei NAR. "Sensibile" è una riflessione rispetto a quella lettura così forte. Oltre alla strage di Bologna, alla quale molti riconoscono il beneficio del dubbio, c'è anche tutto il resto che è talmente grave, violento e sanguinario che non può prescindere dal bene e dal male. La divisione tra bene e male è una divisione che nasce abbastanza presto, e quando vedo queste alzate di spalle o qualcuno che dice 'voi non potete capire quegli anni perché non gli avete vissuti', mi viene da dire 'ma perché no?'. Posso capire che fossero anni violenti ma certamente alcune cose che hanno fatto questi qua, anche se accadute all'interno di un contesto violento non possono essere giustificate. Credo solo che bisognerebbe fare uno sforzo per fare comprendere che queste due belle facce pulite che vanno in Tv e scrivono libri non hanno alle spalle soltanto qualche errore di gioventù ma ben altro".
Quelli che si fermano a scambiare due parole con gli Offlaga e Nosari, per il dibattito in programma a fine proiezione, sono un po' meno rispetto a quelli che c'erano all'inizio, forse perché l'aria dello Zuni è ormai tanto viziata da essere irrespirabile, forse perché si sono stufati di stare in piedi a metà del film. La chiacchierata è breve e non troppo interessante, e si chiude con la solita domanda su chi erano il fonico e il cantante in "Lungimiranza". Max chiosa rispondendo: "Ovviamente Bruce Springsteen e Tom Waits". // Filippo Cicciù
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L'articolo Offlaga Disco Pax: Rockumentary di Redazione è apparso su Rockit.it il 2009-04-14 00:00:00
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