Il sogno dei Suburban Noise, il primo e più concreto dopo vari EP spalmati negli ultimi venticinque quasi-trenta anni, giace appeso a due estremi: da un lato la melodia, i rassicuranti ritornelli, il sogno felice dell'emocore declinato al melodic-punk; dall'altro l'indole squassante dello skate-punk (oh, te lo ricordi lo skate-punk?), distorsioni, fragore di rullante che pulsa e incombe, sempre sostenuto da adeguate liriche e da un denso, veloce e potente sottofondo strumentale.
Segno, questo, esplicito di un felice raggiungimento della temuta età adulta. Somewhere Between Now And Forever, uscito lo scorso dicembre per Shove e Overdrive, contiene pochi brani (otto) che scelgono un capo o l'altro; piuttosto, la regola è quella di un viaggio (in)quieto da qui a lì, senza traumi, senza nervi scoperti, senza accori, così che il disco finisce per comunicare le stesse sfumature della controra immortalata sulla bella copertina.
Non si può agonizzare nel falso mito della ballatona, sembrano suggerire i tre leccesi, ma il destino non può essere neanche quello di un'onda che tutto sommerge: varietà, piuttosto, frammenti, persino inserimenti di piano, stati d'animo che fluttuano tra le onde di quello che è già uno dei dischi punk più belli e riusciti dell'anno. Ho modo di parlare con Luca e Luigi, rispettivamente voce/chitarra e batteria dei Suburban Noise, a ridosso del festival di Sanremo e già per questa salvifica via di fuga al carrozzone nazional-popolare mi stanno ancora più simpatici.
So che avete già fatto un concerto reunion, a Taranto, a fine dicembre, com'è andato?
(Luca) È stata una bellissima serata. Abbiamo condiviso il palco con i Carne e Arsenico, per noi una sorta di ritorno alle origini, non solo geografiche. Abbiamo provato la scaletta solo due volte, veri e propri salti mortali per esserci, ma ne vale sempre la pena.
In realtà nel 2019 c'era stato un sussulto con Now/Here, giusto?
(Luigi) Sì, siamo stati toccati da quel che è successo a Marco Morosini (bassista e cuore pulsante di Eversor e Miles Apart colpito purtroppo da un'emorragia cerebrale. nda) e durante la lunga degenza ho scritto Our Simple Song e di lì a poco Luca ha proposto Ora Qui, che aveva scritto un po' prima: entrambe sono dedicate a lui.
Però, neanche a farlo apposta, nell'anno nero del Covid. Oppure allora non c'era una vera volontà di riprendere a far musica?
(Luigi) Giusto, non era in programma. Poi succedono cose come questa che riaccendono l'urgenza.
La formazione è rimasta immutata: siete sempre tu Luigi, con Luca e Stefano?
(Luca) Sì, abbiamo iniziato a suonare insieme a 15/16 anni, ma eravamo già amici da lungo tempo. Abbiamo chiesto la collaborazione di due grandi amici, Andrea Schiavone e Riccardo Raho, per i take di batteria di A Poem’s Line ed Inside Out.
Avete cominciato con un demo del quale ricordo il prezzo imposto a 3000 lire, come si usava...
(Luigi) Si, erano piccoli dettagli che lasciavano intendere che oltre alla musica e al divertimento c'era dietro un’etica.
E della copertina terrificante che ricordi hai, chi la disegnò?
(Luca) In realtà ci siamo molto affezionati! E' opera di Stefano Tramacere, un nostro amico skater di Campi Salentina, oggi Direttore della Fotografia con diverse produzioni all'attivo.
Quali erano le influenze iniziali?
(Luigi) Abbiamo iniziato ascoltando metal, Negazione e Kina. Poi eravamo tutti e tre skateboarders, quindi eravamo affascinati dalle soundtrack dei video di skate di fine '80 e primi '90 e quindi band come Pegboy, Husker Du, Descendents o Big Drill Car per citarne alcune.
E’ vero che odiavate i NOFX pur essendo degli skater o è una leggenda metropolitana?
(Luigi) Ahahah addirittura leggenda metropolitana? Comunque no, anzi Punk in Drublic lo ritengo un disco decisivo per varcare il limite del mid-tempo nel nostro song-writing. Forse però a un certo punto ci siamo sentiti distanti dall’immaginario che rappresentavano, e più prossimi alla scena di cui facevamo parte, in cui se avevi un bollino SIAE o un codice a barre sul disco non eri degno di essere ascoltato.
Vi siete consolidati parallelamente a realtà come Samiam, Lifetime e Sense Field, che ricordo hai del sottobosco emocore di metà anni '90?
(Luigi) Uscivano dischi di continuo! Allora si usava andare per etichette: se la Revelation Records o Jade Tree, piuttosto che Green Records o BluBus per stare in Italia, buttavano fuori un gruppo che ti conquistava, esploravi tutto il roster della label. I Sense Field sono tuttora tra i gruppi che amiamo di più e ho avuto l’onore di essere ospitato da Jon Bunch a Los Angeles nel 2006. Indimenticabile!
E come giungeva la musica di questo tipo a Lecce?
(Luigi) Arrivava con ordini dai cataloghi presenti sulle fanzine, scambi con altre band, amici che tornavano da viaggi, concerti al nord e cose del genere. L'algoritmo di allora era fame di novità e curiosità.
Poi arrivò Sunward, nel 1997, questa volta in stiloso 7", a torto considerato il vostro secondo demo quanto invece è la vostra prima uscita ufficiale.
(Luigi) Sì, uscito in prima battuta come demo, poi ci fu proposto di fare un 7" da Roberto Liuzzi e la sua Terapia Intensiva. Accettammo con entusiasmo e da lì partì una cordata di co-produttori che ci permise di realizzare un piccolo sogno.
Però all'epoca se non cantavi in italiano dicevano che te la menavi o che eri un wannabe!
(Luigi) Nella scena salentina non ricordo ci fosse questa distinzione.
Dicevo in linea generale, non nella scena punk, anche se a Roma c'erano Bloody Riot, Colonna Infame Skinhead o Tear Me Down che in effetti ci hanno creato un culto...
(Luigi) Certamente il periodo era caratterizzato da una forte etica DIY che attraversava un po' tutto lo stivale. Il principio ideale di fondo era “Punk nella testa non nella cresta”, ma il processo che ha portato a quel modo di concepire le cose nasce nel periodo a cavallo tra fine '80 e primi '90 ed è ben descritto nel libro Disconnection, di Giangiacomo De Stefano e Andrea ICS Ferraris.
Che effetto vi facevano i paragoni importanti nelle recensioni a Farside e Jawbox?
(Luigi) Ci facevano molto piacere, alcune band le abbiamo scoperte proprio grazie alle recensioni su di noi. Per esempio i Lifetime, che non avevamo mai sentito prima.
L'emo viene sempre attribuito a gruppi del nord come i Frammenti o i NuvolaBlu di Torino, gli Irrealtà di Vicenza, al massimo si va a Pesaro con gli Eversor ma sembra che piuttosto di scendere a Lecce si vada ad Aosta, dai Kina, a cosa attribuisci questa sbadataggine?
(Luigi) Non era una sbadataggine degli altri, eravamo semplicemente fuori dalle mappe. Vivere nel sud della Puglia nei primi anni '90, nonostante si iniziasse a parlare di globalizzazione, ti faceva un emarginato. Credo che sia proprio per questo che abbiamo provato un fascino per le controculture che erano allora lo skate e un certo modo di intendere la musica. Detto questo, quasi tutti i gruppi da te citati sono stati fondamentali per noi, e Kina ed Eversor su tutti.
Voi però siete stati forse accolti meglio nel circuito indie, mi ricordo di un supporto ai One Dimensional Man...
(Luigi) Quello fu al Maizza Festival nel '98, forse la più grande manifestazione musicale e culturale veramente indipendente in Puglia in quel momento, ma non fu un supporto diretto, semplicemente eravamo stesso festival. Se parliamo di circuito, il nostro era quello del DIY fatto di piccole label, fanzine, spazi autogestiti e relativi eventi.
Seguivate qualcosa di indie? In fondo i Mudhoney si dicevano grandi fan dei Fugazi...
(Luigi) Non che ricordi. Come sai negli anni '90 c'era tanto crossover tra generi e sia noi che i nostri amici avevamo gli ascolti più disparati.
Dai, nemmeno Lemonheads o Smashing Pumpkins?
(Luigi) Ma chi di noi non ha ascoltato Siamese Dream o Mellon Collie?
In effetti. Intanto siamo arrivati al primo CD, Here Comes The Sun: un po' Beatles e un po' Negazione...
(Luca) Il titolo ci piaceva tanto come suonava, poi dentro la parola Sun c’è un mezzo acronimo per Suburban Noise, quindi era anche un po' un gioco di parole. I riferimenti musicali che tu menzioni erano più “in the back of our mind” in quel momento.
Che ricordi hai della vostra attività live in quel periodo?
(Luca) Oggi abbiamo un po' di rimpianti per non aver suonato di più in giro nel periodo dei nostri vent'anni, anche fuori dall’Italia. Una volta abbiamo addirittura rifiutato la possibilità di un tour in Inghilterra: a ripensarci oggi ci sembra assurdo, ma la necessità di ultimare gli studi e/o di iniziare a lavorare deve a un certo punto aver preso il sopravvento su tutto il resto.
Parliamo invece del vostro sound: pochi hanno sottolineato il vostro essere "californiani", che non è una cosa così scontata. Io farei, anche molto prosaicamente, un parallelismo con certa roba che finiva nelle compilation di Thrasher. Me lo appoggi?
(Luigi) Si in effetti eravamo un bel mix di cose: malinconici (ma positivi) nella musica, salentini nello spirito e skaters nell’attitudine. Il nostro sound riflette un po' tutti questi aspetti e penso che il parallelismo anche balneare con la California fosse molto vivo in noi all’epoca.
Eravate musicalmente preparati o partivate tutti da autodidatti con il vostro estro e basta?
(Luca) Eravamo praticamente autodidatti, solo io avevo preso delle lezioni di chitarra privatamente: imparavamo soprattutto ascoltando tanta musica, orecchiando accordi e parti di basso e batteria, aiutandoci tra di noi e poi mettendo su delle cover. Ogni volta che qualcuno di noi prendeva un disco nuovo, era pane per i nostri denti!
Poi c'è stato uno split nel 2000 ma soprattutto la raccolta del 2009 per un'etichetta giapponese, ma vi hanno contattato loro?
(Luigi) Sì, ci hanno contattato loro sul mitico Myspace. Anche il nuovo album è co-prodotto da una storica etichetta di Tokyo, Waterslide Records, con 245 uscite all’attivo. In Giappone siamo arrivati nel 1998 attraverso delle copie di Sunward che ho scambiato con Yoichi di Snuffy Smile Records al Green Records Festival al Plan 9.
Come avete vissuto il passaggio dei tempi, delle mode, degli stili?
(Luca) Direi a volte con curiosità, altre volte con disincanto. Mi sembra però che ultimamente le persone abbiano di più il desiderio di ascoltare la musica con profondità, di tornare ad affezionarsi alle band, a canticchiare i testi. Mi sembra che il ritorno al vinile ne sia un po' il segno.
E che cosa ne pensi di quei gruppi che sono riusciti a mantenere uno spazio mediatico anche grazie (se non solo) all'over-produzione e al culto di se stessi?
(Luca) Penso che, se si sceglie di vivere di musica, occorre spesso scendere a dei compromessi e, in tal senso, alcune label, le Major soprattutto, impongono dei vincoli più o meno dittatoriali. Ad ogni modo, ritengo che bisognerebbe sempre cercare di restare il più possibile autentici e veri in ciò che si fa: per noi il punk ha rappresentato e rappresenta soprattutto questa possibilità.
Torniamo a voi. Somewhere Between Now and Forever è un titolo impegnativo non trovi?
(Luca) Sì, decisamente! E' preso da un verso di A New Day. Volevamo sottolineare che la nostra storia va avanti nel tempo nonostante i vari impedimenti. Portiamo nel cuore il desiderio che questo continui ancora, consapevoli che “l’unica nostra forza è la sincerità”, come cantavano i Negazione nel loro bellissimo pezzo Il Giorno del Sole.
Ho saputo del disco da Alessandro Baronciani ma non è l'unico vostro fan eppure mi hai detto sorprenderti molto quando senti che qualcuno più o meno noto vi conosce...
(Luigi) Sì mi sorprende perché siamo stati una realtà molto piccola, con una storia breve iniziata in periferia, e noi eravamo il rumore di periferia appunto.
Di che tipologia pensi possa essere il vostro pubblico odierno?
(Luca) Penso ai tipi della nostra generazione che hanno già l’orecchio allenato, ma spero anche i ragazzi più giovani che si affacciano oggi al panorama rock.
Nei nuovi brani c’è il cipiglio della maturità, i ritornelli entrano ancora in testa e l’approccio resta emozionale, ma a tutto si aggiunge un'encomiabile professionalità che rende tutto molto più elegante che in passato. Ti senti di concordare?
(Luca) Concordo pienamente! Penso ad Aaron: un brano che abbiamo scritto di getto agli inizi, nel ’95, quando eravamo ancora acerbi: l’abbiamo ripreso, completato e sistemato con un vero testo, perché allora sparavo parole un po' a caso, e con un bel sound 90's, ricercato dal nostro Stefano, aka Steve Albini del Salento, owner del mitico Sudestudio!
Potendo scegliere, cosa preferiresti rimanesse più impresso al pubblico: la musica o le parole?
(Luca) Spererei entrambi, la musica e le parole insieme hanno una incredibile capacità evocativa. Ma forse più le parole: è sempre bello canticchiare un testo per strada, in bicicletta o sotto la doccia!
Ora Qui e Lontana La Riva se non sbaglio sono le prime tracce in italiano dai tempi di Come i Fiori ma hanno una maggiore pienezza...
(Luca) Non sbagli, ma siamo comunque affezionati a tutte e tre per motivi differenti.
C'è una canzone del nuovo disco a cui sei particolarmente legato?
(Luca) Penso ad Inside Out: è un brano sulle sfide e, al tempo stesso, sulla bellezza della paternità e genitorialità. Per me c’è stato come uno spartiacque, un prima e un dopo: diventare papà ti decentra tantissimo, per poi ricentrarti su diversi aspetti, come per esempio, non banalmente, sul significato stesso della libertà, tua e dei figli.
Ho molto apprezzato la veste grafica, un po' malinconica alla Menzingers un po' surfista alla Fu Manchu, quali sono le tue copertine del cuore?
(Luca) Tra quelle del cuore c'è Three To Get Ready dei Gameface, Little Dreamer dei Negazione, Nothing Feels Good dei Promise Ring e il bellissimo artwork di Killed For Less dei Sense Field.
Ci sarà un seguito a questo disco o dovremo aspettare altri dieci anni?
(Luca) Ora come ora proviamo a guardare le cose in prospettiva, senza cioè imporci una tabella di marcia o delle scadenze obbligate. Piuttosto cerchiamo di stare alla realtà con uno sguardo aperto rispetto a ciò che per noi può essere concretamente fattibile, per esempio suonare in giro ma anche, perché no, per altre uscite discografiche, piccole o grandi che siano.
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L'articolo Il sacro graal dei Suburban Noise di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2023-02-27 10:15:00
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