Perché Sanremo é Sanremo, nel bene e nel male

Con un tweet il ministro dimissionario Franceschini ha fatto sapere che non vuole il pubblico al Festival di Sanremo, neanche i figuranti pagati. Per la tv di Stato dare il buon esempio è necessario, ma Sanremo è più simile ad Amici di Maria De Filippi che a La Scala o Glastonbury

28/01/2021 - 14:30 Scritto da Simone Stefanini

Il momento politico è caldissimo: la crisi di Governo al buio in piena pandemia, l'instabilità sociale, sanitaria, economica del Paese, i ritardi nel piano vaccinale e tutti i titoli che tengono banco al TG. Ma in questi giorni sui social si è fatta una gran polemica sul Festival di Sanremo 2021: prima per la data, poi per il cast (formato in parte da un sacco di artisti sconosciuti al nazionalpopolare), poi per la presenza o meno del pubblico

Il ministro (dimissionario, come tutto il Governo) per i beni e le attività culturali Dario Franceschini, in un recente tweet sembra voler mettere la parola fine ai sogni di gloria del direttore artistico Amadeus: "Il Teatro Ariston di #Sanremo è un teatro come tutti gli altri e quindi, come ha chiarito ieri il ministro  @robersperanza, il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno per tutti i teatri e cinema. Speriamo il prima possibile". Si dice che Amadeus l'abbia presa talmente bene da pensare di lasciare la conduzione a poco più di un mese dall'inizio. Ma queste sono voci di corridoio, meglio analizzare i fatti.

via Twitter
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Amadeus ha spinto sull'acceleratore dei desideri proibiti quando ha chiesto all'azienda Rai la nave da crociera su cui mettere in quarantena preventiva il pubblico, i tecnici e i musicisti del Festival al tempo del covid, attirando le ire di chi gli ha contestato che la TV di Stato dovrebbe pensare a tutti i lavoratori dello spettacolo, che da un anno non possono fare alcunché. E a pelle capiamo il dissenso, ma non amiamo particolarmente la mentalità sbirra del "se resto chiuso io, chiudi anche tu". Meglio lavorare affinché si possa riaprire tutti, e intanto sostenere chi può farlo prima degli altri: è comunque un segnale di ripartenza e di solidarietà.

Sanremo è la cassa di risonanza più vibrante d'Italia. Lì si può parlare di istanze di ogni tipo e, viste le band e i musicisti in gara quest'anno, di sicuro l'argomento dei lavoratori della musica sarà affrontato e dibattuto. Fare il Festival senza pubblico, o senza figuranti pagati (come sembrava poter essere la soluzione ultima), toglie un sacco di appeal allo spettacolo.

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In primo luogo perché il teatro Ariston, in quei giorni, rappresenta lo studio di una trasmissione televisiva in Eurovisione su cui sono sintonizzati milioni di persone. Pretendere di applicare la stessa restrizione dei teatri è ridondante: nei programmi televisivi italiani il pubblico c'è, da Maria De Filippi a X Factor, e nessuno ha mai creato rivoluzioni in merito. I luoghi in cui vengono registrati sono teatri (di posa) e i concorrenti, lo staff e i tecnici sono tamponati, così come il pubblico. Perché Sanremo deve fare la differenza?

Un grave male di questi tempi è il check dell'umore del Paese sui social. Lo fa da sempre il Governo Conte, che lascia trapelare spoiler di dpcm per tastare il polso e correggere provvedimenti in corsa. E lo ha fatto Franceschini commentando il malcontento di molti su Facebook, che hanno battuto i piedi contro Sanremo col pubblico. Tanti dei quali su base pregiudiziale, basandosi su voci di corridoio, ipotesi, gossip.

Il Festival di Sanremo ha bisogno dell'interazione del pubblico, dell'applausometro o dei fischi, del lancio dei fiori, del: "Pensa a cantare!", urlato da un qualche primate all'indirizzo del cantante che vuol veicolare un messaggio. Non soffermiamoci sul fatto che ci piaccia o meno, piuttosto su quanto potrebbe essere l'occasione per puntare un faretto sul mondo dello spettacolo e rimettere in moto la macchina, dopo un anno in cui quasi nessuno appartenente al settore musica ha lavorato dignitosamente.

È semplicistico fare l'equazione: "Sanremo col pubblico, ma i concerti no". E incazzarsi perché i club o i promoter indipendenti non hanno certo la potenza economica per fare i tamponi rapidi a tutto il pubblico e rispettare ogni restrizione, tenendo il prezzo del biglietto umano. Mentre le grandi multinazionali del live, coi soldi a palate, hanno deciso (non certo da oggi) di stare ferme, finché non si potrà ripartire in tutta sicurezza per fare di nuovo una montagna di soldi coi token e i biglietti a quasi 100 euro a persona. Quella direzione sarebbe più pertinente per voler indagare e arrabbiarsi, ma serve approfondimento. È molto più semplice prendersela con Sanremo.

Al momento non sappiamo come finirà la battaglia, se Amadeus (che pure non ci è mai stato molto simpatico) porterà a casa il risultato, o se i social comanderanno di nuovo le scelte politiche di questo Paese. Noi ribadiamo che vietare non è mai la soluzione e, nel caso il Festival dovesse saltare, ci dispiacerà molto per tutte quelle persone che stanno tentando di riniziare a lavorare nel settore. 

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L'articolo Perché Sanremo é Sanremo, nel bene e nel male di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-01-28 14:30:00

Tag: Sanremo

COMMENTI (1)

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  • pons 3 anni fa Rispondi

    Giusto.