Uno scudo sonoro per Nikolaj Kulikov

Da polistrumenista, come arrangiatore, nei Bologna Violenta, Nicola Manzan è lo sperimentatore per eccellenza dell’underground italiano. Il suo nuovo viaggio, ricco di synth e ricerca musicale, è dedicato al militare che in piena Guerra Fredda fu scelto per difendere lo spazio sovietico

Nicola Manzan con colbacco
Nicola Manzan con colbacco

L'opera di Nicola Manzan - vasta, multiforme e distribuita in un arco temporale di oramai quasi tre decenni, contando le collaborazioni - ha acquistato, sia come Bologna Violenta che a proprio nome, piena maturità quando l'artista veneto ha trasposto l'approccio (a suo modo) poetico e (di sicuro) istintivo dei suoi primi lavori sperimentali, risalenti alla prima metà degli anni Zero, nella forma più meditata delle installazioni site specific vere (Uno Bianca, La Città del Disordine) o immaginifiche (Bancarotta Morale) e più in generale delle elaborazioni concettuali sviluppate nella seconda parte della sua carriera, a partire dal 2014.

Proprio di questo fondamentale passaggio nel percorso creativo di Manzan è figlio Nikolaj Kulikov (2022, su Overdrive Records e Dischi Bervisti), incentrato sulla storia di un dimenticato militare scelto dall’Armata Russa per un percorso di addestramento tra terra e spazio volto a creare un sistema di difesa simile allo Scudo Spaziale statunitense, essenziale per comprendere il processo intellettivo che guida il nostro fra le molteplici sfaccettature di quella che credo sia oramai a tutti gli effetti “sound art” e non semplice “sperimentalismo da cameretta” - come venne definito da qualcuno una decina di anni fa.

 

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A partire dagli esordi, quando si innamorò del metal per distaccarsene quando il grindcore divenne più una sfilata di “fenomeni” che un genere musicale, Nicola Manzan ha sempre basato il suo lavoro sulla forza comunicativa delle idee e su un'estrema spontaneità, anche quando le sue opere hanno preso connotazioni complesse e mutevoli grazie alle continue interrelazioni fra suono, storytelling, arte grafica, visual e una buona dose di trip (più o meno) mentali.

Per definizione del suo stesso artista, letta non ricordo dove, il suo è un approccio lowercase, ovvero minimo, focalizzato sui dettagli ed estremamente parco di virtuosismi e arzigogoli. Ecco, in tal senso, Nikolaj Kulikov, mai banale fin dal formato in cui viene edito, in tripla musicassetta realizzata manco a dirlo dai ragazzi di Tape It Easy, sembra ispirato tanto dalla kosmische musik di Schulze quanto dalle visioni di Rilke dell'arte come filosofia del creare e del vivere così come dalla scelta di Dubuffet di volere fare arte “senza” (virgolette) nozioni, sperimentando da “dilettante” (virgolette) in modo idillico e diretto, e usando strumenti altri rispetto a quelli soliti, propri, confidenziali.

Così: quello usava gusci d'uovo, gomma e lacche al posto di colore e pennelli, Nicola usa sintetizzatori, organi elettrici, batterie elettroniche, nastri e vinili d’epoca al posto del violino o della fida Gibson SG. Tutto, nella pratica compositiva, sembra così scaturire da un mix di aleatorietà (si pensi all'estrema estemporaneità della durata delle tracce: dal minuto e ½  di Space Theory e Anthem Of The Soviet Union  ai 13 minuti di Departure e Cosmic Training) e di assoluta perizia nel montaggio, fin troppo spesso affidato in modo passivo e asettico a meri software.

Non so se la Netflix abbia una succursale italiana ma, se così fosse, non troverei una cavolata prendere in considerazione l'idea di assumere Nicola Manzan come sceneggiatore. Se non altro, per la sua innata capacità di anticipare i gusti, le curiosità e gli interessi del pubblico con una sorprendente naturalezza. Nello specifico di Nikolaj Kulikov verso il retro-futurismo che ultimamente sta ritornando di interesse collettivo. 

Dieci pezzi, dieci piccoli colossi davanti ai quali si resterà a lungo ammutoliti per la potenza d'ingegno del proprio compositore ed esecutore, in un percorso che non può non partire da quella che è la prima emanazione, Departure, 13 minuti che fanno sgranare gli occhi davanti a  qualcosa come potrebbe essere la fotografia della nascita di una stella, roba che non corre affatto ma è come se il tempo diventasse una remota sottotraccia, con subliminali scansioni classiche che rendono tutto più paradossale e non pensabile se non là nel contesto dove l'espressione musicale sconfina nell'arte.

Poi, tutto il resto: fili d'organo ambientale, sottilissimi minimalismi evanescenti che non sembrano neanche suono ma risonanze di liquidi amniotici ultraterreni che sciabordano prossimi al silenzio siderale e finiscono in malinconiche ballate folkloriche, aperture di epica sovietica synthetica che riprendono le voci e i suoni (a tratti inquietanti) provenienti dalla stessa epoca, atmosfere spaziali e stati d'animo anche atipici di questa nostra piccola istituzione della musica strumentale che prende il nome di Nicola Manzan.

“Ho pensato alla storia di Nikolaj Kulikov come a una metafora della vita. Quando sta per passare il famoso treno e ci si sente pronti e consapevoli che sia l’occasione perfetta per migliorare la propria esistenza. Ma questo treno, quando arriva, anche se noi ci siamo saliti con la massima convinzione, non parte più, anzi, ci lascia in braghe di tela”. Mi dice Nicola. Onde per cui non è poi così scontato capire a chi consigliare siffatto manufatto come Nikolaj Kulikov. Certo è che ben facilmente lo farò girare nel mio stereo e che rappresenti una delle tappe più riuscite verso un futuro che promette ulteriori tasselli d'arte sonora.

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L'articolo Uno scudo sonoro per Nikolaj Kulikov di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-05-20 09:56:00

Tag: album

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