Cosa si insegna nelle scuole italiane durante le ore di musica?

Flauti, melodiche, pianole? Abbiamo cercato di fare chiarezza sulle ore di musica nella scuola italiana

- (Foto via www.scuolaganassi.it)
05/04/2016 - 11:18 Scritto da Giulia Callino

«La disattenzione nei confronti della musica, rispetto alle altre arti della contemporaneità, è particolarmente acuta. Ma questo dipende soprattutto da come abbiamo impostato la società e la scuola. Nelle altre nazioni la didattica segue altri percorsi, che comprendono e favoriscono l’abitudine alla musica e alle arti sceniche, quindi le giovani generazioni non hanno questa difficoltà. Come fa il pubblico ad abituarsi a cose che non ha mai sentito se l’esperienza di andare a un concerto diventa un fatto puramente occasionale? Per questo non abbiamo più pubblico». (Salvatore Sciarrino, compositore, via)

 

Quando frequentavo le scuole medie, per tutta la durata dei tre anni ho fatto parte di un corso musicale sperimentale. Il nostro orario settimanale includeva, oltre alle due ore di educazione musicale previste per qualsiasi scuola secondaria inferiore, un'ora di solfeggio e due ore di strumento a scelta fra pianoforte, chitarra, violino o clarinetto. Magari alcuni dei miei compagni si erano trovati a seguire questo percorso un po’ per caso, spinti da genitori che in questa sperimentazione vedevano una modalità più interessante (cosa vera) o più semplice (errore) per i propri figli di trascorrere quel periodo di scuola. Indipendentemente da questo, per la maggior parte di noi si è trattato di un’esperienza positiva, che, a parte averci permesso di viaggiare in più occasioni per prendere parte a concorsi di strumento o canto corale, ci ha consentito di essere coinvolti in un progetto impegnativo ma fondamentalmente bello ed emozionante e di imparare a conoscere e ad apprezzare grandi compositori sia italiani che stranieri.

Non mi sorprende però che la maggior parte dei nostri coetanei iscritti ai corsi normali conservino oggi un ricordo traumatico delle loro lezioni di educazione musicale, escludendo forse solo coloro che già nutrivano al tempo un personale interesse nei confronti della musica. Il loro trauma ha l'inquietante suono della melodica, spessissimo preceduto nella fase delle elementari da quello del flauto: strumenti economici, poco pesanti e quindi facilmente trasportabili, abbastanza semplici da imparare e versatili per eseguire composizioni di gruppo. Ricordati però, prima che per questi innegabili pregi, per la capacità di risultare molto tristi suonati da soli e quasi sempre straordinariamente sgradevoli se suonati in gruppo

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(Il tema de "La Pantera Rosa", suonato con una melodica. Il risultato ottenuto da una classe di ragazzini che suonano la melodica è solitamente piuttosto diverso)

All’indomani dall’annuncio del Miur dell’intenzione di inserire e sostenere il teatro all’interno dell’offerta formativa didattica italiana, può essere interessante spendere qualche parola sull’attuale situazione dell’educazione musicale nelle scuole italiane, cercando di chiarire quali contenuti siano veicolati durante le lezioni, se siano sufficienti e soprattutto in cosa la proposta scolastica potrebbe migliorare.

Sarebbe sbagliato affermare che l’educazione musicale in Italia sia peggiore in assoluto rispetto a quella proposta in tutti gli altri paesi europei, negando i risultati sostanzialmente positivi delle diverse sperimentazioni portate avanti negli scorsi anni. Certo è però che in Europa coesistono tendenze differenti (trattate più ampiamente nel documento del 2009 emanato dall'Agenzia Esecutiva dell’Unione Europea per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura “L'educazione artistica e culturale a scuola in Europa”), la cui analisi offre interessanti quanto critiche considerazioni.

(L'Orchestra Infantile Falcone e Borsellino, foto via)

Innanzitutto, l’Italia non figura fra i paesi che “hanno politiche specifiche o iniziative volte a dotare le scuole di risorse elettroniche usate per migliorare l’insegnamento delle materie artistiche" (ossia Belgio, Repubblica Ceca, Grecia, Spagna, Francia, Malta e Slovenia). Questo è un punto di partenza importante, perché pone fin da subito l'attenzione sul fatto che, sul piano didattico, il nostro paese risulta ancora legato a metodi desueti, continuando a prediligere un approccio frontale e non sostenendo in modo unitario e coerente l'introduzione delle nuove tecnologie nell'ambiente scolastico. Inoltre, la tendenza generale nella maggior parte degli altri paesi europei è quella non solo di promuovere l’educazione artistica e musicale nel contesto scolastico, ma di incoraggiare, con grande attenzione al partenariato con le istituzioni locali, attività artistiche extracurriculari (la musica è la principale fra queste), promuovendo festival e progetti artistici. In questo senso l’Italia viene menzionata senza ulteriori approfondimenti sulle iniziative attuate, mentre largo spazio è lasciato a Belgio, Danimarca, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Austria, Regno Unito, Irlanda e Norvegia, che possono vantare un grande appoggio statale a questo tipo di progetti mediante organismi e reti creati appositamente a supporto della creatività.

Però, smentiamo l’idea che nel resto d’Europa tutto funzioni alla perfezione, perché una lettura anche veloce del documento fa emergere che anche le altre scuole europee, soprattutto laddove l’offerta formativa non sia inquadrata in una strategia nazionale, hanno difficoltà nell’ottenimento di fondi destinati ad attività artistiche. Inoltre, il documento conclude osservando che in molti paesi lo sviluppo professionale continuo degli insegnanti di materie artistiche (generalmente generalisti nelle scuole primarie e specialisti a livello secondario inferiore, in Italia come nel resto d'Europa) non sembra suscitare grosso interesse e che solo pochi paesi incoraggiano nei programmi nazionali il coinvolgimento di artisti professionisti per la formazione dei docenti. Vero è però che, sia sulla carta che osservando le dirette esperienze della quasi totalità degli studenti italiani, attualmente la scuola italiana non è in grado di fornire ai suoi allievi un’educazione musicale di qualità, proponendola peraltro con una certa discontinuità: la musica, introdotta alle elementari e continuata nelle superiori di primo grado, sparisce infatti dai curricula nella quasi totalità degli istituti superiori di secondo grado - e con risultati che, al posto di avvicinare i giovani al linguaggio della musica, spesso ottengono l'effetto opposto.

La legge di riferimento più recente (2015) per l’analisi della presenza della musica nelle scuole italiane è la Legge 107, emanata nell’ambito delle riforme della “Buona Scuola” e che prevede, tra gli altri punti cardine, l’assunzione in ruolo di circa 100 000 docenti. Richiamando il già eloquente titolo dell’articolo di Mario Piatti “Potenziare la musica nella scuola: con quanti e quali docenti?”, una riflessione illuminante inerente coloro che tra questi saranno incaricati di insegnare musica arriva dal Prof. Maurizio Disoteo, che commenta negativamente l’insistenza ministeriale sulla necessità di potenziare materie di fatto già presenti nei programmi (la musica fra queste), ma che sono state “praticate in modo insufficiente soprattutto per la mancanza di docenti qualificati”. Quello che Disoteo osserva è cioè che è impossibile potenziare un’attività prescindendo dalla formazione necessaria ai docenti incaricati di trasmettere in aula il valore e la bellezza della musica, secondo direttive che peraltro spesso non sono consapevoli, o non si interessano abbastanza, anche della necessità di spazi specifici e materiali adeguati per le attività legate all'insegnamento della musica.

Per portare l’esperienza diretta di un insegnante e capire meglio quale sia il margine operativo di un docente di musica e come possano essere gestite oggi le lezioni nelle aule scolastiche, abbiamo fatto qualche domanda al compositore, musicologo e pianista Pietro Dossena, che porta la sua esperienza come docente in varie tipologie di scuola (liceo delle scienze sociali, scuole medie, conservatorio) e ad allievi di età molto differenti (principalmente la fascia 11-55, naturalmente di ambo i sessi).

(Il musicista e docente Pietro Dossena)

Ciao Pietro, in cosa consiste il tuo programma annuale di educazione musicale?
Il mio programma di Educazione Musicale nella scuola secondaria di primo grado consiste normalmente in una combinazione di tre filoni principali, che tipicamente si sovrappongono in varie occasioni: educazione all’ascolto e storia della musica (musica occidentale dal medioevo a oggi, compreso il jazz); teoria e pratica musicale individuale e collettiva (flauto dolce, tastiera, chitarra, percussioni, canto); creazione musicale (es. creazione di brevi brani elettronici, o altre attività creative guidate dall’insegnante).

I contenuti sono dettati da direttive del Ministero?
Esistono delle "Indicazioni nazionali per il curricolo" che indicano competenze e obiettivi di apprendimento specifici, ma lasciano molta libertà al docente riguardo ai contenuti da trattare. Tale libertà è a mio parere positiva.

Com’è strutturata una tua lezione tipo?
Nel primo ambito presento un periodo storico, un genere, un autore o un brano, accompagnando la spiegazione con esempi musicali eseguiti dal vivo o reperiti su internet o CD, cercando di avvicinare i temi trattati all’esperienza di ascolto quotidiano dei ragazzi. Nel secondo fornisco parti strumentali ai ragazzi, a volte scritte, trascritte o adattate da me, e li guido nell’apprendimento e nell’esecuzione, cercando di curare aspetti musicali (precisione, attenzione al testo musicale) e sociali (saper cooperare a un’esecuzione collettiva riuscita). Infine mostro loro il funzionamento di software specifici per l’editing audio, ascolto i brani realizzati dai ragazzi e faccio osservazioni che puntano a problematizzare alcuni aspetti cruciali nella creazione musicale.

Come si fa a diventare insegnanti di educazione musicale nella scuola pubblica?
Per poter accedere alle supplenze di terza fascia finora era sufficiente un diploma di conservatorio o una laurea specifica; ora, tuttavia, è necessario per tutti il conseguimento di un’abilitazione mediante corsi specifici (PAS o TFA). Io non mi sono (ancora) abilitato, forse lo farò in futuro, ma sono rimasto deluso da questa scelta del ministero.

Ti ricordi la tua prima lezione? Com'è andata e cosa hai insegnato?
Nella mia prima lezione a ragazzi di prima media ho parlato dell’importanza dell’ascolto, ho chiesto loro di scrivere su un foglio quali suoni udissero nel corso di un paio di minuti di “silenzio”, per poi far notare come il silenzio sia quasi sempre solo apparente. L’obiettivo era quello di iniziare un percorso che stimolasse l’attenzione al suono in senso lato.

Ennio Morricone ha affermato che la musica nelle scuole è un disastro e bisognerebbe abbandonare l'uso del flauto, che ne pensi?
Credo che il problema non riguardi tanto gli strumenti utilizzati (i flauti sono economici e pratici, ma io faccio usare anche tastiere, chitarre, percussioni ed elettronica quando possibile), quanto i repertori proposti: l’interesse didattico e culturale non è sempre associato ai brani “alti” della tradizione musicale, ma spesso si può rintracciare all’interno del panorama di ascolto dei ragazzi, che si rivela spesso più interessante e articolato di quanto alcuni giudizi superficiali lascino intendere. L'opinione di Morricone è condivisibile in generale, ma dimentica le mille limitazioni (materiale didattico e strumentazione, rapporto numerico docente-studenti, presenza di alunni BES (Bisogni Educativi Speciali) da coinvolgere in tutte le attività) con cui gli insegnanti della scuola secondaria di primo grado devono fare i conti quotidianamente.

(immagine via

È chiaro che quello dei contenuti e delle modalità di insegnamento è un argomento ampio, non risolvibile in poche righe e che non coinvolge solo la musica ma più ampiamente tutta la scuola italiana. Certamente, nell’ambito dell’educazione musicale un approccio come quello di Dossena ha tutto il merito di mescolare con equilibrio contenuti teorici ed esempi pratici e di stimolare la naturale creatività dei ragazzi, trovandosi però ad agire in un contesto che, a livello istituzionale, non è stato finora capace di spostare l’attenzione (e di conseguenza il proprio supporto) dalla conoscenza delle tecniche didattiche a quella che Disoteo definisce, felicemente, filosofia dell’educazione musicale: “una formazione ampia, uno sfondo integratore più vasto, di tipo profondamente pedagogico”, sul quale costruire una conoscenza della musica che non solo sappia trattarne i nodi significativi –ampliando e consolidando una formazione spesso “sommaria o inesistente per la musica degli ultimi cento anni e per tutti i generi non classici” da parte dei docenti- ma che soprattutto sappia porre interrogativi, coinvolgere, appassionare, comunicare che la musica non è solo bellissima ma importante.

Perché saperla ascoltare –scoprirne le evoluzioni, i colori, i timbri- significa in qualche modo anche comprendere di più il mondo che ci circonda e possedere maggiori strumenti per indagarlo. Perché è un’opportunità culturale, uno strumento che nulla ha a che vedere con l’apprendimento meccanico di uno strumento (tradotto: se flauti e pianole sono una proposta che deriva dalla pura assenza di altri mezzi, meglio lasciarli nelle loro custodie) e che non può né deve essere relegata a disciplina marginale.

Riuscire a cambiare un'attitudine che spesso tende a tenere le discipline artistiche in minor considerazione non è né semplice né immediato. Percepirne però l'enorme importanza culturale ed emotiva e valorizzarla sia attraverso la progettazione di un’educazione musicale continuativa ed estesa sul lungo termine che con investimenti economici maggiori e più definiti, sarebbe però il primo passo necessario per creare una nuova, stimolante via nel rapporto degli italiani con la musica. E per evitare che, a distanza di anni, qualcuno possa davvero ricordarla come una delle materie più disarmoniche e deprimenti mai studiate.

 

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L'articolo Cosa si insegna nelle scuole italiane durante le ore di musica? di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2016-04-05 11:18:00

Tag: opinione

COMMENTI (1)

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  • freeman.heart 6 anni fa Rispondi

    Parlare di programmi e docenti qualificati va bene. Ma quando comincerete a pagare adeguatamente i docenti stessi invece di dare loro uno stipendio da fame? Quando libererete la scuola dall'imperialismo delle donne?

    Saluti