Senti come suona ancora Deda

Il padrino dell'hip hop italiano torna con un album da producer, "House Party", con feat. che vanno da Salmo ai Coma Cose, al guaglione Neffa, suo sodale nei Sangue Misto. A tu per tu con chi ha modellato il rap in italiano anni luce prima che diventasse mainstream

Deda, foto di Enrico Rassu
Deda, foto di Enrico Rassu

Venerdì 4 novembre è uscito House Party, il grande ritorno di Deda, uno dei padrini rap in italiano che dal 1991 con l'Isola Posse All Star pone le basi per quel capolavoro ormai leggendario che è SXM dei Sangue Misto (Deda, Neffa e DJ Gruff), per poi finire i 90s con Melma & Merda e trasformarsi nel 2000s in Katsuma.org, dj e producer che collabora con musicisti soul e jazz internazionali. Che poi Stop al panico e Clima di tensione siano quasi più attuali oggi di trent'anni fa è una roba che non fa star bene per niente.

Si è riappropriato del suo nome di battesimo, per così dire ("Ormai anche mia madre mi chiama Deda", scherza) ed è tornato a fare il producer cacciando fuori un singolo dal titolo Universo che vede la presenza del fratello guaglione Neffa e di Fabri Fibra, che già faceva sperare benissimo per la riuscita dell'operazione sulla lunga distanza. Il disco lo abbiamo gi ascoltato ed è super figo: da una parte i feat. della old school tipo Al Castellana, Ensi, Jake La Furia, Inoki, Danno, ma pure Emis Killa, dall'altra nomi più nuovi che hanno trovato il successo come Coma Cose, Frah Quintale, Davide Shorty e poi le superstar dell'urban e del soul: Ghemon, Gemitaiz e Salmo

Un House Party variegato, dai beat unici in cui perdersi dentro. Facciamo qualche domanda alla leggenda del rap per il suo ritorno come producer, una presenza di cui si sentiva proprio la mancanza.

Partiamo dai fondamentali: com'è stato tornare a lavorare con Neffa in coppia con Fabri Fibra?

Beh Neffa è il mio sodale da tantissimi anni, abbiamo condiviso un percorso musicale molto lungo che nasce ancora prima di fare il rap e che poi in qualche modo è proseguito anche quando ciascuno di noi ha preso direzioni diverse. Siamo rimasti molto amici. Avere lui nel mio disco era fondamentale, e pure averlo nel primo pezzo da presentare. Lui e Fabri sono una coppia già collaudata, hanno collaborato ai tempi e più volte nelle rispettive carriere, quindi è stata una cosa molto spontanea, non c'ho dovuto pensare neanche più di tanto a coinvolgerli assieme e a pensare che quello fosse il biglietto da visita per presentare il resto del progetto. La canzone è molto affascinante, siamo riusciti a portare le nostre sensibilità. Credo sia un pezzo che parla del rapporto personale che ognuno di noi ha con le sue passioni, alle soluzioni che ognuno adotta per tenere viva la passione e la voglia di fare certe cose. Abbiamo realizzato anche un video del pezzo in cui ho tentato di raccontare questa cosa coinvolgendo dei miei amici musicisti di Bologna che suonano jazz e quindi per forza di cose sono un po' fuori dal mondo dei riflettori e del grande pubblico, ma che quotidianamente sono animati da questa passione. 

 

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A proposito di musicisti, quanto il tuo studio come musicista è entrato dentro le tue produzioni? 

Eh mi piace mantenere un po' di modestia a riguardo, specie dal momento in cui collaboro con gente che ha fatto conservatori eccetera, però sì, a un certo punto dopo tanti anni in cui avevo prodotto musica semplicemente seguendo il mio orecchio come del resto fanno molti produttori di musica hip hop e credo non ci sia niente di male, anzi, penso che sia una cosa che a volte ti porta ad avere una naturalezza e una spontaneità che studiando puoi rischiare di perdere; ciononostante ho pensato che per me fosse importante imparare anche quel linguaggio, sia per ampliare le mie possibilità, sia per potermi interfacciare con altri musicisti. È importante parlare la stessa lingua per capirsi in maniera veloce.

 

In che modo questa esperienza è entrata anche nel tuo nuovo album?

Avendo iniziato a produrre sempre di più collaborando con musicisti e spostandomi dall'uso di campionamenti di sample alla musica suonata, ovviamente questo bagaglio di esperienze mi ha portato a fare cose che non sarei riuscito a fare altrimenti. Conoscere la teoria della musica ti aiuta a tradurre il quadro che hai nella testa e a realizzarlo concretamente in maniera più semplice. 

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Questo album l'hai chiamato House Party, in cui hai invitato un sacco di persone. Come hai scelto i tuoi ospiti?

Neffa e Fabri è stata una roba spontanea così come un'altra serie di nomi che sono le disco, si tratta di amici con cui avevo collaborato tanto e quindi si tratta di un'occasione di far musica assieme. Poi ci sono altri artisti che io stimavo e avevo imparato a conoscere ne corso degli anni grazie alla loro produzione musicale e la cosa principale era che fosse gente che mi incuriosiva, mi stimolava e per cui nutrivo stima e rispetto, che poi ho scoperto essere reciproco. Da lì, collaborare è stato naturale. Va detto che nel disco ci sono artisti che ormai sono superstar della musica in Italia, da Salmo a Gemitaiz a Jake la Furia o Frah Quintale. Avere l'occasione di collaborare con loro e allo stesso tempo riscontrare una disponibilità a volte anche inaspettata è stato bello, perché hai a che fare con persone piene d'impegni. È stato stimolante e gratificante, considera che nel disco ci sono quasi tutte le persone che avrei voluto coinvolgere, per forza di cose a un certo punto ho chiuso il progetto ma spero di continuare a collaborare sia con loro che con altri nomi. Ormai in Italia ci sono tanti talenti forti e versatili che ti permettono di fare anche tante cose nuove e inaspettate.

Mi hanno stupito i feat. con Coma Cose e Davide Shorty, che hai fatto riniziare a rappare.

Sì credo che da parte loro ci fosse questa voglia di celebrare il mondo del rap, una cosa che avevo in mente fin dall'inizio era di fare un disco che non fosse tutto di rap, nel modo in cui produco per me è interessante avere a che fare anche con artisti che cantano e c'o tenuto tanto ad avere questi nomi che hai fatto oltre ai grandi rapper - l'ho detto che c'è Salmo? (ride NdR)

Ecco, i rapper che sono diventati primi in classifica, che si rivolgono sempre più spesso al pubblico di teenager... come l'hai vissuta questa evoluzione mainstream del rap?

Era un'evoluzione che doveva succedere, era già successa in Francia 10 anni prima, in Inghilterra ancora prima e quindi era inevitabile. Il rap ha una potenza che prima o poi sarebbe arrivata a tutti. Ovviamente ha anche una caratteristica per cui si può declinare in mille forme diverse e quindi pensi che in Italia ci sia il rap per i più giovani, per gli adulti, c'è un'offerta per tutti. Questa mutazione della musica italiana l'ho celebrata quando l'ho vista succedere da una decina d'anni fa perché credo che ce ne fosse un forte bisogno e in generale, pur riconoscendo il fatto certi casi difficili da spiegare, sono convinto che il rap in realtà non sia ancora così apprezzato fino in fondo dagli addetti ai lavori. Quello che senti e fa grandi numeri in radio è un rap mediato da componenti più pop, però è anche vero che finalmente in radio si sente un po' di musica coi bassi seri dopo anni e anni di musica pop un po' stanca.

 

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Nel tuo House Party non vedo troppi trapper, cosa ne pensi della trap italiana?

Credo che sia assolutamente interessante e anche di quella esistono tante forme, ce n'è per tutti i gusti, io l'ascolto con piacere, sia quella italiana che quella americana che ha dato il via a questo stile. È una derivazione del rap in una delle sue tante forme come è successo al jazz in tanti anni e non sarà nemmeno l'ultima incarnazione di questa musica, credo.

Che rapporto hai con il passato e i Sangue Misto, un nome diventato leggendario nel rap italiano?

Anche questa è una fase che è un po' passata, lo dicevo di recente, noi ormai non siamo più nemmeno i padri, siamo i nonni dell'hip hop italiano, sono passate due generazioni. Per molti ragazzini adesso il nostro nome significa un riferimento a un passato lontano, quasi tutti i ragazzi di adesso sono cresciuti ascoltando la generazione successiva: Fabri, i Dogo etc. Per me è sempre gratificante essere considerato un capostipite di questo mondo, però è un'eredità che è lì, mi fa piacere che esista ma ho sempre cercato di guardare avanti, neanche di stare a glorificarla più di tanto. Il mio percorso musicale te lo dimostra, per anni ho cercato di fare altro, cambiando addirittura nome per specificare dall'inizio la cosa. Ora sono tornato a usare il mio nome di battesimo quasi, ma semplicemente perché in testa mia è un po' un cerchio che si chiude, mi ritrovo in un ambito musicale nel momento giusto perché sono cambiato io ma è anche cambiata la scena rap e soul, quindi mi sono imposto dall'inizio di non fare un disco nostalgico ma che guardi avanti. 

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L'articolo Senti come suona ancora Deda di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2022-11-04 12:00:00

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