Il momento che sa d’orgasmo arriva alla penultima canzone in scaletta. Ed è un orgasmo multiplo. Non solo perché Love è uno degli anthem di strada più belli e potenti del rap italiano recente e non, non solo perché sul palco (inaspettato fino a un certo punto) sale per la sua strofa Gué, unico ospite assieme a Madame di uno show che non ammette convenevoli, anche e soprattutto perché al termine delle due ore e mezza di live ormai prossime i bangeroni si contano sulle dita di una mano mozzata. Non mirava a questo il live 2025 di Marracash, non l’ha promesso e non l’ha concesso. Niente canzoni d’amore, ben poche canzoni da stadio. Ed è proprio così che l’artista di Barona ha alzato l’asticella un’altra volta.
Partiamo dal principio, come in quella Bibbia che potrebbe tranquillamente essere una reference. A San Siro va in scena il primo dei due live milanesi di Marra, tappe di casa di uno show che rappresenta la prima vera tournée negli stadi di un rapper italiano. Noi abbiamo un accredito come, presumiamo, una dozzina di altri colleghi assiepati attorno a noi in tribuna stampa come in una diretta di TeleLombardia. Eppure non ce la sentiremmo proprio di parlare di finto sold out... Gente ce n’è un sacco, dal parterre fino al terzo anello.
Un pubblico a maggioranza femminile – questo almeno è il colpo d’occhio – e intergenerazionale. Molto più di altri colleghi, Marra sa parlare a diverse età. Non c’è dubbio che rispetto a Persona – disco da record e appunto molto “femminile”, qualunque cosa voglia dire –, gli ultimi due album siano più facilmente approcciabili da chi ha qualche anno in più. E poi c’è chi lo segue “dai tempi della Dogo Gang” o dei live “a Cascina Monlué“. Un bel mix, insomma.
Nello stadio in cui i tifosi interisti hanno imparato a non uscire prima della fine, il live di Marra inizia alle 21 puntuali. È un palco monstre. Un grande ledwall centrale ospita la “coscienza artificiale” dell’artista, un grande occhio orwelliano che ha la voce di Matilda De Angelis e con cui Fabio e Marracash interagiscono lungo tutto l’arco del concerto. Dietro l’allestimento è in continua evoluzione. L’ambientazione è una specie di laboratorio futuristico, di quelli in cui fanno gli esperimenti gli scienziati pazzi. Prima ne vediamo l’esterno, poi ci si entra dentro, con macchinari che si muovono e fanno da quinta all’esibizione.Tutto abbastanza impressionante.
Perfetto? Indubbiamente no (ma cosa lo è, d'altra parte?). Alcuni elementi della messinscena funzionano meno, così come alcuni dei passaggi più “teatralizzati” in cui Marra dialoga con l’AI che ama e odia al contempo. Il corpo di ballo di otto elementi è sempre in primo piano, a differenza della band che risulta un po’ sacrificata ai lati del grande monolite centrale. Il suono, però, arriva per lo meno dignitosamente, o per lo meno il volume della voce – abbastanza decisiva in un live di questo tipo… – ed è tutto tranne che scontato per San Siro.
Eppure non c’è nulla che abbia senso criticare a Marracash, nemmeno le cose che paiono funzionare meno. Con il suo team, creato uno show ambizioso, sicuramente costoso. Ha fatto quello che voleva fare e non quello che gli sarebbe stato utile fare. Ha fatto l’artista, in tempi in cui non lo fa quasi più nessuno. Non serve null’altro per levarsi il cappello, e farsi un po’ di aria rispetto a una serata in cui Milano ti si appiccica addosso.
È uno show cerebrale, non di certo muscolare.In scena vanno pressoché solo gli ultimi tre dischi, niente Badabum Cha Cha o King del rap. Una scelta radicale, estremamente consapevole e coraggiosa. Non è un tour celebrativo, uno sfizio personale o un grande bancomat da attivare al momento opportuno, è l’atto conclusivo e plastico di un percorso personale e artistico che è durato cinque anni. Che questa grande seduta possa concludersi a San Siro e non sia foriera di un evitabile declino discografico, è una grande vittoria per tutti.
Perché, anche quando rischia di sconfinare nel solipsismo, quella di Marra è una grande seduta collettiva. Che tocca questioni che tutti sentono proprie. Non c’è bisogno di alzare i decibel (oltre che per Love, lo stadio lo fa per Sport e solo nelle poche altre occasioni che vengono concesse), quanto piuttosto di buttare fuori turbe e residue speranze. In tal senso la fan sicuramente da padrone i pezzi di Persona, molti dei quali hanno già l’aura del classico.
Ma come dice Marra “forse la salute mentale è un problema da ricchi”, e così Fabio si prende la briga di fare quello che gli italiani non vogliono più fare. Occuparsi degli altri, di quel che succede là fuori. Ci sono i pezzi dedicati ai disgraziati che ce la fanno, a modo proprio, come l’emozionante Laurea ad Honorem, e soprattutto due dei pochi pezzi realmente politici usciti negli ultimi anni. Il capolavoro Cosplayer, che dipinge con feroce precisione, la società dell’immagine e della performance di cui tutti facciamo parte. E Factotum, che parla addirittura di lavoro. Cosa che non si fa praticamente più nemmeno al Primo Maggio.
Uno dopo l’altro, senza soste per 150 minuti, pressoché tutta la tracklist dei tre album ha il suo momento sul palco. 50mila persone ad ascoltare e cantare per intero tre dischi (attuali, non di quando eravamo ragazzini e tutto era più bello…), una cosa che non si vedeva dagli anni ‘70. È questo il capolavoro di Marracash, anche quando si incista nelle trovate lovecraftiane e uccide il suo doppio sul palco oppure cringia un po’ amoreggiando con l’AI.
Dopo la botta di adrenalina della venuta di Gué, lo spettacolo si conclude con Happy End, atto conclusivo di un viaggio dentro di sé che è diventato di tutti. Scendiamo le scale con la forte convinzione che in questo game al momento stia giocando quattro o cinque categorie sopra tutti gli altri. Anzi, non ci stia giocando proprio. E lì sta la grandezza di Fabio e di Marracash.
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L'articolo Lo show di Marracash è qualcosa di mai visto prima nel rap italiano di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2025-06-27 11:43:00
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